Un'altra cantante romagnola che conseguì un'intensa e splendida carriera in Italia e in Europa fu Eugenia Savorani, che con il cognome del marito, il compositore Giovanni Tadolini, divenne uno dei più apprezzati soprani del primo Ottocento. Grazie alla consultazione di un prezioso carteggio in gran parte inedito, autografo, giacente nel Fondo Piancastelli della “Biblioteca Comunale Aurelio Saffi” di Forlì, è stato possibile ricostruire un ritratto di Eugenia più intimo ed innovativo. Invero le lettere, inviate e ricevute dalla Tadolini, attestano una frequente ed interessante corrispondenza con i fratelli di Forlì: narrava della malattia del figlio, dei suoi timori per l'esibizione, della bellezza di Parigi, ma pure lodava i passatelli (tipica minestra in brodo romagnola) che non vedeva l'ora di gustare a casa loro.
Nata a Forlì il 18 luglio 1808, come si evince dal registro napoleonico delle nascite custodito presso l’Archivio di Stato, grazie alle condizioni benestanti della famiglia potè studiare musica e canto inizialmente con Luigi Favi e Giovanni Grilli nella città natale, poi a Bologna con Giovanni Tadolini (18 ottobre 1789-29 novembre 1872), che non era solo compositore e celebre maestro di canto ma pure collaboratore e amico di Gioachino Rossini.
Eugenia, dopo alcune timide comparse in concerti vocali e strumentali presso l’Ateneo Forlivese, già Accademia dei Filergiti, indi a Firenze e a Cesena, si esibì a Bologna alla Società del Casino nella Quaresima del 1829 nel Mosè di Rossini. Nel libretto stampato per l’occasione vi compare con il cognome del marito, che mantenne poi per il resto della carriera. Giovanni Tadolini, infatti, nonostante la notevole differenza d'età (ben 19 anni), attratto anche dal graziosissimo aspetto, l'aveva sposata nel 1828 e l'aveva introdotta nel mondo musicale. Nel Carnevale 1829-30 Eugenia debuttò ufficialmente al Teatro Ducale di Parma in Giulietta e Romeo di Nicola Vaccai, poi in Tancredi e Bianca e Falliero di Rossini.
Agevolati proprio da Rossini che era coinvolto nell'impresa del Théâtre Italien di Parigi, la coppia si trasferì immanentemente nella capitale francese dove la giovanissima debuttante comparve nel Ricciardo e Zoraide di Rossini al fianco del celebre tenore Giovanni David riscuotendo notevoli apprezzamenti, come scrisse il critico Castil-Blaze Blasil 30 maggio 1830:
La voix de Mme Tadolini est fraîche, légère et pure; son attaque est pleine de franchise et de justesse [...] Sa voix se prêterait difficilement aux grands mouvements tragiques [...] Dans le genre bouffe et le demi-caractère, Mme Tadolini tiendra une place très distinguée. La manière dont elle a secondé Davide en chantant le fameux duo, l’intelligence qu’elle y a montrée en le suivant à la tierce dans les traits agiles dont le mouvement se ralentissait insensiblement, sa fermeté d’intonation en attaquant plusieurs fois le la naturel aigu sans préparation, suffiraient pour constater le succès qu’elle a obtenu et qui ne s’est pas démenti un seul instant (J. Mongrédien, Le Théâtre-Italien de Paris (1801-1831): chronologie et documents, VIII, Lyon, 2008, p. 460).
A riguardo risulta interessante la lettera di Eugenia, inviata da Parigi il 18 dicembre 1830 al fratello Augusto Savorani residente a Firenze: “I Parigini mi hanno incoraggiata assai, ma con tutto ciò tutte le sere che comparisco sulle scene ho una gran paura. Studio e cerco di imitare la Malibran”.
La Tadolini restò a Parigi per circa tre anni (ma nell’estate 1831 si esibì anche al King’s Theatre di Londra) cantando al fianco di stelle come Giuditta Pasta, Giovanni Battista Rubini e Luigi Lablache, oltre alla Malibran, nel Matrimonio segreto, Don Giovanni, Anna Bolena (Giovanna) e La sonnambula. Richiamata dalla morte del padre, ritornò in Italia nel 1833; era in compagnia del marito (dal quale si separerà l’anno dopo) e portava con sé una lettera di raccomandazione di Rossini.
