Ancora una volta ho ridato visibilità ad un'artista romagnola, il delizioso soprano Juanita Caracciolo (Ravenna, 25 ottobre 1888 – Milano, 5 luglio 1924), perché mi affascinava la sua dolce figura avvolta da un fitto velo di mistero che lo stesso figlio Franco Armani aveva tutelato e anche perché l'impietoso scorrere del tempo ne aveva affievolito il ricordo, nonostante questa stimata cantante possa essere ritenuta una protagonista carismatica dell’Opera italiana nel primo ventennio del Novecento. Ad un'indagine accurata mi ha inoltre sollecitato l'affermazione dello stesso Rodolfo Celletti che l'aveva definita in “Musica e Dischi” (febbraio 1958) «probabilmente il soprano più rigorosamente e squisitamente lirico della sua epoca per voce, aspetto, gusto, interpretazione, scena, repertorio». Juanita pertanto aveva tutti i requisiti perchè fosse operata una ricostruzione cronologica della carriera che tuttavia non escludeva un’indagine estesa anche alla vita privata per comprenderne le importanti scelte di vita, che in alcuni casi furono veramente determinanti. Sposata giovanissima, contro la volontà del padre, con il noto e stimato direttore d'orchestra Giacomo Armani, più anziano di lei di venti anni, la cantante ravennate, già madre di un bambino di nome Franco, concluse la sua breve esistenza unita a un altro direttore musicale, Roberto Moranzoni, non senza dare alla luce un secondo figlio, che la seguì prematuramente nella tomba.
Dall'appassionata ricerca è emersa una donna di profonda sensibilità, interprete privilegiata del filone lyrique cosiddetto intimista, come rivela il titolo assegnato al mio volume: Juanita Caracciolo, una fulgida e breve stella tra Puccini e Mascagni, pubblicato nel 2008 dall'editore Zecchini di Varese e che le restituisce tutta intera la dignità di grande cantante, esattamente in sintonia con Lodoletta di Mascagni e Cio-Cio-San di Puccini, opere che divennero punti fermi del suo eclettico repertorio.
A Ravenna Juanita aveva visto la luce casualmente il 25 ottobre 1888 durante una tournée dei genitori, il napoletano Gennaro e l’ungherese Maria Girezy, che aveva assunto in arte il nome di Maria Mayer. La madre era infatti stata colta dalle doglie proprio mentre era impegnata a rappresentare il consueto repertorio (16 recite, dal 7 ottobre al 1° novembre 1888) al Teatro Marianicon la Compagnia Comica d’operette diretta dal marito.
La piccola comparirà sulle scene del medesimo teatro di Ravenna a soli sei anni, quando debutterà con la compagnia del padre dall’1 al 23 dicembre 1894 per un numero complessivo di venti recite. Tra le varie operette rappresentate, figurerà anche Donna Juanita di Franz von Suppé, uno dei pezzi forti del repertorio di quegli anni, da cui molto probabilmente la giovanissima cantante aveva derivato il suo nome iberico.
Possedendo una bella voce di soprano, fu poi avviata a Milano alla severa scuola della rinomata maestra Clelia Sangiorgi. Il 31 dicembre 1907, a soli diciannove anni, esordì al Politeama di Genova interpretando Nedda nei Pagliacci di Leoncavallo ed immediatamente riscosse un notevole successo, che replicò in più occasioni anche nel ruolo di Colombina dimostrandosi spigliata e sicura di sé, perchè da molti anni, in verità, era ormai abituata a vivere a contatto con il pubblico grazie all’attività artistica dei suoi genitori.
Sfogliando le più note riviste teatrali del tempo, si apprende pure che Mascagni stesso ritenne la Caracciolo la migliore Colombina che avesse mai avuto la sua opera da quando era apparsa sulle scene (“Il Teatro Illustrato“, 1-15 luglio 1910). Il compositore fu talmente soddisfatto dell’interpretazione della graziosa artista che la richiese per la stessa opera al Verdi di Pisa, dove Juanita si affermò con pieno successo, come si apprende dalla lettera inviata dal Maestro, il 3 aprile 1908, ad Edoardo Sonzogno: «L’esecuzione è stata veramente colossale: la Boninsegna e la Caracciolo sono maravigliose: mai abbiamo avuto un complesso così perfetto» (Epistolario/Pietro Mascagni, a c. di Morini-Iovino-Paloscia, Lucca, Libreria Musicale Italiana, 1996, vol. I, pp. 297-98). Il soprano sarà in seguito scritturato per interpretare anche altri personaggi mascagnani: Isabeau, Iris,Lodoletta.
