Il Conte d'Almaviva | Francesco Marsiglia |
Don Bartolo | Simone Del Savio |
Rosina | Marina De Liso |
Figaro | Davide Luciano |
Don Basilio | Carlo Lepore |
Fiorello | Lorenzo Battagion |
Berta | Marta Calcaterra |
Un ufficiale | Franco Rizzo |
Ambrogio | Gianluca Pizzetti |
Direttore | Alessandro De Marchi |
Maestro al fortepiano | Jeong Un Kimal |
Regia | Vittorio Borrelli |
Scene | Claudia Boasso |
Costumi | Luisa Spinatelli |
Luci | Andrea Anfossi |
Maestro del coro | Andrea Secchi |
Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino | |
Allestimento del Teatro Regio di Torino |
Il Regio di Torino non pare abbia scommesso molto sull’anno rossiniano che è da poco iniziato. Per il 150° anniversario della morte dell’illustre pesarese sulle scene di Piazza Castello è tornato, per quattro recite sold out di pubblico, il Barbiere di Siviglia (tanto per cambiare) nell’allestimento super rodato di Vittorio Borrelli e la bacchetta di Alessandro De Marchi. Chiariamo: non è certamente sbagliato celebrare Rossini con l’unica opera del suo repertorio a non essere mai uscita dalla circolazione, ma se si decide di optare per questo titolo rispetto ad una Donna del Lago, al Mosé o al Viaggio a Reims (citando solo alcuni dei titoli rossiniani dimenticati dal Regio), lo si dovrebbe fare con una produzione nuova e innovativa, che vada al di là di una pur ottima routine. La logica di una simile scelta da parte del teatro è spiegabile unicamente nella necessità di far cassa a basso costo.
Per altro, sul piano artistico e soprattutto su quello musicale, le cose sono andate abbastanza bene. Certo siamo rimasti un po’ delusi per l’ennesima omissione del rondò con coro di “Cessa di più resistere” che sancisce la decisiva vittoria del Conte di Almaviva nella conquista di Rosina. E dire che nel libretto di sala, l’interessante articolo di Saverio Lamacchia chiariva ancora una volta il peso del significato drammatico del numero sgombrando il campo da ogni possibile accusa di aria di “sorbetto”. D’altra parte la qualificata presenza di Alessandro De Marchi, autorevole esponente della prassi esecutiva “informata”, pareva sulla carta una garanzia per il rispetto dell’integrità della partitura.
Il recupero dell’appassionata aria del Conte, pensata per il celebre Manuel Garcìa, è stato uno dei tanti frutti della Rossini renaissance quando si eclissò finalmente un modello di tenore tipicamente adolescenziale ed evanescente. L’aria è certamente impervia nel virtuosismo e nella mutevolezza emotiva ma pensiamo che Francesco Marsiglia avrebbe avuto le carte in regola per affrontarla senza troppi problemi. D’altra parte, nel corso della recita, Marsiglia ha mostrato un’apprezzabile sicurezza nella coloratura e un canto di agilità forse non galvanizzante ma comunque più che decoroso. Nella serenata del primo atto, il tenore napoletano ha poi dato carattere al Conte di Almaviva mostrandone un’indole decisa e certamente poco svenevole.
Piccola delusione a parte e tornando al risultato complessivo dello spettacolo, notiamo come l’onesto lavoro di Vittorio Borrelli rientri perfettamente nelle corde di un teatro di repertorio, in grado cioè di produrre con una certa frequenza titoli popolari. Professionalità formatasi e cresciuta al Regio (prima come direttore di scena) Borelli aveva realizzato una decina di anni fa questo Barbiere in vista di un’esecuzione en plen air nei giardini del Castello reale di Racconigi, la residenza estiva di Re Carlo Alberto. La lettura di Borrelli è stata univoca nel seguire il filone della commedia cercando di proporre continue gags e farse non sempre appropriate.