Il 1° settembre 1833 comparve per la prima volta alla Scala di Milano dove si esibì in varie opere, ma forse in ragione del repertorio poco significativo prescelto dalla direzione, che prevedeva I due sergenti di Ricci, Il furioso all’isola di S. Domingo di Donizetti e La donna bianca di Avenello di Pavesi, “Il Figaro”, un periodico molto noto, all’indomani della recita si espresse in termini poco lusinghieri: “La signora Tadolini dimentica troppo l’azione, o, dirò meglio, ella pecca di vera inerzia: io dubito che ella non sia contenta della sua parte e che per questo canti ed agisca di mala voglia. Però ha dei momenti buoni e a suo tempo saprà mostrare fin dove giunge la sua capacità”.
Nella stagione di Carnevale1834 Eugenia si esibì alla Fenice di Venezia, ancora al fianco della Pasta (La straniera, Anna Bolena, Emma d’Antiochia di Mercadante, quest’ultima in prima assoluta). Nell’aprile dell'anno successivo 1835 debuttò nel teatro di Porta Carinzia di Vienna, dove cantò varie volte, sempre accolta entusiasticamente e trionfò con L’elisir; le sue varianti e variazioni alla parte di Adina furono mantenute nella tradizione esecutiva viennese per decenni.
Esaminando la cronologia della ventennale carriera della Tadolini e le tante cronache teatrali notiamo che ella preferì, anche in seguito, le caratteristiche di fondo, evidenziate da Castil-Blaze all’esordio, in particolare i generi buffo-brillante e semiserio-sentimentale, piuttosto che il drammatico a tinte forti. Qualche critico talvolta annotò che alla bellezza della figura e del timbro di voce corrispondevano una certa freddezza e un’arte mimica non eccelsa; nessuno però contestò le sue straordinarie doti di agilità, potenza e flessibilità. Felice Romani, a proposito della Straniera di Vincenzo Bellini, scrisse:
La Tadolini ha troppe grazie per Alaïde, troppa luce ne’ suoi begli occhi, troppi vezzi nel suo sorriso per la misteriosa Straniera. La sua voce volubile, soave, fiorita, è fatta per la gioia, per l’amore che si può consolare, per afflizioni rasserenate dalla speranza, non per gli strazii d’un cuore in tempesta, non pei delirii di un’anima angosciata, non per le grida della disperazione (Miscellanee del Cavaliere Felice Romaniin“Gazzetta Piemontese”, Torino 1837,p. 407).
Pur prediligendo negli anni Trenta le opere di cartello di Bellini (esclusa Norma) e di Donizetti, il suo repertorio ne contemplò anche alcune di Mercadante: Emma d’Antiochia, Le due illustri rivali (La Fenice, Carnevale e Quaresima 1838), Il bravo (Scala, Quaresima del 1839), tutte in prima assoluta.
Nel frattempo, nel 1834, Eugenia si era separata dal marito ed aveva iniziato a condurre una vita sentimentale piuttosto tumultuosa: nel 1838 aveva dato alla luce una bimba di nome Faustina (se ne ignora la paternità) che morirà prematuramente all’età di cinque anni. In seguito terrà un’ulteriore, intensa relazione con lo scenografo Pietro Venier che agiva al S. Carlo di Napoli e che Donizetti cita in una lettera del 1843 (G. Zavadini, Op. cit., p. 666).
Agli inizi degli anni Quaranta si intensifica il legame artistico con Donizetti,che per la Tadolini compose Linda di Chamounix (première il 19 maggio 1842) e Maria di Rohan (5 giugno 1843), in stagioni trionfali per entrambi al teatro di Porta Carinzia. Così il compositore Donizetti scrisse a Giovanni Ricordi il 24 maggio 1842:
Jersera dopo il 2° atto altra immensa corona che diedi all’istante davanti al pubblico alla egregia Tadolini. Tutti gli artisti gareggiano in zelo, tutti hanno dove farsi applaudire, la Tadolini s’è risvegliata d’una maniera sorprendente... È cantante, è attrice, è tutto, e figurati che la si applaude al solo comparire al 3° atto. Se credi vedrai Linda colla Tadolini, vedrai veramente una pazza di nuovo genere, che mi è stata così obbediente, a piangere, a ridere, a restar stupita quando le occorreva, che io stesso dico che codesta scena è al disopra (così eseguita) di tutte le scene fatte da me per pazzi (G. Zavadini, Donizetti: vita, musiche, epistolario, Bergamo 1948, p. 605).