Per evidenti ragioni di spazio si darà ora la preminenza soltanto ad alcune significative esibizioni che attestano la rapida e gratificante ascesa di Juanita nel mondo lirico. Nel 1911 compì una tournée in Egitto che contribuì a renderla famosa anche all'estero per la superba interpretazione data in particolare nella Butterfly al Kediviale del Cairo e, nello stesso anno, sposò il direttore d'orchestra Giacomo Armani, sostituto di A. Toscanini, R. Ferrari e L. Mugnone.
Nel settembre 1911 al Dal Verme di Milano interpreta ancora uno dei suoi personaggi preferiti, Cio-cio-san della Butterfly, opera nella quale la diva era stata già ammirata ed applaudita al Sociale di Mantova, al Filarmonico di Macerata, al Chiarella di Torino e all'Alambra di Alessandria d’Egitto.
Dotata di una voce di notevole fascino, la deliziosa cantante si è affermata infatti in breve tempo e le si aprono le porte dei principali teatri italiani e stranieri. Nel maggio 1915 s’imbarca con la sua Compagnia, la “Compagnia Lirica Italiana Juanita Caracciolo-Pietro Gubellini” per una tournée in Argentina; l’accompagna suo marito, che dirigerà tutti gli spettacoli in programma con la consueta bravura. Juanita si presenta al pubblico del Coliseo di Buenos Aires nella difficile parte di Cio Cio San, «un personaje que le permitìa especial lucimiento» e che le fa conseguire un clamoroso successo, perché sono apprezzate le sue qualità di cantante, che sa pure trovare la nota vigorosa della passione» e di attrice «che sa vivere il personaggio che rappresenta».Seguirà poi La Bohème in cui otterrà ancora una straordinaria affermazione.
Nel 1916 affianca all'attività di cantante quella di impresaria assumendo la direzione artistica della compagnia di opere comiche che rappresenta, tra l'altro, al Quirino di Roma, Le Maschere di Mascagni, opera entrata poi stabilmente nel suo repertorio.
Il 14 maggio 1918 consegue un particolare successo come prima interprete della Lodoletta di Mascagni, rappresentata al teatro Lirico di Milano con la direzione dello stesso compositore e replicata al teatro Chiarella di Torino il 28 settembre 1918 (dir. F. del Cupolo). Sarà ancora affiancata dal giovane tenore Beniamino Gigli, appena ventottenne. In tale occasione “Il Corriere della sera“ scrisse il 15 maggio 1918 che «la Caracciolo dispone di ottimi mezzi vocali specialmente nel registro acuto e ha interpretato assai bene la parte drammatica del personaggio; nella scena finale dell'opera ha trovato accenti d'un sentimento tragico profondo pieno di una commozione potentemente comunicativa».
Il 27 luglio 1919 Juanita partecipa inoltre alla prima esecuzione di La via della finestra di R. Zandonai tenuta al teatro Rossini di Pesaro, a fianco del tenore Ferdinando Ciniselli e del mezzosoprano Elvira Casazza. Anche questa volta i critici lodano l'interpretazione di Juanita: “Lo Spettacolo” ne sottolineò il temperamento drammatico e i mezzi vocali e in termini altrettanto entusiastici si espresse G. Bastianelli su “Il Resto del Carlino”. Riprendendo a scorrere la cronologia dell’Artista, si appura che il soprano, sempre attivissimo, instancabile, dopo aver esaurito gli impegni invernali (Iris e Lodoletta alla Pergola di Firenze, dove il pubblico l’aveva acclamata ripetutamente alla ribalta), nella primavera del 1920 s’imbarcò dal porto di Genovaper una lunga ed impegnativa tournée con la ‘‘Compagnia Lirica italo-francese’’ del Comm. Camillo Bonetti. Si esibì dapprima al Colón di Buenos Aires sotto l’abile direzione di Tullio Serafin, poi passò al Teatro Solis di Montevideo e al Municipaledi Rio de Janeiro «ove i successi furono tanti quanti le opere rappresentate sulle scene di quell’importantissimo teatro».
