Niccolò Jommelli (1714-1774) | Dixit Dominus |
Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736) | Messa in re maggiore |
Soprano | Francesca Boncompagni |
Contralto | Maria Chiara Gallo |
Direttore | Giulio Prandi |
Coro e Orchestra Ghislieri |
Il grande concerto delle 20.00 alla Grote Zaal, più di 1700 posti sempre tutti occupati, questa sera è dedicato alla grande musica sacra napoletana del Settecento, affidata a colui che è considerato, allo stato attuale, uno dei suoi principali studiosi e interpreti, Giulio Prandi fondatore e direttore del Coro e Orchestra Ghislieri. Prandi è uno di quei giovani fenomeni che appartengono già alla seconda o forse terza generazione di direttori barocchi italiani, nonché fondatori di ensemble di valore indiscusso e di livello internazionale, infatti è stato invitato al festival anche come artist in residence. Il programma prevede due opere di due grandi compositori formatisi a Napoli, pressoché coetanei: Niccolò Jommelli (1714-1774) con il Dixit Dominus (1751) e Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736) con la Messa in re maggiore (1732).
Niccolò Jommelli, partenopeo di formazione ma cosmopolita per carriera, compose il suo Dixit Dominus mentre era a Roma al servizio della basilica di San Pietro ma anche della Chiesa di Santa Maria dell’Anima, in cui venne eseguito la prima volta nel 1751. Una breve sinfonia in puro stile napoletano, leggera e danzante, precede il primo coro, Dixit Dominus, quasi completamente monodico e per questo inatteso. La prima aria del soprano, Tecum Principium, sorprende invece per la maestria della scrittura che accompagna la voce verso estremi virtuosismi che non appaiono tali per l‘intelligenza interpretativa di Francesca Boncompagni e di Giulio Prandi, che la accompagna con una linea di suono sottile e sempre più sottile fino a scomparire solo un attimo prima dell’ultima nota filata del soprano, impalpabile eppure perfettamente percettibile nell’immensa sala. Grande spettacolo e delizioso omaggio del direttore alla voce umana cui ha concesso l’ultima parola. Iuravit Dominus regala un’altra sorpresa, con un quartetto di voci sole che nascono nel coro fino a coinvolgerlo del tutto, trascinato da un’orchestra capace di passare dai pianissimi trasparenti del numero precedente a pieni trascinanti. Proprio il controllo assoluto del suono e della dinamica sembra la cifra tecnica di eccellenza di questa orchestra, oltre alla nitidezza delle parti, all’equilibrio delle sezioni e al talento nell’accompagnare il canto, variando le dinamiche nel rispetto delle caratteristiche della voce. Prandi dirige a memoria, senza bacchetta, con gesto sicuro e inequivocabile, lontano da ogni compiacimento: a questo proposito sono memorabili le chiuse, di asciutta eleganza. Anche il giovane contralto Maria Chiara Gallo ha contribuito con la sua voce gradevole e soprattutto stilisticamente impeccabile alla memorabile esecuzione di questo Dixit, benché il suo ruolo fosse meno in evidenza rispetto a quello del soprano. Entrambe sono però tornate a cantare, anche in duetto, per la Messa in Re maggiore di Giovanni Battista Pergolesi, una delle prime composizioni di questo genio, suo malgrado forever young, allora diciottenne. Breve e leggera, si esaurisce in un attimo tra Kyrie e Gloria, facendo appena intravedere quanto accadrà negli anni successivi e ponendo termine al concerto.
Il pubblico, entusiasta, ha sommerso di applausi la sala, fino ad ottenere un bellissimo bis, che riporta Giovanni Battista Pergolesi su quel piedistallo della musica sacra che gli compete. Annunciata in inglese da Prandi, abbiamo ascoltato la versione viennese (1800) per coro e orchestra di Quando corpus morietur dallo Stabat Mater con il suo Amen e, forse per l’orchestrazione cui contribuì anche Antonio Salieri, forse per quelle frasi spezzate dei violini, forse per il tono dolente e disperato del coro abbiamo pensato che forse il Requiem di Mozart comincia dove finisce lo Stabat di Pergolesi: storie di geni morti troppo giovani.
La recensione si riferisce al concerto del 24 agosto 2018.
Daniela Goldoni