Orfeo | Mauro Borgioni |
La Musica e Proserpina | Roberta Invernizzi |
Euridice | Francesca Boncompagni |
La Messaggera e la Speranza | Monica Bacelli |
Caronte | Luigi De Donato |
Plutone | Luca Tittoto |
Apollo e Primo pastore | Fernando Guimarães |
La Ninfa | Leslie Visco |
Eco e Secondo spirito | Joshua Sanders |
Primo spirito e Secondo pastore | Luca Cervoni |
Terzo pastore | Marta Fumagalli |
Quarto pastore e Terzo spirito | Davide Motta Fré |
Realizzazione del basso continuo | Strumentisti della Cappella Neapolitana |
Direttore | Antonio Florio |
Regia | Alessio Pizzech |
Scene | Davide Amadei |
Costumi | Carla Ricotti |
Coreografia | Isa Traversi |
Luci | Andrea Anfossi |
Maestro del coro | Andrea Secchi |
Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino e Ensemble La Pifarescha | |
Nuovo allestimento |
L’appuntamento annuale che il Regio riserva al repertorio barocco, iniziativa particolarmente apprezzata del direttore artistico Gastón Fournier-Facio, è andato direttamente alle origini del melodramma proponendo una nuova produzione dell’Orfeo di Claudio Monteverdi. Grazie ai recenti e approfonditi studi di Alberto Bassodedicatiallemusiche e gli spettacoli nella Torino dei secoli dell’ antico regime (da poco pubblicati nei due corposi volumi “L’Eridano e la Dora festeggianti”) sappiamo oggi che probabilmente la “Favola in musica” del musicista cremasco, su libretto di Alessandro Striggio, arrivò nella capitale dell’allora Ducato sabaudo, nel salone delle feste dell’antico Palazzo di San Giovanni, già nel 1610 quindi a soli tre anni dalla prima esecuzione nella “sala del partimento” (probabilmente l’odierna Galleria dei Fiumi) del Palazzo Ducale di Mantova. Anche a Torino, come avvenne nella città dei Gonzaga, ad interpretare il ruolo del protagonista fu allora Francesco Rasi, nobile allievo di Caccini e cantore al servizio del Granduca di Toscana.
Nonostante l’illustre passato, l’opera di Monteverdi comparirà ufficialmente nelle stagioni del Teatro Regio solamente nel 1996 con un’apprezzabile esecuzione, nell’ambito di Settembre Musica, tra gli stucchi e i velluti barocchi del Carignano. Ora finalmente l’Orfeo è giunto per la prima volta in veste scenica e, con qualche apprensione tecnica, anche nella sala disegnata da Carlo Mollino. Nuovamente utilizzabili gli impianti di scena dopo l’incidente dello scorso Gennaio, il numeroso pubblico della prima ha potuto assistere ad uno spettacolo di altissimo livello che è stato anche occasione del doppio debutto del direttore Antonio Florio nel titolo e sul podio del Regio.
Notoriamente specializzato nel repertorio partenopeo del XVII e XVIII secolo, il maestro ha scelto di lavorare sull’edizione critica della partitura da poco curata da Rinaldo Alessandrini dirigendo l’orchestra del Regio rinforzata dall’ensemble strumentale La Pifarescha e dagli Strumentisti della Cappella Neapolitana (per la realizzazione del basso continuo). Grazie alla numericamente generosa compagine strumentale, Florio ha brillantemente superato la sfida di portare in scena l’opera di Monteverdi (pensata per i ristretti ambiti di una corte) di fronte all’ampia platea ad anfiteatro del Regio. Con la piena consapevolezza del contesto storico nel quale si pone il capolavoro monteverdiano – nell’ultimo sprazzo dell’età rinascimentale e ai bagliori del barocco – il direttore è riuscito a far pienamente emergere la prorompente forza espressiva della scrittura musicale monteverdiana sia nelle parti cantate che in quelle dell’accompagnamento strumentale.
Una comunicativa – quella dell’Orfeo - sempre attuale e oggi rivitalizzata dalle decisive conquiste di una prassi esecutiva “correttamente informata” che consente all’ascoltatore odierno di apprezzare intatto tutto il vigore della partitura. Energia prorompente che Florio ha saputo cogliere e sottolineare in modo ideale in questa esecuzione torinese. Basti citare ad esempio l’intensità sferzante con la quale il direttore è riuscito nella resa degli accordi spesso dissonanti dei musicisti con le voci oppure le asprezze delle linee vocali che descrivono i momenti gioiosi e dolorosi della vicenda. Con una continua attenzione alla carica teatrale dell’opera e grazie ad un lavoro di squadra ben coordinato con l’orchestra, Florio ha garantito un accompagnamento morbido nella narrazione e perfettamente aderente al profluvio di soluzioni musicali della partitura.