Anche il 1921 fu per l’avvenente soprano un anno fitto d’impegni importanti e foriero di grandi soddisfazioni: il 26 gennaio si esibisce al Municipaledi Piacenza nella Butterfly, a febbraio al Grand-Theatre di Montecarlo trionfa in Bohéme e Traviata, in aprile al Manzoni di Pistoia affascina il numeroso pubblico con sei recite straordinarie di Lodoletta. Ad ottobre la ormai celebre cantante ed attrice raggiunge Trieste dove, al Politeama Rossetti,nella Wally grazie alla «bella voce, voce di timbro chiaro ed argentino, pieghevole alle più tenui inflessioni del sentimento, dell’odio e dell’amore, impressiona superlativamente il pubblico che fu tratto spesso a vere ovazioni» (“L'Arte”, 1-31 ottobre 1921).
Si può quindi sostenere che l’Artista si è completamente affermata e che il suo canto viene spontaneamente a coincidere con le esigenze interpretative del momento; le giunge infatti la scrittura per cantare alla Scala, sotto la direzione di Arturo Toscanini. Il 22 marzo 1922 esordisce nel Mefistofele a fianco del celebre tenore Aureliano Pertile raccogliendo entusiastici consensi.
I periodici quotidiani, che nel campo della politica sono sempre in lotta e se ne dicono continuamente di cotte e di crude, sul terreno dell’arte si trovano invece molto spesso d’accordo. La gentile artista, che è nel Mefistofele alla Scala applauditissima Margherita, ci offre di questo accordo un bell’esempio, poiché essa ha saputo raccogliere l’unanimità dei suffragi. Ne poteva essere altrimenti, date le fulgide qualità che essa possiede e il fascino che sa esercitare sul pubblico. Nella schiera dei soprani lirici la Caracciolo brilla in prima linea fra le poche che hanno veramente diritto ad una fama e ad una considerazione speciali (“Gazzetta dei Teatri”, 30 marzo 1922).
Seguono poi dal 23 aprile le rappresentazioni dei Maestri Cantori di Wagner, in cui l’Artista, coadiuvata dal basso francese Marcel Journet nella parte di Hans Sachs e dal giovane basso ravennate Ezio Pinza, che esordisce alla Scala nei panni di Pogner,ancora una volta si afferma stella di prima grandezza. «La Caracciolo porta nella figura di Evauna nota di idealità rappresentativa e di poesia squisita. Nel Quintett odel terzo atto, scoglio pericoloso dello spartito, la Caracciolo non ha mancato ai doveri dell’intonazione» (“Il Corriere della sera”, 25 aprile 1922).
Juanita non perde tempo e si trasferisce rapidamente a Barcellona per cantare al Liceo in Anima Allegra di Vittadini, opera che subito dopo, il 20 maggio, ripresenterà al Teatro Principal di Palma di Maiorca dove vedrà rinnovato l’immenso successo. Con indescrivibile fanatismo viene accolta dal pubblico isolano anche la sua esecuzione di Bohème.
Giunge poi il memorabile S. Stefano del 1922, che vede il trionfo di Manon Lescaut alla Scala per la presenza di un cast eccezionale costituito da Pertile, Badini e Caracciolo e la rappacificazione tra Puccini e Toscanini. Il critico de ‘‘Il Resto del Carlino’’ del 27 dicembre 1922 ricreò benissimo il clima di quell’entusiastica prima, sottolineando che «la Caracciolo e il Pertile specialmente, hanno saputo dare ai personaggi una grande forza di espressione e di drammaticità passionale, facendosi molto applaudire». Anche A. Restivo si espresse con termini gratificanti:
«La Caracciolo, una fra le Artiste preferite da Toscanini e da Puccini, con Manon diede all’autore, quella sera, una delle maggiori soddisfazioni della sua vita per l’acume psicologico col quale era entrata nel personaggio, poeticamente disegnato sia nella giovanile spensieratezza, che negli edonistici rimpianti» (Musica e dischi’’, IV, n. 286).
