In questi ultimi mesi sono rimasta particolarmente affascinata dalla biografia artistica del grande basso Fedor Ivanovič Šaljapin (1873-1938), uno dei più famosi cantanti d'opera russi della prima metà del XX secolo. Il suo cognome fu poi traslitterato dal cirillico anche come Chaliapin o Shalyapin.
Dotato di voce potente e versatile, di grande presenza scenica e di notevoli capacità recitative, introdusse un nuovo stile, che gli consentiva di dare anche un volto e una figura diversi a ogni personaggio. Basta infatti osservare le espressioni e le movenze del suo Basilio nel Barbiere di Siviglia per comprendere come il celebre basso si immedesimasse abilmente nella parte che doveva interpretare. Che il fenomenale cantante avesse il palcoscenico nel sangue, fu evidente fin dall'adolescenza quando fece parte, come comparsa, ad appena 15 anni, di piccole compagnie girovaghe, esibendosi pure nelle operette.
Nato nel 1873 a Kazan, proveniente da una modesta famiglia, aveva ricevuto la sua educazione primaria in una scuola parrocchiale, dove, partecipando anche al coro della chiesa, aveva acquisito buone abilità nel canto religioso. Arruolato nel 1889 nella compagnia teatrale di Vasily Serebryakov come comparsa, eseguì un anno dopo la sua prima parte da solista nell'opera Eugene Onegin di Tchaikovsky. Nel 1892 conobbe un tenore in pensione, Dmitrij Usatov, che, molto affascinato dal suo talento naturale, gli diede lezioni di canto gratuitamente. Esordì a Tbilisi nel 1893, ma i primi successi arrivarono l'anno seguente con la compagnia di Panaiev a San Pietroburgo. Dopo essersi trasferito a Mosca, Chaliapin fu notato dal mecenate ed industriale russo Savva Mamontov (1841-1918), che intuì prontamente le immense doti naturali del cantante e lo invitò al Teatro dell'Opera per ruoli da protagonista. Cantò nella compagnia privata di Mamontov sino al 1899 in opere quali Una vita per lo Zar di Glinka, Rusalka di Dvorak, Giuditta ed Oloferne di Serov preparandosi la strada per il palcoscenico del Teatro Bolshoi di Mosca, dove conseguì notevolissimi successi.
Due anni più tardi, il 16 marzo 1901, debuttò sulla scena internazionale cantando alla Scala di Milano nel ruolo del protagonista in Mefistofele di Arrigo Boito; è la sua prima apparizione al di fuori della Russia. Affiancato da Enrico Caruso e da Emma Carelli, è diretto da un entusiastico Arturo Toscanini, che nutrirà per Chaliapin anche in seguito una stima così profonda da affermare spesso di non aver mai conosciuto un talento più grande. Sul palcoscenico appare un Mefistofele diverso da quelli passati sia per l'originale costume disegnato da Aleksandr Golovin, sia, in particolare, per il trucco marcato, le movenze diaboliche e la superba interpretazione: il pubblico va in visibilio ed applaude freneticamente l'artista russo.
Il soggiorno a Milano offre a Chaliapin l'occasione per entrare in contatto con i più illustri esponenti del panorama musicale e artistico italiano: oltre a Caruso, i tenori Francesco Tamagno, i compositori Giacomo Puccini e Pietro Mascagni, l'editore Giulio Ricordi, il poeta Gabriele d'Annunzio.
Il tenore Angelo Masini, che ha assistito allo strepitoso successo dell'esibizione scaligera, si affretta ad inviare al cantante un biglietto per complimentarsi vivamente con lui: "Bravo, bravissimo, signor Chaliapine" e il celebre basso allora per ringraziarlo si reca da Masini, che lo accoglie con ospitalità offrendogli caffè e liquori (Pages From My Life, An Autobiography, Harper & Brothers Publishers, New York e Londra, 1927, p. 236):
Questo splendido uomo e divino cantante- ha proseguito Chaliapin - mi ha ricevuto con gentilezza e cordialità. L'uomo che vidi non era un arcangelo, ma il più comune dei mortali, vestito come un operaio italiano con pantaloni logori, una camicia strappata e una cravatta dall'aspetto molto strano. Calzava un vecchio paio di pantofole logore. Guardandomi con i suoi piccoli occhi penetranti, mi disse con eleganza che era contento di assistere al successo di un artista russo in Italia, che amava la Russia come una seconda patria, dove aveva ottenuto un successo che lo aveva materialmente beneficiato e dove aveva sperimentato quella profonda soddisfazione spirituale che considerava la cosa migliore della vita.