Poco tempo dopo la Tadolini entrò in contatto con il giovane Giuseppe Verdi che l'ammirò molto. Ricordiamo la sua partecipazione alla prima esecuzione assoluta di Alzira al S. Carlo la sera del 12 agosto 1845, ma l’andata in scena venne però dilazionata nel tempo per una malattia del compositore e per la gravidanza della primadonna (nel marzo era nato il piccolo Alessandro, sconosciuto il padre). L’anno successivo 1846 la Tadolini cantò in una ripresa di Attila alla Scala, sempre conseguendo un enorme successo.
Il giudizio più noto sulla Tadolini è dello stesso Verdi,che pur tessendone le lodi, paradossalmente la dichiarò inadatta alla parte di Lady Macbeth:
Voi saprete quanta stima ho della Tadolini; Ella stessa lo sa, ma io credo bene nell’interesse di tutti farvi alcune riflessioni. La Tadolini ha troppo grandi qualità per fare questa parte! Vi parrà questo un assurdo ma non è. La Tadolini ha la figura bella, buona, ed io vorrei Lady Macbet brutta e cattiva. La Tadolini canta alla perfezione, ed io vorrei che Lady non cantasse. La Tadolini ha una voce chiara, limpida, potente; ed io vorrei in Lady una voce aspra, soffocata, cupa. La voce della Tadolini ha dell’angelico, la voce di Lady dovrebbe aver del diabolico (Lettera del 21 novembre 1848, in Carteggio Verdi-Cammarano, a c. di G.R. Mossa, Parma, 2001, p. 84).
La Tadolini, ignorando volutamente la lettera di Verdi, quando ci fu una ripresa di Macbeth al San Carlo di Napoli, vi prese invece parte giungendo a prove già iniziate. A riguardo Eugenia il 25 gennaio 1849 scriveva da Napoli al fratello Tito a Firenze:
Caro Tito. Questa sera è la terza recita del Macbet [sic] la quale opera a [sic] piaciuto moltissimo, ma più però i due primi atti: io sono contentissima di aver cantato questo spartito perché mi sta veramente bene, ed i pezzi tutti che canto sono di moltissimo effetto, per cui sono assai applaudita” (autografo, Fondo Piancastelli cit.).
Il 30 novembre 1848, sempre al San Carlo, aveva cantato Poliuto di Donizetti, ancora una volta conseguendo un grande successo.
Nel 1851, dopo una nuova stagione folgorante a Napoli, ad appena quarantrè anni, prende tuttavia la ferma decisione di ritirarsi dalle scene tenendo a battesimo il Folco d’Arles, melodramma tragico di De Giosa su versi di Salvatore Cammarano, e di stabilirsi nel capoluogo campano con l’unico figlio che le era rimasto. Il 30 luglio 1850 invia da Napoli queste righe al fratello Tito Savorani residente a Firenze:
“Io, e il mio Alessandro stiamo benissimo. Non mi sono decisa ad andare in campagna per economia e stiamo in casa Cirella*, in Casa [Brigoli], nel solito appartamento che sai non si sta male nell’estate” (autografo, Fondo Piancastelli cit., C. R., b. 434/37).
Il 24 agosto 1854 da Napoli aggiorna il fratello Tito, che si trova a Forlì, raccomandandogli di ritardare prudentemente la partenza, perché la città è ancora funestata dall'epidemia di colera, anche se in modo minore: “Noi stiamo benissimo, e la malattia va sempre diminuendo e si spera che fra breve non vi sarà più nulla [mortale], se pure hai il Passaporto ritarda ancora di qualche giorno la tua partenza, perché si dice che il cambiamento di aria [possa] fare venire il colera. Addio. Tua Aff.ma Sorella Eugenia (autografo, Bibl. Comunale di Forlì, racc. Piancastelli, C. R., b. 434/64).
Il primo maggio 1855 Eugenia riscrive al fratello Tito, che si era recato a farle visita a Napoli :
“Non puoi credere quanto dispiacere ho provato nel vederti partire, Alessandro poi era inconsolabile (...) Lo condussi subito a Posilipo [sic], dove seguimmo il Vapore fin che si vidde [sic] ed in certi punti pareva tanto vicino che immaginava che ci vedeste, sventolava il fazzoletto che attaccò al bastone e così si distrasse dicendomi di permettergli di andare presto a trovare lo Zio a Forlì, ciò che farò di certo perché la Zia non si affatichi e si conservi forte per farci mangiare i Passatini e l’umidino di pollo fatto dalle sue mani” (autografo, Fondo Piancastelli cit.).
