Corrado | Luciano Ganci |
Medora | Mihaela Marcu |
Gulnara | Paoletta Marrocu |
Seid | Alberto Gazale |
Eunuco | Romina Boscolo |
Giovanni | Michail Ryssov |
Schiano | Alessandro De Angelis |
Maestro conceratore, direttore, regia e progetto luci Gianluigi Gelmetti | |
Scene | Pierpaolo Bisleri |
Dipinti | Franco Fortunato |
Costumi | Giuseppe Palella |
Realizzazione e disegno luci | Iuraj Salieri |
Maestro del Coro | Paolo Vero |
Regista collaboratore | Eleonora Paterniti |
Direttore assistente | Paolo J.Carbone |
Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste | |
Coproduzione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste e Opera di Monte Carlo | |
Le tetre immagini di Gianluigi Gelmetti
Il Teatro Verdi di Trieste apre la stagione 2013 con il doveroso omaggio al nostro compositore più noto, proponendo una delle sue opere più reiette, Il Corsaro, che debuttò proprio nella città giuliana.
Nelle settimane scorse si è parlato molto della genesi un po’ accidentata dell’opera e delle sfortunate circostanze per cui Verdi non partecipò alla prima del 25 ottobre 1848, normalmente considerata causa principale del documentato scarso successo all’esordio.
La sensazione è che si volesse nobilitare un lavoro che in realtà resta confinato, per ispirazione e sviluppo drammaturgico, tra le opere minori di Verdi pur contenendo in nuce elementi che forniranno al geniale compositore lo spunto per la fenomenale trilogia di pochi anni successiva.
I caratteri sono tagliati con l’accetta, monolitici e stereotipati – quasi degli archetipi - e forse solo Gulnara, il personaggio più forte dal punto di vista drammaturgico, può vantare una concreta evoluzione psicologica.
Il Corsaro è perciò un’opera di transito e riflessione che – a mio modo di vedere – va ascoltata “di pancia” godendo dei non pochi momenti pienamente convincenti e allo stesso tempo guardando con indulgenza alle altrettanto numerose pagine meno riuscite.
Gianluigi Gelmetti, che con le partiture verdiane può vantare un’esperienza lunghissima, sembra ispirarsi a queste linee guida e infatti – in pieno accordo col Maestro di Busseto, che spesso nel suo lavoro rapportava le vicende private sullo sfondo degli avvenimenti storici, si pensi solo ai Due Foscari o a Otello – ci racconta la trama del Corsaro inserendola nel ben più ampio contesto dell’eterno conflitto tra religioni e dei reiterati equivoci tra Oriente ed Occidente che scatenano la tragedia più grande della storia dell’umanità: la guerra, che diventa così la vera protagonista dell’opera.
Anche la regia di Gelmetti, come l’opera di Verdi, è d’ispirazione alterna. Alcuni momenti risultano felici, come la spoglia scena del carcere e il successivo episodio dell’omicidio di Seid, immerso in una suggestiva atmosfera onirica valorizzata dalle livide luci. Oppure l’episodio della battaglia nel palazzo del Pascià, in cui il dinamismo è delegato a proiezioni di filmati di guerra mentre tutti i protagonisti, vinti e vincitori, subiscono la violenza delle immagini. In altre occasioni, invece, gli esiti sono quasi imbarazzanti e risultano involontariamente comici: paradigmatica in questo senso l’entrata dei corsari abbigliati con costumi che facevano pensare agli incursori di un corpo speciale e contemporaneamente alle truppe di qualche B movie di fantascienza.
L’ambientazione dell’haremme è più classica, col consueto campionario di lascive odalische, promiscuità sessuali varie e violenze gratuite, ma anche in questo frangente c’è un richiamo piuttosto ingenuo all’attualità.
I personaggi principali sono spesso accompagnati da una figura simbolica (un’attrice vestita di bianco) che li conduce al loro tragico destino.
Insomma, per dirla in parole semplici, Gelmetti in veste di regista mette troppa carne al fuoco e la fluidità dello spettacolo, anche per la discreta laboriosità dei cambi di scena, ne risente.
Peccato perché le idee, anche quelle più curiose, di Gelmetti, sono state ben realizzate dalle ampie scene di Pier Paolo Bisleri, dai variopinti e fantasiosi costumi di Giuseppe Palella, dalle spettacolari luci di Jurai Salieri. Molto suggestivi e cromaticamente affascinanti anche i dipinti di Franco Fortunato.
È di tutt’altro livello la prova di Gelmetti in veste di direttore il quale, se è vero che fa qualche taglietto alla partitura e lo dichiara apertamente in un’intervista allegata al libretto di sala (tra l’altro, finalmente piuttosto interessante ed esaustivo) è anche vero che conduce una magnifica Orchestra del Verdi a una grande prova che si manifesta già nelle note del tumultuoso ma asciutto Preludio.
