Adina | Valeria Esposito |
Nemorino | Vittorio Grigòlo |
Belcore | Bruno De Simone |
Dulcamara | Alessandro Corbelli |
Giannetta | Loredana Bigi |
Direttore | Evelino Pidò |
Regia | Riccardo Canessa |
Scene E Costumi | Poppi Ranchetti |
Orchestra e Coro Del Teatro Dell'arena Di Verona |
Mi sono sempre chiesta se il termine opera buffa non sia, per L'Elisir d'amore, un po' riduttivo. Me lo sono sempre chiesta in un momento preciso: il finale dell'atto primo. Il giovane Nemorino, tanto sprovveduto da credere che qualche sorso di Bordeaux imbottigliato in una ampolla da farmacista dall'imbroglione Dulcamara basti a dargli l'amore della ragazza che gli piace, giace a terra disperato: il sergente Belcore sposerà Adina tra poco e lui non sa più a che santo votarsi. Gli insulti del rivale sono così pesanti ed insistiti che rompono, come lo schiaffo di Norina nel Don Pasquale, lo specchio illusorio del comico e inducono a compassione. Così succede che all'apertura del sipario sul secondo atto, aspettiamo quasi con ansia la riscossa di Nemorino, e che con somma soddisfazione lo vediamo corteggiato e coccolato dalle ragazze del villaggio, appena venute a conoscenza che la morte dello zio lo ha reso milionario; che sorridiamo della genuina sorpresa di Dulcamara nel verificare le inaspettate capacità del suo Elisir; che ritorniamo infine a guardare con affetto il ridondante sergente incassare, con il sorriso di tradizione, la scontata gabbatura. La tavolozza di Donizetti arricchisce l'impianto dell'opera buffa di una varietà di colori che, senza farle perdere immediatezza e facilità di lettura, le conferiscono un maggiore e più coinvolgente spessore. Su questo concetto è impostata tutta la parte visiva dello spettacolo. La scena è costruita con elementi da presepe: due case, un arco, una cascatella di carta stagnola e un bel gruppo di statuine sapientemente sistemate che appare, sul Preludio, all'apertura del sipario. Poi, sul coro iniziale, le figurine immobili cominciano a vivere, inanellando una deliziosa catena di cori, duetti, sortite, terzetti, sottolineata, con garbata ironia attentissima alla partitura, dal regista Riccardo Canessa. La scena che colpisce maggiormente per impatto emotivo, scatenando l'applauso a scena aperta, è il finale del primo atto, ma l'apertura del secondo, con Dulcamara che dirige la banda e dal palco dà gli attacchi ad Evelino Pidò, mentre nella piazzetta si svolge una festa con danze paesane è sicuramente quella più efficace e meglio riuscita. Deliziosa la "barcarola a due voci" risolta trasformando all'istante il balcone della casa di Adina in teatrino di burattini. Il mitico Dulcamara, capostipite di imbonitori televisivi, è il bravo Alessandro Corbelli. Il momento culminante di questo ruolo sta nella famosissima aria di presentazione " Udite, udite o rustici" che viene risolta con ironia e musicalità, dopo di che il personaggio viene gestito in modo istrionico e divertente ma anche con qualche gesto ansioso: Dulcamara è un imbroglione che vive scappando precipitosamente da ogni piazza in cui ha venduto il suo Elisir. Meno sottintesi ha la comicità di Belcore, l'unico vero buffo di questa storia. L'interpretazione misurata e quasi contenuta di Bruno De Simone dimostra che non è necessario cadere nella farsa per "sortire l'effetto". E' tutto lì, nella musica e nel libretto, e accentuare risulterebbe probabilmente controproducente. In quest'ottica il momento che ho apprezzato di più è quello degli insulti a Nemorino nel finale primo. Quel "babbuino" ripetuto senza enfasi, quasi mormorato tra sé e sé, fa sembrare ancor più insignificante e improbabile l'illusione d'amore del ragazzo ubriaco che gli ha rovinato la festa di fidanzamento con la bella Adina. Nemorino è il giovane Vittorio Grigòlo, tenore ventiseienne che vanta il debutto sulle scene operistiche, come pastorello, nella Tosca romana con Pavarotti e Kabaivanska di tredici anni fa. Il bel timbro chiaro, il modo di cantare espressivo, con un ottimo fraseggio, e la perfetta aderenza fisica al ruolo, disegnano un personaggio giovane, pulito, indifeso, vibrante di gioiosa voglia di amare, disposto a far cose da pazzi perché ha "d'uopo d'essere amato entro domani"; che vive la sua storia d'amore tra disperazione profondissima "poiché non sono amato voglio morir soldato" e esaltazione estrema "Oh gioia inesprimibile, non mi ingannò il dottor". E la gioventù ad un certo punto imbroglia un po'anche l'interprete, che non risponde alle aspettative proprio dove tutti lo attendono. "Una furtiva lagrima" è infatti l'unico momento di caduta della sua avvincente prestazione. C'era molta attesa per quest'aria anche perché era stato annunciato che il maestro concertatore Evelino Pidò avrebbe proposto la versione scritta da Donizetti undici anni dopo la prima dell'opera. Una parte per canto e pianoforte, scoperta qualche anno fa dal maestro Alberto Zedda che fu eccezionalmente scritta per un tenore baritonale. "Vi sono" - dichiara il maestro Pidò in una intervista al quotidiano l'Arena - "delle variazioni scritte di pugno da Donizetti, molto gustose, suadenti, e una cadenza. Quindi non faremo la cadenza tradizionale che, mi preme dire, sia in minore o maggiore, non è mai stata scritta dal musicista. Solo la nostra tradizione ha portato avanti questo uso. La faremo in tonalità di si bemolle minore, ma con la ripresa variata e con questa cadenza". La variazione risulta bella ed efficace perché modificando leggermente la seconda parte dell'aria le conferisce maggior respiro. Forse il tenore non ne era del tutto convinto e ha avuto paura a cantarla. Adina era il soprano Valeria Esposito. Perfetta nell'arduo e lunghissimo finale dove ha potuto sfoggiare la sua bravura nel repertorio belcantistico, ha avuto qualche problema nei centri, per cui non sempre è risultata efficace in quanto a tratti il suono non arrivava. Garbata la Giannetta di Loredana Bigi e discreto, con qualche distrazione, il coro diretto da Marco Faelli. La direzione di Pidò, volendo probabilmente mettere in evidenza i momenti innovativi di questa partitura che si trova tra Rossini e il romanticismo ha prodotto una lettura molto energica e piena di chiaroscuri che ha provocato una certa discontinuità.
Patrizia Monteverdi