Se infatti può andar bene ridere nel vedere le vicissitudini pensate per lo stecchito Ambrogio di Gianluca Pizzetti, una personificazione della grettezza di Don Bartolo, alcune trovate corrono il rischio di fermarsi alla superficie del capolavoro rossiniano. E’ stato il caso per le numerose controscene che, pur divertendo il pubblico, hanno troppo spesso distolto l’attenzione dall’azione principale. Così è avvenuto anche per il mare di valigie che affollavano la scena al momento del tentativo di fuga dei protagonisti dalla magione - “sepoltura” di Don Bartolo. Una bizzarria, in linea con il genere dell’opera buffa, che ha buttato sul ridicolo tutta la forza emotiva della dichiarazione (“Almaviva son io: non son Lindoro”) con il quale finalmente il conte rivela la propria identità all’amata Rosina. Nonostante ciò riteniamo che sia stata sicuramente apprezzabile la capacità di Borrelli nel far funzionare con sincronia e attenzione ad ogni dettaglio una macchina complessa quale è quella del Barbiere. Una solida professionalità che abbiamo ritrovato anche nei piacevoli costumi di Luisa Spinatelli, nellescene leggere e facilmente maneggevoli di Claudia Boasso, perfettamente coerenti con la collocazione storica del libretto di Sterbini derivato da Beaumarchais, e non da ultimo nelle avvolgenti luci di Andrea Anfossi.
Il Figaro di Davide Luciano è stato impeccabile per uno stile sempre elegante ed educato che si è palesato pienamente anche nella esuberanza della celebre Cavatina. Il barbiere ha così mostrato un’arguzia fine, un carattere più intellettuale che furbesco, abile e capace nel condire le proprie trovate, non sempre felici nello sviluppo dell’azione, con una stuzzicante ironia. Marina De Liso ha tratteggiato una Rosina dalla natura battagliera, non priva di una vena un po’orgogliosa e capricciosa. La voce del mezzosoprano ci è parsa possedere una buona levigatezza anche se forse debole nella sensualità e nell’ammiccante erotismo che permea il secondo atto (specialmente nel rondò “Contro un cor che accende amore”).
Ottimo il Don Bartolo di Simone Del Savio. Il cantante, originario della Val di Susa, ha conferito una dignità, non farsesca, al personaggio trovando sempre un’emissione curata e omogenea nelle sonorità. Del Savio ha così risolto con precisione, nitidezza e scioltezza anche il veloce sillabato conclusivo dell’impervia aria “A un dottor della mia sorte”, vero ritratto del “dottore in medicina” e tutore – carceriere della bella Rosina. Dal punto di vista scenico, Del Savio ha poi liberato il personaggio dagli illustri e consueti stereotipi che vedono nel dottore un brontolone grassottello e attempato. Pur con la propria grettezza mentale, ma infine di buon cuore, Don Bartolo ci è parso qui come credibile e plausibile antagonista amoroso del Conte di Almaviva.
Splendido Carlo Lepore come Don Basilio. Tra il parodistico e il grottesco, il cantante ha puntato sull’autorevolezza più che sull’austerità dell’“ipocrita” (secondo la didascalia del libretto) maestro di musica. Insieme alla piacevole Marta Calcaterra (Berta) e al corretto Franco Rizzo (Un ufficiale), l’esemplare Lorenzo Battagion (Fiorello) completava il cast. Da notare, infine, la cura di tutti i cantanti nella resa dei recitativi splendidamente ravvivati dall’ un accompagnamento variegato di Jeong Un Kimal al fortepiano. Alessandro De Marchi ha diretto magnificamente l’orchestra del Regio giocando le carte migliori sulla pulizia della sincronia ritmica, su tempi sempre giusti e appropriati, sulla cura delle dinamiche e sulla costante attenzione al dialogo con il palcoscenico. Per finire, ma non certo ultimo per meriti, Andrea Secchi ha preparato bene il coro. Successo prevedibile da parte del numerosissimo pubblico in sala. Ci auguriamo che il Regio rischi di più su Rossini nei primi titoli della prossima stagione.
La recensione si riferisce alla recita del 25 Marzo 2018
Lodovico Buscatti