Il nostro vice direttore Alessandro Cammarano ha avuto la fortuna di seguire per OperaClick, a Budapest, il Ring des Nibelungen di Richard Wagner, uno dei capolavori dell'Arte tout court e della musica in particolare. Abbiamo perciò pensato di realizzare questo speciale, scritto a tempo di record, circostanziato ed esauriente, per i nostri lettori.
Aveva ragione Wagner: il Prologo e le Tre giornate che compongono il Ring des Nibelungen non dovrebbero mai e poi mai essere rappresentate separatamente, pena la perdita dell'unità assoluta che è racchiusa sia nella narrazione musicale che in quella drammaturgica, e che insieme costituiscono un unicum inscindibile.
Dal cupo accordo primigenio che apre il Rheingold all'ultimo fluire di tutti i Leitmotiv che si rincorrono nel finale della Götterdammerung tutto si sviluppa e si va risolvendo in un flusso ininterrotto e non interrompibile di parole e musica.
Quest'anno ricorre il decimo anniversario dell'allestimento del Ring voluto dal Müpa nell'ambito del Wagner in Budapest Opera Festival 2016 e che si pone alla pari col Festival di Bayreuth.
La produzione è semiscenica solo sulla carta. Il concetto, creato dal regista Hartmut Schörghofer, che firma anche le scene, i costumi atemporali e le marionette di Corinna Crome oltre al perfetto disegno di luci di Andreas Grüter, conducono direttamente ad una visione dello spazio e del movimento che vive di un'intensa drammaturgia.
La Sala Béla Bartók del Palazzo della Musica è dotata di golfo mistico, dunque il palcoscenico è utilizzabile nella sua totalità. Su di uno snello praticabile a doppio livello si staglia una parete di pannelli mobili di policarbonato semiopaco, che diviene schermo per le proiezioni realizzate da Momme Hinrichs e Torge Møller (fettFilm), e che ora astratte, ora iperrealiste calano l'azione in uno spazio che oscilla tra il concreto e l'onirico.
A spazi montani e panorami si alternano immagini di città, sempre più caotiche a sottolineare la progressiva disfatta del mondo degli dei e di quello degli uomini, sconfitti da inganni e patti traditi. Poi acqua e fuoco, terra e aria, figure umane appena accennate, larve senza forma, e, improvvisamente persone vere, che scrutano lo spettatore e lo rendono parte del gioco drammaturgico in un coinvolgimento crescente.
Colui che tira le fila di tutto è Loge, o meglio il suo Doppelgänger che, perverso maestro di cerimonie officia in frac rosso, i momenti topici della crescente, inevitabile tragedia. Attorno ai protagonisti si muovono silenziosi dei danzatori che, grazie a marionette abilmente manovrate, diventano i cani di Hunding, i cavalli delle Valchirie, parte dei giganti, dei quali si vedono solo le due enormi teste modellate sulle maschere del teatro Kabuki. La fusione perfetta tra movimento delle proiezioni e movimento dei danzatori, uniti a quelli essenziali dei solisti, contribuisce a creare un'atmosfera straniante, nella quale la potenza di musica e parola trova perfetta sintesi, avviluppando lo spettatore in un crescendo di sensazioni anche contrastanti tra di loro e permettendo di cogliere pienamente l'essenza più intima del Ring. Alcune idee ci sono piaciute più di altre, prima tra tutte quella dei corvi di Wotan impersonati da due danzatori, ciascuno dei quali con una sola ala; rappresentazione di un'impotenza di Wotan manifesta sin dall'inizio. Come il padre degli dei è privo di un'occhio, anche i suoi messaggeri soffrono di una mutilazione che li costringe a dipendere l'uno dall'altro. Tutto funziona, rodato negli anni. Assai efficace la caratterizzazione dei Nibelunghi che seguono fedeli Alberich, immaginati come un incrocio tra umani e rettili.
Se l'allestimento convince, la direzione di Adám Fischer incanta.
L’intento di Fischer risulta immediatamente chiaro, ed è quello di ripulire l'immensa partitura dalla polvere di una tradizione trita, che la vorrebbe eroica oltremisura ed al contempo schiava di qualche leziosità sempre poco opportuna, e di renderla in chiave totalmente antiretorica, illuminandola di una bellezza trasparente, purificata, monda da qualsiasi incrostazione che ne opachi il fulgore.
I contrasti, gli impeti, gli abbandoni lirici appaiono nella lettura di Fischer in una forma trascendente, resi con tempi mai convulsi, attraverso scelte dinamiche di incredibile varietà e fantasia, con grande attenzione a colori e ritmi, il tutto a creare un un meraviglioso racconto, fondendo il Klang delll'orchestra, la magnifica Orchestra Sinfonica della Radio Ungherese, con il Gesang dei solisti e del coro.
Un’esecuzione complessivamente memorabile, della quale diamo di seguito conto, Giornata per Giornata nelle quattro recensioni che seguono.
Alessandro Cammarano