Violino | Stefan Milenkovich |
Violoncello | Ettore Pagano |
Direttore | Hartmut Haenchen |
Programma | |
Johannes Brahms | Doppio concerto in la minore per violino, violoncello e orchestra |
Robert Schumann | Sinfonia n.4 in re minore |
Il secondo concerto della stagione sinfonica ha visto il ritorno di grandi artisti che si sono esibiti più volte a Trieste negli anni scorsi: il giovane e già affermatissimo violoncellista Ettore Pagano, il famoso violinista Stefan Milenkovich e l’illustre direttore Hartmut Haenchen.
Programma austero, dedicato a due grandi compositori tedeschi, Johannes Brahms e Robert Schumann.
Credo sia opportuno sottolineare in apertura che il teatro era sostanzialmente esaurito, come in occasione del primo concerto: è importante per la città, in un evidente momento di transizione, che siano affollati anche i luoghi di cultura e non solo le vie più gettonate dal pessimo turismo mordi e fuggi.
La serata è principiata con il Doppio concerto in la minore per violino, violoncello e orchestra di Brahms, una pagina non così frequentata che presenta alcune peculiarità.
La più significativa è che si tratta dell’ultima delle composizioni sinfoniche di Brahms il quale recupera un genere musicale popolarissimo a cavallo tra il 1700 e il 1800: la sinfonia concertante, che ai tempi della composizione era quasi scomparsa dopo i fasti di capolavori come il Triplo concerto di Beethoven.
Peculiare l’Allegro iniziale, che sembra ribaltare i consueti stilemi e comincia con una lunga cadenza prima del violoncello e poi del violino che nel prosieguo si rincorrono in un dialogo fatto di citazioni e rimandi di grande suggestione ed efficacia sino al ritorno dell’orchestra compatta a completare un’architettura severa e imponente.
Meno originale forse, ma di notevole impatto emotivo l’Andante successivo che è improntato a una franca cantabilità e a un sereno lirismo. Nel Rondò finale si colgono elementi popolari e folclorici che imprimono un brio e una vivacità contagiose.
Inutile soffermarsi sulle qualità dei due solisti, che hanno palesato affiatamento nei serrati dialoghi e intesa con l’ottima Orchestra del Verdi guidata con mano precisa da Haenchen e hanno raccolto poi un ulteriore trionfo con un’elettrizzante interpretazione di una Passacaglia di Händel con variazioni di Halvorsen.
La Quarta sinfonia di Schumann è in realtà la seconda composta in ordine cronologico ma, a causa di una serie di ripensamenti, ha visto la versione definitiva solo nel 1852.
Il brano si caratterizza anche perché si dovrebbe eseguire senza interruzioni tra un movimento e l’altro, così come raccomandato dal compositore.
Haenchen ne ha dato una bella interpretazione, intensa e a tratti giustamente cupa, perché una sottile inquietudine percorre tutto l’arco narrativo in cui non si può fare a meno di pensare a Beethoven per una misurata ma solenne magniloquenza.
Bravissimo il Konzertmeister Stefano Furini, di cui ho apprezzato l’austera leggerezza degli arabeschi nell’assolo del secondo movimento, eccellente l’oboe e bellissimo il suono degli archi, in particolare viole e violoncelli; in ogni caso tutta l’orchestra è stata all’altezza della situazione e, non mi stancherò mai di sottolinearlo con forza, poter contare su una compagine di questo livello fa ben sperare per il futuro anche in termini di programmazione.
Alla fine grande successo per tutti, con il pubblico che ha chiamato più volta al proscenio il direttore e acclamato con gioiosa veemenza l’orchestra.
La recensione si riferisce alla serata del 5 ottobre 2024
Paolo Bullo