Dal punto di vista visivo Alessio Pizzech ha creato uno spettacolo avvincente che, oltre all’eleganza (sapientemente calibrata con i costumi semplici ma di buon gusto di Carla Ricotti), ha voluto scavare nei contenuti del lavoro. Il regista livornese ha infatti pensato alla vicenda di Orfeo come spunto ideale per la narrazione di un percorso emotivo dei personaggi e, in particolare, del protagonista. Un viaggio di autoconsapevolezza, conseguente al confronto con la morte, serratamente scandito dai tempi, dai colori e dalle luci (funzionali quelle di Andrea Anfossi) di un contesto nel quale a regnare sovrana è la natura. Portando in scena pesanti pannelli lignei e geometrie dei pavimenti di antichi saloni, realizzati da Davide Amadei, Pizzech ha voluto riproporre la dimensione raccolta e cortigiana delle prime esecuzioni, senza per questo rinunciare ad aprire il racconto sulla mutevolezza della natura.
Gli ascoltatori hanno così potuto vedere le sgargianti e primaverili amenità pastorali nel giorno delle nozze di Orfeo ed Euridice, l’appassire autunnale all’inaspettata notizia della morte di Euridice e la desolazione invernale che caratterizza il mondo degli inferi. In questo sviluppo del rapporto tra uomo e natura e del tragico confronto con la caducità terrena e la morte, il regista ha chiaramente voluto portare alla luce i legami culturali e speculativi che legano l’Orfeo agli estremi sprazzi del Rinascimento senza però trascurare, allo stesso tempo, di sottolineare la novità del lavoro nella sua spiccata sensibilità teatrale.
In un approccio che diventa così una spietata riflessione sull’uomo, sul tempo e sulla natura, Pizzech ha efficacemente evidenziato il compito salvifico del bello e dell’arte, unici strumenti in grado di dare eternità ai sentimenti umani. L’apoteosi finale del protagonista, annunciata e accompagnata da Apollo, è quindi divenuta momento di apertura dell’uomo – artista dai ristretti ambiti sociali terreni verso dimensioni aperte e senza orizzonti. Ecco così che gli imponenti e pesanti pannelli, che delimitavano più o meno oppressivamente i quadri della vicenda, si aprivano finalmente su di uno spazio caratterizzato unicamente da una luce avvolgente e calda. In questa avvincente lettura, il regista non ha tralasciato di sottolineare il ruolo del coro (l’altra sera magnificamente preparato da Andrea Secchi) recuperandone, come avveniva nella tragedia classica, la centralità nel ribadire implacabilmente, con i suoi frequenti moniti, la caducità delle gioie terrene. Non secondario al buon risultato della messinscena il dinamismo e la naturalezza degli interventi coreografici di Isa Traversi.
Venendo al versante musicale dello spettacolo notiamo come, in un lavoro come l’Orfeo, non sarebbe appropriato analizzare le voci unicamente sulla base dei consueti parametri: l’attenzione deve qui concentrarsi non tanto su estensioni, volumi o bellezze di suono, ma principalmente sulla capacità del cantante nel dare risalto e plasticità alla parola, alla sensibilità per un canto – riprendendo le parole di Lorenzo Bianconi – che “esalta la parola e nel contempo si abbassa verso di essa”. Ciò posto, è stata sensazionale la prova di Mauro Borgioni nel ruolo del protagonista. Il baritono perugino, oltre alle indubbie qualità e virtù vocali, ha acutamente tratteggiato una crescita nella consapevolezza del personaggio: dal carattere gigionesco e ingenuamente spensierato il cantore è progressivamente passato, nel momento del confronto con la morte, ad una maturità e ad una determinazione che gli consentiranno di affrontare l’oltretomba. La straordinaria forza vocale di Borgioni ha saputo trovare la giusta intonazione per tratteggiare la spontanea e palpitante passionalità del protagonista nel momento delle agognate nozze con l’amata Euridice e successivamente la fermezza battagliera durante il viaggio nell’Ade.
Il cantante ha poi saputo magnificamente cogliere le differenziazioni stilistiche che Monteverdi ha riservato al protagonista: il canto spiegato e radioso di “Rosa del ciel”, la saltellante giocosità di “Vi ricorda o boschi ombrosi”, la vigorosità incantatoria dei ghirigori vocali di “Possente spirto e formidabil nume”, l’incisiva evanescenza in “Bella Euridice”, la vibrante assertività di intonazione di “Orfeo sono io”.
Tutte pienamene convincenti le voci che hanno fatto da contorno al protagonista: Roberta Invernizzi (Musica e Proserpina) straordinaria nella soavità del canto e nella sua sensibilità di restituire tutto il significato di ogni singola parola, la limpida ma un po’ diafana Euridice di Francesca Boncompagni, Monica Bacelli magnifica per potenza musicale e teatrale nel doppio impegno della Messaggera e della Speranza, le potenti voci gravi di Luigi De Donato (Caronte) e Luca Tittoto (Plutone), il radioso Fernando Guimarães (Apollo e Primo pastore), la splendente Leslie Visco (Ninfa), gli impeccabili Joshua Sanders (Eco), Luca Cervoni (Secondo pastore), Marta Fumagalli (Terzo pastore) e Davide Motta Fré (Quarto pastore).
Al termine dello spettacolo unanime e caloroso apprezzamento da parte del pubblico.
La recensione si riferisce alla prima del 13 Marzo 2018
Lodovico Buscatti