Mimì | Lana Kos |
Rodolfo | Rame Lahaj |
Musetta | Marje Fajtova |
Marcello | Marcello Rosiello |
Colline | Ivan Šarić |
Alcindoro/Benoît | Dario Giorgelè |
Parpignol | Motoharu Takei |
Schaunard | Vincenzo Nizzardo |
Sergente dei doganieri | Hector Leka |
Doganiere | Giuliano Pelizon |
Venditore ambulante | Dax Velenich |
Regia | Marco Gandini |
Scene | Italo Grassi |
Costumi | Anna Biagiotti |
Direttore | Renato Balsadonna |
Orchestra e Coro del Teatro Verdi di Trieste | |
Piccoli Cantori della Città di Trieste | |
Il livello di questa discreta Bohème di routine è ben registrato dall’applausometro del Verdi, che dà i suoi consensi alla fine delle arie famose, dà i suoi consensi, quasi equi, a tutti gli artisti a fine serata, e continua ad applaudire a lungo. Un applauso alla Bohème, da cui non ci si vorrebbe staccare: un ringraziamento, mai un’ovazione per i singoli, che hanno avuto però il non piccolo merito di mettere in scena una Bohème giovane, ora malinconica ora brillante, nel giro di assai poche prove.
Certo, che le prove fossero di più, che gli spettacoli avessero il tempo di diventare tali, cioè ben digeriti da tutti i partecipanti e non semi improvvisati, sarebbe auspicabile. E toglierebbe di torno tante superficialità e sbadataggini così frequenti nelle messe in scena odierne. La riuscita dello spettacolo, in questo caso, è dovuta non poco alla perfetta organizzazione interna e al superbo brio che sono propri dell’opera, alla quale la routine, mi pare, basta e avanza ed evita spiacevoli(ssimi) guai interpretativi. Ma poiché recensire significa passare in rassegna con scrupolo, qualche pecca dello spettacolo andrà messa in evidenza.
A partire dalla direzione di Renato Balsadonna, attivo negli ultimi anni soprattutto come maestro di coro. Balsadonna ha tenuto il volume dell’orchestra un po’ troppo alto soprattutto nel primo quadro, rendendo le cose difficili a una coppia di protagonisti non in perfetta forma. La sua lettura di Bohème è chiara e, per molti aspetti, segue la lezione di Pappano, col quale collabora a Londra: suono ricco e limpido ma stacchi spigliati e briosi, protagonismo dell’orchestra (anche troppo, come detto), un buon lavoro con il coro, che forse non per caso ieri sera ha cantato meglio del solito. Ma gli indugi nelle arie e i vistosi rallentamenti, che vorrebbero dare risalto al lato sentimentale della Bohème, finiscono per conferire ai ragazzi in scena una solennità inadeguata. Rodolfo, che come Mimì comincia la serata peggio di come la finisca, ha qualche problema con i fiati nella Manina; la povera Mimì, che ha l’occasione di mozzare il fiato con il cambio di armonia e il passaggio dall’Allegretto moderato all’Andante molto sostenuto (“con molta anima”, aggiunge Puccini) di Ma quando vien lo sgelo, deve attaccare dopo un rallentando che è quasi una frenata e che, anziché dare vigore a quel molto sostenuto, lo indebolisce. L’enfasi fa male alla Bohème, a meno che non ci sia un Karajan – anzi, anche in quel caso. Il coro diretto da Fulvio Fogliazza, tuttavia, come già detto ha dato una bella prova nell’animatissimo secondo quadro, ben condotto dal sobrio ma non superficiale regista Marco Gandini. Le semplici scenografie di Italo Grassi, essendo molto prossime alla buca, non solo donano all’intero spettacolo la giusta aria di intimità ma permettono anche ai cantanti un certo agio nell’emissione, contrastando così il volume dell’orchestra. Ben pensati i movimenti delle masse, delicato l’ultimo quadro, svolto in una casa ormai completamente spoglia che corrisponde quasi esattamente alla grigia barriera d’Enfer del terzo quadro: una regia che vuole raccontare la Bohème e non interpretarla (che, se non c’è qualche vero genio in giro, significa sovrainterpretarla), conquistando già solo per questo la piena sufficienza.
Rodolfo e Mimì, dunque, cominciano indecisi e acquistano entrambi fiducia dopo il primo dei due intervalli. Resta però un decisivo problema per il giovane tenore kosovaro Rame Lahaj, di bell’aspetto, bravo in scena, discreto nell’interpretazione ma dall’intonazione troppe volte imprecisa. Una certa tensione (e forse, a quel che si dice, condizioni fisiche non perfette) rendono un po’ meccanico il primo quadro; una maggiore disinvoltura nel resto della serata rendono più evidenti le qualità di una voce omogenea nei registri e adatta alla parte, anche non ancora appoggiata con sicurezza. Le note ci sono tutte, ma diverse vanno aggiustate: manca, forse, la confidenza con la parte, tutto sa ancora un po’ di esperimento, di prova. Un’interpretazione da rimandare, come tutto sommato quella di Lana Kos, che ha dovuto sostituire Alexia Voulgaridou alle prese con problemi personali. Una certa acidità nella voce compromette in parte anche il suo primo quadro: ma negli ultimi due il fraseggio si fa più spigliato e l’interpretazione più sicura, e l’ultima scena mostra, nel suo caso, una sicurezza attoriale ormai conquistata. Il migliore della serata è Marcello Rosiello nei panni dell’omonimo pittore: il baritono non teme il volume dell’orchestra, essendo la sua voce voluminosa, presente ma senza esagerare, scandita da una dizione impeccabile, musicale, e che poggia anche su un piglio sicuro in scena. Marje Faitova spinge la sua Musetta agli eccessi che competono al personaggio: da Momus non risparmia la sua voce, ampia e ben proiettata anche se poco sfumata, ma trova poi i giusti accenti nel finale. Divertente ed elegante lo Schaunard di Vincenzo Nizzardo, già apprezzato nella recente Cenerentola, mentre fatica alquanto Ivan Šarić, Colline adeguato nel personaggio ma ancora un po’ ingessato nel canto. Bravi tutti gli altri, coinvolti in una recita la cui freschezza, di là dai difetti, salva senz’altro la serata. Si replica fino al 21.
La recensione si riferisce allo spettacolo del 13 Maggio 2016
Lorenzo De Vecchi