Il 6 giugno 1923 si assistette all’ultima replica del Mefistofele che coincise pure con l’ultima esecuzione teatrale in assoluto di Juanita. Secondo il disegno di Toscanini l’Artista avrebbe dovuto interpretare anche Iris alla Scala,ma purtroppo ella contrasse una gravissima infezione forse dovuta al parto, che la portò alla morte il 5 luglio 1924, appena trentacinquenne, proprio nel momento culminante della carriera, nel fulgore dei mezzi vocali.
Il monumento funebre, realizzato dal famoso scultore Gian BattistaTedeschi su commissione del padre, rappresenta un angelo che sostiene un corpo disteso di giovane donna con un bimbo adagiato sul petto. Infatti nel Cimitero Monumentale di Milano Juanita riposa per sempre accanto al secondo figlioletto, Bruno, morto due mesi dopo la sua scomparsa, frutto della relazione affettiva conil direttore d’orchestra Roberto Moranzoni. L'Artista era dovuta giungere infatti alla penosa e difficile decisione di chiudere definitamente il rapporto con Giacomo Armani, come si evince dalla sentenza emessa il 2 maggio 1923 dal Tribunale di Fiume che aveva dichiarato sciolto il matrimonio.
La morte aveva interrotto la sua rapida ed intrepida corsa, ma non riuscì a cancellare la scia luminosa dei suoi continui trionfi perché ella aveva tracciato in modo positivo una rotta che diversi soprani lirici seguiranno, alla Scalaed altrove, per molto tempo.
A scorrere la cronologia artistica stupisce l'eclettico repertorio: oltre a Pagliacci, Faust, Otello, spuntano Lousie, Isabeau e Thaïs, Maestri Cantori, Lohengrin, Il cavaliere della rosa e persino Valchiria. Riguardo la sua voce, furono formulate alcune riserve come affermò Rodolfo Celletti.
Non aveva una grande voce. Probabilmente più perché non forzava e non apriva (il solito equivoco) che per effettiva deficienza di risonanze. Ché al contrario, il suo impasto e il suo smalto non mancavano di penetrazione: l'uno e l'altro avevano una delicatezza intima, una melodiosità ovattata e carezzevole che, purtroppo - mi si dice - i dischi non hanno raccolto che in parte, sensibilizzando per contro, qua e là delle vibrazioni ondulanti che non credo fossero molto percettibili nell'originale, posto che nessun recensore o cronista, tra quelli che ho consultato, ne fa mai menzione(“Musica e Dischi”, febbraio 1958).
L'affascinante soprano incise infatti brani di molte opere del suo repertorio sudischi acustici, a 78 giri, nel periodo 1918-1926. Tra i più interessanti si collocano le incisioni della Manon di J.Massenet, Manon Lescaut e Madama Butterfly di G. Puccini e Wally di A. Catalani. I brani “Che corsa” (Serenata delle fate) con la partecipazione del coro del Teatro alla Scala, Flammen perdonami e Bimbi del mio villaggio tratti da Lodoletta furono diretti da Pietro Mascagni e furono incisi nel 1919. «Un po’, insomma, in lei riecheggiava - sia per l’emissione che per la perfetta quadratura musicale - l’assiomatica leggiadria della Storchio, esponente massima dell’Intimismo massenettiano e pucciniano» (Andrea Restivo, in “Musica e Dischi”, IV, n. 286).
Anche se la sua carriera fu in verità alquanto breve (dal dicembre 1907 al giugno 1923), fu di una straordinaria intensità, quasi Juanita presagisse inconsciamente che il filo della vita le sarebbe molto presto sfuggito di mano. Per dirla con Gianni Gori, «passò invero come una stella filante nel cielo operistico di un quindicennio appena per spegnersi nello stesso anno (1924) in cui morì Puccini», il geniale compositore di cui aveva magistralmente cantato Madama Butterfly, La Bohème e Manon.
Roberta Paganelli