In Russia, proseguì Mazzini (con questo cognome spesso era chiamato in Russia), mi amano così tanto che mi sento un re quando ci vado! Può immaginare quanto mi faccia piacere vedere i suoi meritati successi. Nell'applaudirla, l'ho fatto con tutto il cuore, come ringraziando la Russia attraverso di lei per quello che ha fatto per me!
In seguito Masini confermò la sua profonda stima indirizzando questa lettera al quotidiano “Novoye Vremya” di San Pietroburgo che la pubblica interamente nel marzo 1901 (R. Paganelli, Angelo Masini, il re dei tenori del secolo XIX, Forlì, Valbonesi, 2004, p. 15).
Vi scrivo mosso dall’effetto lasciatomi dallo spettacolo nel quale ha preso parte il vostro Šaljapin, che si è esibito nel Mefistofele. Il pubblico della Scala è particolarmente severo verso i cantanti giovani e ad esso sconosciuti, ma questa sera è stato un vero e proprio trionfo per l’artista russo, che ha suscitato negli spettatori un enorme entusiasmo e fragorose ovazioni. La profonda impressione provocata da Šaljapin è del tutto comprensibile. Si tratta infatti sia di un ottimo cantante sia di un eccellente attore, che esibisce, per giunta, una pronuncia italiana degna di Dante, un fatto sorprendente, questo, per un artista la cui lingua madre non è l’italiano. Ascoltandolo provo un duplice piacere per il fatto che questo cantante è russo, natio di quella Russia alla quale mi sono legato e che amo.
Quando Angelo Masini scriveva dell'italiano “dantesco” di Chaliapin, non si riferiva a una perfezione della pronuncia, ma alla sua capacità (in qualsiasi lingua) di far risuonare le parole come fossero scolpite nella pietra (nel caso di Mefistofele sembrava possedesse addirittura una qualità demoniaca in corpo).
Anche il grande basso nutriva una profonda stima per Masini, come si evince leggendo la sua autobiografia, Pages from my life, Milano-Roma, 1932, a p. 188:
“Bisogna essere un virtuoso come Masini, Gayarre o Caruso per fermare l’attenzione dell’amatore di musica ed eccitare l’entusiasmo del pubblico con la sola bellezza della voce.”
Inoltre, F. Chaliapin si espresse favorevolmente anche sull'arte scenica di Masini, che invece spesso era stato criticato perché talora trascurava il suo abbigliamento presentandosi sul palcoscenico spettinato e vestito in modo inadeguato, ma tutti lo scusavano grazie alla voce divina dal timbro d’incredibile bellezza ed alla maestria vocale. Tale opinione, che il re dei tenori dovesse essere ascoltando volgendogli le spalle, è contestata dall'affermazione di Chaliapin che scrive (E.Gara, L’Angelo canoro dei due mondi, in “Corriere della sera”, maggio 1962):
(Masini) cantava davvero come un arcangelo inviato dal cielo allo scopo di nobilitare gli uomini, - – Non ho mai più sentito un canto del genere. Ma sapeva recitare altrettanto magnificamente! L’ho visto ne La Favorita. All’inizio era come se non volesse recitare. In abito trasandato, con una brutta calzamaglia e un vecchio e strano abito, faceva il monello sulla scena, un ragazzino precisamente, ma all’improvviso, nell’atto successivo, quando, ferito, muore, ha cominciato a recitare così stupendamente che non solo io, ma persino un esperto artista drammatico come Dal’skij è rimasto sbalordito e commosso nel profondo dell’anima dalla sua interpretazione.