A Napoli Eugenia alloggia dapprima in una lussuosa residenza in Riviera di Chiaia, dove vive a fianco del principe Vincenzo Capece Zurlo e conduce una vita sfarzosa. Talora delizia la nobiltà partenopea in accademie di canto tenute nella propria dimora, come confida al fratello Tito in una lettera inviata da Napoli il 6 agosto 1858: “Cantai la cavatina della Caterina Cornaro di Donizetti, non ti dico l’emozione che ebbi e nonostante a questo la voce è sempre la stessa; mi sorprendo da me stessa di ciò”(autografo, Fondo Piancastelli cit.).
Con Vincenzo Capece, legato ai Borbone, deve però lasciare la città subito dopo l’entrata di Giuseppe Garibaldi tra l’agosto e il settembre del 1860, destinazione Parigi. Il contatto con la grande capitale significa per lei una decisa rinascita. Ed è sempre il fratello Tito ad esserne relazionato da Parigi il 25 settembre 1860: “Parigi è molto più bella di quando l’abbiamo vista nel ’48. Che magnifiche strade, che ordine in tutto. Viva Garibaldi che mi ha fatto venire! […] Dopo la mia immensa disgrazia questi sono i primi giorni che vivo. Che vita, che paese! Non v’è nulla a desiderare (Fondo Piancastelli, cit.). In seguito le rendite della coppia tendono a ridursi e i due amanti, meno ricchi ma sempre molto uniti, devono trasferirsi in un più modesto alloggio in Faubourg St.-Honoré, ma non dimostrano nessuna intenzione di riprendere poi la strada di casa. Questa volta il destinatario della lettera è Quinto, l’unico sopravvissuto dei fratelli, al quale scrive nella primavera 1872: ”A Forlì non mi piacerebbe soggiornare perché è provincia e bisognerebbe ricevere e dar visite, altrimenti si sarebbe sepolti […]. A Parigi, caro Quinto, se tu sapessi come si sta bene, a Parigi si vive, tutto distrae, non si può fare un passo senza essere incantati” (Fondo Piancastelli, cit.).
Nel giugno del 1872 Eugenia però s’ammala di febbre tifoidea e anche per una sorta di apatia psicologica (non si è dimenticata invero delle cure inefficaci prestate dai medici ai suoi due figli) non risponde alla terapia a base di chinino somministratale. Zurlo è sempre al suo fianco, unitamente ad un amico forlivese di nome Francesco Gaudenzi, ma nel tardo pomeriggio dell'11 luglio 1872, a soli 63 anni si spegne. Una settimana più tardi, accompagnata da alcuni amici musicisti e non, la salma viene deposta al “Père Lachaise”, il cimitero parigino degli artisti, in un sobrio monumento funebre, dove è collocata una lapide recante la seguente iscrizione: “A quelle ineffabili armonie anelando / delle quali fu sì gentile rivelatrice in terra / ver la patria celeste / ove ai suoi cari figlioletti riunendosi / il più ardente fra i suoi voti appagava / dalla caduta argilla disciolta / spirito lieve movea / a dì XI luglio 1872 – dall’altissimo Iddio / voi che in questo ostello degli estinti movete / implorate eterna pace per lei”.
A distanza di qualche mese, in novembre per l’esattezza, Zurlo provvederà a inumare le ceneri di Faustina ed Alessandro accanto a quelle della donna amata.
Non ci è stato possibile conoscere le motivazioni che indussero la Tadolini a non esibirsi mai nella sua città natale (pure il soprano forlivese Maria Farneti si astenne forse temendo le critiche pungenti e severe dei suoi concittadini), ma invece Eugenia cantò al Teatro Comunale di Faenza nell'estate 1840 in ben due opere di Donizetti, Gemma di Vergy e Roberto Devereux. Proprio per questo importante evento i faentini fecero stampare un sonetto, rintracciato alla Biblioteca Manfrediana di Faenza:
Ad Eugenia Tadolini ornamento e splendore dell'Emilia per soavità e valore di canto a niuna seconda per leggiadria di volto vaghezza di forme gentilezza di costume a tutti carissima, i faentini la sera del 7 luglio 1840. nel teatro del comune con applausi e con rime acclamavano.
Roberta Paganelli