Violetta Valery | Dèsirèe Rancatore |
Alfredo Germont | Piero Pretti |
Giorgio Germont | Luca Salsi |
Flora Bervoix | Samantha Korbey |
Annina | Francesca Rotondo |
Gastone | Luca Casalin |
Il barone Douphol | Paolo Maria Orecchia |
Il marchese d'Obigny | John Paul Huckle |
Il dottor Grenvil | Davide Motta Fré |
Giuseppe | Sabino Gaita |
Un domestico | Marco Tognozzi |
Un commissionario | Marco Sportelli |
Ballerini | Simona Tosco, Luca Martini |
Direttore d'orchestra | Francesco Ivan Ciampa |
Regia e costumi | Laurent Pelly |
Ripresa della regia | Laurie Feldman |
Scene | Chantal Thomas |
Luci | Daune Shuler |
riprese da | Andrea Anfossi |
Assistente alla regia e movimenti coreografici | Anna Maria Bruzzese |
Direttore dell'allestimento | Saveri Santoliquido |
Maestro del Coro | Claudio Fenoglio |
Orchestra e Coro del Teatro Regio | |
Allestimento Teatro Regio in coproduzione con Santa Fe Opera Festival | |
Parigi, cimitero di Montmartre. Una pioggia sottile cade sulle lapidi nude, mentre un corteo funebre accompagna il feretro di Violetta Valery.
Risuonano, intanto, le note del dolente preludio e sul palcoscenico domina il grigio, la penombra.
Silenzio.
Poi gridolini striduli e risate: ecco che attacca l’introduzione e parte il flash back, un lungo sprazzo di vita di Violetta.
Compare lei, abito fucsia, stivali e autoreggenti: arriva saltando sui sepolcri, che ora sono semplici parallelepipedi accatastati e che diventano letti, tavoli, piani dove uomini e donne si danno alla pazza gioia. L’atmosfera è quella dei peggiori bordelli di periferia. Lei passa da un uomo all’altro, ride, urla, si fa palpeggiare da questo e da quello. Baccano, allusioni, squallore. Fino all’incontro con Alfredo e alle prime increspature nel cuore della ragazza..
La regia di Laurent Pelly, ripresa da Laurie Feldman , è diretta e tagliente: sbatte sul palcoscenico il sordido e il volgare per poi accompagnare la trasformazione dell’animo di Violetta con acuta sensibilità, evidenziando le emozioni più vive, esaltando la passione dei due amanti, il dolore della rinuncia, l’onore, l’orgoglio, la rabbia feroce del tradimento, il disprezzo e la mortificazione, il pentimento, la sofferenza. Lo spettacolo – nella sua totale “libera” originalità - ha senza dubbio un forte impatto drammatico, che culmina nella morte della donna, in preda al delirio e alle visioni: Alfredo e Germont scompaiono nel buio, sono solo immagini della mente, non sono mai arrivati al suo capezzale. Violetta muore da sola. Fine del flash back.
E’ proprio la morte, del resto, il fil rouge di questa Traviata. I sepolcri non vengono mai tolti dalla scena, semplicemente si trasformano: alcuni dei coperchi, sollevati, sono dipinti con il cielo sereno nel secondo atto, a sottolineare l’idillio d’amore. Poi diventano pedane e arredi – naturalmente anche tavolo da gioco – nella casa di Flora, durante una festa che diventa il momento più esplosivo, scenograficamente, dello spettacolo, pur nella sua essenzialità: sotto un gigantesco lampadario, efficaci sono i contrasti cromatici di luci e costumi, originali e frizzanti le coreografie, ben inseriti tutti i movimenti scenici.
Infine diventano, quei sepolcri, proprio il letto di morte, coperti da lenzuoli bianchi che squarciano l’oscurità del palcoscenico.
In tutto questo, l’intervallo a metà del secondo atto – scelta anomala – bene si inserisce, rilevando tuttavia l’assoluta libertà registica rispetto al taglio scenico originale e alle probabili intenzioni verdiane: sospende e trattiene l’ira di Alfredo che sconvolto si precipita a Parigi e unisce senza soluzione di continuità la stanca umiliazione della donna “prezzolata” alla prostrazione della malattia. Un suo senso ce l’ha. Violetta, spogliata degli abiti mondani e indossata la candida camicia da notte, viene adagiata, ormai terminale, sul letto di morte, mentre in orchestra suona nuovamente il preludio.
Sul podio, Francesco Ivan Ciampa ottiene dalla reattiva orchestra torinese suono, corpo, intensità espressiva, seguendo adeguatamente i cantanti e mantenendo un buon equilibrio con la buca; asseconda i momenti registici forti ed esalta la carica drammatica della partitura, ottenendo una fusione coerente e compatta con il palcoscenico nel suo complesso. Lascia libera la protagonista nella sua interpretazione ma non molla mai la tensione, scegliendo dei tempi molto sostenuti e incalzanti.
Ottimo il cast per questa Traviata torinese.
Una attesissima Desirèe Rancatore non ha certo deluso le aspettative, sollevando ovazioni in platea. Splendida l’interpretazione, molto libera e personale, che riesce a rendere in maniera assai efficace l’evoluzione psicologica del personaggio, prima frivola soubrette dei bassifondi, poi femmina innamorata e devota, quindi donna determinata e composta pronta al sacrificio per il suo uomo, infine dolente e coraggiosa maschera di morte. Alle funamboliche agilità vocali che la fanno regina incontrastata dell’inizio, uniamo però una bella dolcezza espressiva con cui riesce a rendere la profonda intensità del secondo atto e una sempre maggior pregnanza nel registro centrale, che la rende efficace nei momenti più drammatici: meravigliosa nel registro sovracuto, brillante e cristallina, con piano delicatissimi e morbidissimi legati, è stata una grande protagonista della serata.
Insieme a lei, splendido Luca Salsi (Germont): corposo il timbro, morbida ed omogenea l’emissione, ha delineato un personaggio convincente, duro e spietato all’inizio, poi dolente, profondamente attaccato al figlio, infine contrito e disperato. Salsi piega la voce alle esigenze drammatiche, il canto è espressivo, intenso, capace di apprezzabilissime finezze, di delicate sfumature e di piene sonorità. A lui, naturalmente, il caldo consenso di tutta la platea.
Terzo protagonista Piero Pretti (Alfredo), anche lui bene ha restituito il personaggio, quando è innamorato e passionale, ma anche nella sua irruenza e cieca impulsività: la voce è corposa, dalla bella sonorità, gestita con intelligenza e gusto. Solo a tratti ha avuto un’emissione più faticosa, che ne ha compromesso la morbidezza, valga ad esempio il famigerato acuto della cabaletta O mio rimorso! O infamia, temuto varco che attende, sempre, i tenori “impavidi”.
Corretto il resto del cast e molto buona la prova – anche scenica - del Coro del Teatro torinese, diretto da Claudio Fenoglio.
Barbara Catellani