Inoltre in un volume che gli è dedicato da Victor Borovsky (Chaliapin : a critical biography, London 1988, p. 297), si apprende che il celebre basso, che di solito era così poco tenero con i nostri cantanti, nutriva per Masini una grandissima ammirazione, come attesta questo interessante aneddoto, riportato dal pittore russo Konstantin Korovin (Chaliapin: encounters and life toghether, Paris 1939, p. 33). Una sera lo scrittore si trovava a Parigi a cena con il famoso basso, poco tempo prima della sua morte. Ad un certo punto la conversazione scivolò su Angelo Masini. Boris, il figlio di Chaliapin, chiese al padre se Masini fosse un buon cantante. Costui rispose con queste precise parole:
“Masini non era un cantante, io, tuo padre, sono un cantante, ma Masini era un angelo di Dio.”
Ripercorrendo le tappe dell'intensa e brillante carriera di Chaliapin, si apprende che debuttò nei teatri più prestigiosi del mondo: nel 1907 è al Metropolitan Opera di New York e a Berlino, l'anno seguente consegue un successo clamoroso a Parigi nel Boris Godunov con la compagnia di Sergej Djagilev, con cui torna a cantare nel 1913 di nuovo a Parigi e poi a Londra, nel 1905 e nel 1910 si esibisce a Montecarlo.
Dopo la rivoluzione d'ottobre diviene un simbolo della nascente cultura sovietica ed è il primo a ricevere il titolo di Narodnyj artist Respubliki, ma dal 1922 non vive più in Russia, che abbandona in occasione di una lunga tournée per stabilirsi a Parigi con la numerosa famiglia. In realtà rimarrà cittadino sovietico fino alla morte ma, invitato più volte a tornare in patria dalle autorità e dagli amici, rifiuterà sempre, preferendo l'Europa soprattutto per ragioni di natura economica, dovendo mantenere due mogli, residente una a Parigi e l'altra a Mosca, e dieci figli non ancora autosufficienti. Per far fronte a queste necessità, che lo affliggeranno fino alla fine, sosterrà continue tournée in tutto il mondo anche quando sarà già molto malato. Muore di leucemia a Parigi nel 1938.
II suo vastissimo repertorio comprende opere di tutte le scuole, ma soprattutto riguarda l'opera russa dell'Ottocento, dal Glinka al Rimskij-Korsakov: raggiunse i più alti valori lirici infatti nell'interpretazione, da tutti imitata ma non certo raggiunta, del Boris Godunov di M. Musorgskij.
Si può affermare che la carriera discografica di Chaliapin ebbe inizio all'incirca nel 1901 per proseguire sino al 1936 sempre con la HMV o le consociate G&T e Victor. Attualmente il documento più completo, preciso e aggiornato è l'opera in 13 CD di Marston. Registrò privatamente la sua voce sui primi cilindri di cera tra il 1897 e il 1901.
Feodor Chaliapin, nonostante una carriera internazionale e una vita spesa in gran parte fuori della Russia, restò tuttavia sempre una stupefacente incarnazione della cultura dalla quale aveva tratto origine. Non per nulla un altro russo, Sergej Rachmaninov, arrivò a dire di lui che - cantava come Tolstoj scriveva - : un’immagine molto efficace per rivelare il legame che, nonostante tutto, unì per sempre Chaliapin alla sua terra di origine. Pittore e scultore lui stesso, lavorò sempre in stretta connessione con le arti figurative, spesso utilizzando specifiche opere d’arte per trarne suggestioni e idee da trasferire poi nel suo lavoro di attore. L'immenso successo popolare è comprovato da una miriade di fotografie che lo ritraggono soprattutto in costume, ma anche con i familiari, con i colleghi, in viaggio, in vacanza, a casa etc., ma le più coinvolgenti sono indubbiamente quelle che lo ritraggono nei ruoli interpretati in teatro. Aveva, si diceva, tante voci quanti erano i personaggi che interpretava, a tal punto ciascuno di essi era profondamente studiato e caratterizzato.
In possesso di una delle voci più potenti ed espressive di ogni tempo, Chaliapin contribuì decisamente alla diffusione del repertorio russo, elevando l’arte melodrammatica della sua terra ad un’altezza sino allora sconosciuta.
Roberta Paganelli
Feodor Chaliapin nel "Dubbio" di Michail Glinka