Soprano | Gemma Bertagnolli |
Mezzosoprano | Veronica Amarres |
Tenore | Stefano Ferrari |
Basso | Federico Sacchi |
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice |
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Maestro del Coro | Emanuela di Pietro |
Direttore | Zoltan Pesko |
Faceva freddo ieri sera a Venezia. Un freddo secco con un venticello teso che penetrava nelle ossa, e si aggiungeva al freddo che in noi tutti ha provocato l’improvvisa scomparsa di Marcello Viotti.
Avremmo voluto recarci ad assistere ad uno dei concerti che lo vedevano sul podio, concentrato e sorridente, con uno sguardo rassicurante per ciascuno dei professori d’ orchestra ed un’ occhiata complice all’ indirizzo dei solisti; invece ci si accingeva a presenziare e a render conto di un Requiem in sua memoria, ed il freddo si è fatto più acuto.
In teatro si entra alla spicciolata, in silenzio, chi si conosce si saluta con un cenno, questa non è serata di chiacchiere, di sfoggio di toilettes, di mondanità; siamo tutti qui per piangere e ricordare un grande artista ed un amico, perché Viotti era prima di tutto un amico di noi tutti, di Venezia e del suo teatro, alla rinascita del quale stava adoperandosi con una tenacia ed una dedizione incredibili, che si accompagnavano alla sua innata signorilità ed eleganza.
In sala l’ orchestra ed il coro sono posti a livello della platea, quasi tra il pubblico, il boccascena è coperto con una teletta nera sulla quale spicca la Fenice risorgente dalle proprie ceneri, simbolo di vita eterna mai come in questa occasione. I Professori d’ orchestra si aggirano per la platea, scambiano qualche parola con gli spettatori, aneddoti, tanti rimpianti; l’atmosfera si fa intima, quasi familiare.
Cerchiamo la nostra poltrona, il Direttore ed i solisti sfilano lungo il corridoio centrale della platea e prendono posto, in silenzio.
Il Sovrintendente, il Primo Violino e il Sindaco prendono brevemente la parola; ricordi semplici e sinceri, scevri da qualsiasi accento retorico, la parola che ricorre con maggior frequenza è “amico”.
Dopo un doveroso, intenso, minuto di silenzio l'"incipit” arioso e solenne dell’estremo, incompiuto capolavoro mozartiano.
Se con “Don Giovanni” Mozart ci aveva schiuso le porte dell’ Inferno, facendoci intravedere la dannazione eterna, con il Requiem ci spalanca i cancelli dorati del Paradiso, proiettandoci in una dimensione totalmente trascendente, colma di serena speranza in un’ Eternità di assoluta pace.
La lettura di Zoltan Pesko appare veemente sin dalle prime battute, quasi “protoromantica” quanto a vigore; tempi serrati ma non convulsi, grandissima attenzione agli impasti timbrici, agogica inappuntabile.
L’orchestra ed il coro semplicemente perfetti in ogni sezione, tesissimi ed emozionati; come avrebbero potuto non esserlo. La loro prova è stata assolutamente degna del loro scomparso direttore, che l’avrebbe approvata col suo abituale, cristallino sorriso.
Bene anche i solisti, visibilmente commossi, il soprano Gemma Bertagnolli, il mezzosoprano Veronica Amarres, ed i giovanissimi Stefano Ferrari, tenore, e Federico Sacchi, basso, forse il più emotivamente coinvolto in quanto ultimo tra i solisti ad aver cantato sotto la direzione di Viotti ne “Le roi de Lahore” .
Al termine un lunghissimo applauso ha abbracciato tutti gli esecutori ed è volato in alto, verso Marcello Viotti che tutti abbiamo sentito presente tra noi.
Alessandro Cammarano