Gelmetti riesce a trovare il giusto equilibrio tra le parti più liriche e quelle più tipicamente connotate dalla baldanza degli anni di galera verdiani e non è impresa da poco, perché nelle strette e nei concertati il pericolo del clangore e della ricerca del volume fine a se stesso è sempre dietro l’angolo. Un plauso particolare vada agli archi dell’orchestra triestina.
Inoltre, il direttore accompagna con grande discrezione – ma anche con ferrea disciplina – i cantanti. Perfetti anche i tempi degli interventi del Coro, intensamente impegnato anche dal punto di vista scenico.
L’ho scritto tante volte: l’Orchestra e il Coro del Verdi sono beni preziosissimi.
Luci ed ombre sul versante dei cantanti.
Luciano Ganci è un tenore che ha grandi potenzialità e la prova di questa sera lo conferma.
La voce è virile, ben timbrata, di buon volume e di colore schiettamente mediterraneo. La parte di Corrado è centrale con qualche sbalzo ai primi acuti ma necessita di una buona tecnica di respirazione, altrimenti non si porta a casa perché – solo per fare un esempio banale – il gioiello dell’aria del terzo atto (Eccomi prigioniero) diventerebbe uno scoglio insormontabile senza un legato di qualità. La dizione è buona e l’accento assolutamente pertinente così come il fraseggio appare attento. Quando Ganci riuscirà a gestire meglio le mezzevoci, che ora suonano un po’ strozzate, come se l’artista fosse timoroso di affrontarle, credo che il rendimento complessivo farà un notevole salto di qualità. Comunque nel complesso, anche per la disinvolta presenza scenica e la misura nella gestualità, il tenore è stato protagonista di una buona prestazione.
Bravo anche Albero Gazale, alle prese con un personaggio dal carattere forte ma piuttosto monolitico di cui però ha saputo evidenziare l’unico momento di riflessione, e cioè il recitativo e l’aria “Cento leggiadre vergini”. Autorevole, anche se in difetto di un po’ di volume, l’entrata “O prodi miei sorgete”. Interpretazione baldanzosa, quella del baritono, psicologicamente centrata anche negli aspri duetti con Corrado e Gulnara e impreziosita dalla grande padronanza del palcoscenico.
La giovane Mihaela Marcu era Medora. Inevitabile quindi il riferimento all’aria più famosa dell’opera, “Non so le tetre immagini”, nel quale il soprano non ha convinto troppo. Già nel recitativo si è notato come la pronuncia e la dizione siano rivedibili ma, soprattutto, che la prima ottava è evanescente. Nell’aria poi, a fronte di qualche nota calante, la Marcu ha trovato qualche buon filato in pianissimo. Gelmetti – nella sua veste di regista – ha voluto connotare questo personaggio angelicato di un carattere un po’ più determinato, ma l’indicazione si è manifestata solo con un’espressione truce in volto che ha lasciato perplessi. Un po’ meglio, ma non tanto, è risultato il finale, probabilmente più per merito della musica che dell’interprete.
Paoletta Marrocu era nei panni della scomodissima Gulnara e il suo inizio è stato piuttosto problematico, con salite agli acuti vicine al grido e agilità meccaniche e difficoltose. Certo, l’interprete si è fatta valere nell’accento e anche nella presenza scenica, com’è ovvio attendersi da un’artista della sua esperienza. Più centrato, decisamente, il duetto del carcere con Corrado e anche quello precedente con Seid, ma nel complesso – anche per una gestualità, non so quanto imposta, piuttosto marcata – il personaggio non mi è sembrato risolto.
Hanno positivamente contribuito allo spettacolo Michail Ryssov (Giovanni), Romina Boscolo (Eunuco) e Alessandro De Angelis (schiavo).
Il pubblico della prima, serata di gala e quindi accanto agli spettatori tradizionali si sono notate le presenze di politici e personalità varie, ha accolto bene questo Corsaro.
Insolitamente numerosi i giovani presenti in teatro, come parzialmente documentato dall’immagine in apertura. A questo proposito segnalo che sarebbe importante ripristinare i sopratitoli, perché non credo che i ragazzi conoscano il testo dei libretti, soprattutto se alle prime esperienze in teatro. L’orecchio attento ha colto qualche entusiasmo di troppo dovuto a claquer, ma tutto sommato il gradimento è risultato spontaneo e Luciano Ganci ha raccolto un rilevante successo personale.
Concludo dicendo che la presenza in sala di molti critici di testate importanti è un buon segno: la visibilità è fondamentale per far conoscere il lavoro che, in tempi grami, si sta facendo a Trieste.
Paolo Bullo