Soprano | Céline Scheen |
Mezzosoprano | Giuseppina Bridelli |
Mezzosoprano | Luciana Mancini |
Contralto | Vincenzo Capezzuto |
Tenore | Alessandro Giangrande |
Basso | Joao Fernandez |
Direttore | Christina Pluhar |
L'Arpeggiata |
Il penultimo grande concerto nella Grote Zaal è affidato a colei che qui al festival è una star indiscussa, Christina Pluhar con la sua Arpeggiata, uno degli ensemble più celebri tra quelli nati dal 2000 in poi. Capace di fondere la vena colta con quella popolare, la Pluhar ha sempre ideato programmi compositi accattivanti, lavorando con artisti duttili, ricchi di talento non solo musicale ma anche teatrale. Grande ricercatrice, trova spesso lavori sconosciuti che ci presenta freschi e indimenticabili da subito, accompagnati dai ritmi della sua tiorba con liuti, chitarre e percussioni in primo piano.
Per Napoli ha presentato La pazza uno spettacolo raffinato, ricercato, compatto e coerente. Il titolo deriva da una lunga tirata scritta per voce femminile da Piero Antonio Giramo, compositore di cui non si sa nulla tranne che visse nel Seicento a Napoli. Ad essa è affiancato Il pazzo, stesso autore e stesso contesto.
La pazza di Utrecht è stata Luciana Mancini, mezzosoprano di origine cilena ma svedese di nascita e formazione. Cantante stilisticamente solida, ma anche attrice capace di tenere la scena, scalza nel suo lungo abito verde, con i capelli sciolti e disordinati è riuscita a camminare sul crinale tra divertimento e presunta tragedia, scollinando di qua e di là con criterio. João Fernandez, basso portoghese e comico naturale, è stato il contraltare maschile del pazzo: andatura barcollante, stranito, umorale, in uno sprazzo di follia energetica e creativa si è lanciato in un sillabato vertiginoso, un eroismo vocale alla portata di pochi. Gli altri cantanti, tutti in possesso delle loro facoltà mentali, hanno interpretato brani di varia natura: canzoni, arie, lamenti sempre del periodo e generalmente di raro ascolto. Céline Scheen, soprano belga incantevole in un lungo abito bianco, ha intonato con voce soave arie di Luigi Rossi (1597-1653) e Cristofaro Caresana (1640-1709), mentre Giuseppina Bridelli, in rosso a completamento del tricolore, ha cantato con la consueta sicurezza e comunicativa altre arie di Rossi e Caresana.
Il tenore Alessandro Giangrande ha riscosso un trionfo con Lo guarracino, per una volta sottotitolato in olandese. La sequenza dei nomi dei pesci in dialetto napoletano, tradotta e finalmente resa chiara si è dimostrata irresistibile per il pubblico che ha cominciato a ridere sommessamente ai primi saraghi per sghignazzare senza freno alle anguille finali. Del resto in Olanda il pesce è di casa come a Napoli.
Lo stesso Giangrande, insieme a Vincenzo Capezzuto, ha avuto il privilegio di interpretare una delle canzoni più struggenti del repertorio antico napoletano, Stu pettu e’ fattu cimbali d’ammuri, un duetto di voci maschili intriso di tenerezza in cui Capezzuto è passato in un attimo da contraltista barocco a cantante neomelodico più che convincente.
Gli intermezzi strumentali, tutti scelti tra le opere di Andrea Falconiero (1585-1656) hanno accompagnato l’intero programma, compresa un’improvvisazione jazz in puro stile Arpeggiata. Non è mancata a mossa, finora mai tentata da nessuno al Festival, nel bis danzante con Capezzuto e Luciana Mancini, ballerina tutt’altro che trascurabile.
Il pubblico olandese, ma non è l’unico, ama senza riserve Christina Pluhar, e con ragione. Lo spettacolo di questa sera è stato un omaggio speciale alla grandezza della musica antica napoletana con le sue innumerevoli sfaccettature, cui è stata tributata una degna accoglienza anche dalla sala, entusiasta.
La recensione si riferisce al concerto del 31 agosto 2019.
Daniela Goldoni