Il conte d'Almaviva | Antonino Siragusa |
Don Bartolo | Paolo Bordogna |
Rosina | Laura Polverelli |
Figaro | Vito Priante |
Don Basilio | Nicola Ulivieri |
Fiorello | Ryan Milstead |
Berta | Giovanna Donadini |
Un ufficiale | Franco Rizzo |
Ambrogio | Antonio Sarasso |
Maestro al fortepiano | Carlo Caputo |
Direttore d'orchestra | Alessandro De Marchi |
Regia | Vittorio Borrelli |
Scene e costumi | Luisa Spinatelli |
Assistente ai costumi | Monia Torchia |
Luci | Andrea Anfossi |
Maestro del coro | Claudio Fenoglio |
Orchestra e Coro del Teatro Regio | |
Allestimento del Teatro Regio |
Il Barbiere di Siviglia trionfa a Torino. Trionfa nonostante le contraddizioni di uno spettacolo dai molti pregi, ma non coerente ed omogeneo.
Alessandro De Marchi, interprete di riferimento del repertorio barocco, dirige un Barbiere pieno di fascino. È un Barbiere perfetto per le sincronia dei ritmi. Giusti, mai affrettati, neppure nei momenti più vorticosi, come la Stretta del Finale del I Atto o quella del Quintetto del II Atto. È un Barbiere incantevole per la ricercata eleganza delle dinamiche, per il cesello delle sfumature, con una ricchezza di dettagli che esalta gli accompagnamenti e, nel rapporto sincero con il canto, li rende ancora più saporosi ed efficaci. È un Barbiere leggero, ironico, disincantato, gelido quel tanto che basta, come conviene alla musica di Rossini, un Rossini ripulito da ogni turgore, da ogni incrostazione romantica. È un gioiello fin dalla brillante Sinfonia, ha il passo che si richiede per un commedia crudele, un congegno ad orologeria, che De Marchi fa funzionare meravigliosamente assecondato con efficacia dalle Masse artistiche del Regio, l'Orchestra e il Coro, sempre ben preparato da Claudio Fenoglio.
Una direzione così raffinata si sposa assai bene con le scene e i costumi di Luisa Spinatelli (per questi ultimi si avvale dell’assistenza di Monia Torchia), e le luci di Andrea Anfossi. L’allestimento, una produzione del Teatro Regio già proposta numerose volte, è bello e luminoso nel colore azzurro delle decorazioni ad azulejos, che caratterizzano sia l’esterno che l’interno della casa di Don Bartolo.
Non si sembra congruente la regia di Vittorio Borelli che non sceglie la commedia e punta sulla farsa tutta piena di gags contrarie allo spirito di questo melodramma che, attraverso i modi del genere buffo, dà un impietoso ritratto del mondo. Rossini e Sterbini disegnano un mondo egoista, crudele, mosso dalla vanità e dall'interesse ai danni di una giovane fanciulla, furba quanto basta, ma non tanto da salvarsi da sola, se non intervenisse il Conte d'Almaviva. Ma il Conte è un grande di Spagna, che non si metterebbe mai in mutande in mezzo ad una piazza di Siviglia per travestirsi da soldato. La casa di Bartolo dovrebbe essere un mondo senza luce e non il palcoscenico per le corbellerie del servo Ambrogio e di mille figuranti che vanno e che vengono costruendo infinite, quanto superflue, controscene. Le mille valigie di Rosina, nel momento della partenza, buttano in ridicolo un momento quale “Almaviva son io: non son Lindoro”: magico sia sotto il profilo musicale che psicologico. “Cessa di più resistere”, il Rondò finale, scritto per esaltare l’inarrivabile virtuosismo del Garcia, storico tenore e primo interprete della parte, è la sintesi stessa del dramma. Ormai da qualche decennio non lo si taglia più. Ma il suo ripristino è prima di tutto un omaggio alla drammaturgia e poi al tenore. Toglierlo significa rendere zoppo il finale, ridurre Almaviva a un personaggio di mezzocarattere, sottrarci la chiave di lettura del Barbiere. Almaviva mette al suo posto Bartolo, “Cessa di più resistere”, un uomo indegno e cattivo; fa giustizia del “giogo indegno di tanta crudeltà” che il dottore ha imposto a Rosina; salva “l'infelice vittima d'un reo poter tiranno”. I concetti sono declinati attraverso un linguaggio fiorito che in questo caso è uno strumento per esaltare la serietà della situazione, il rango, la nobiltà del personaggio. Non ha senso che il pezzo venga cantato da un tenore costretto a muoversi come se fosse il protagonista di un avanspettacolo, che firma foto da distribuire, in questo caso, ai soldati. Questi ultimi non avrebbero neppure osato sfiorare un grande di Spagna. Pensavamo che fossero passati il tempo di una tradizione che ha fatto del Barbiere quello che non è e che lo ha trasformato in una commedia all’italiana. Va da sé però che l’interpretazione farsesca data al Barbiere non mette in discussione la professionalità di Vittorio Borelli, l’esperienza che lo fa signore del palcoscenico. Tutto infatti è mosso ad arte, con sincronia, perfezione. Tutto è realizzato a dovere senza che nulla sia lasciato al caso. Per questo ci spiace che il regista, che abbiamo avuto modo di apprezzare in tantissimi spettacoli del Regio di Torino, abbia scelto questa strada per leggere il capolavoro di Rossini.
Figaro è Vito Priante, che ha voce curata, elegante, musicale, in linea con la direzione di De Marchi. Un Figaro che ovviamente libera la vocalità e il personaggio dalle bellurie della tradizione. Lo riporta nell’alveo di un canto educato e stilisticamente appropriato. Un’impostazione di questo genere non è l’ideale per fare il botto nella celebre Cavatina di sortita, che siamo abituati a sentire cantare sempre con altra esuberanza. Ma prese le misure sull’impostazione misurata di Priante, ci godremo un personaggio che si afferma di scena in scena, garbato, ironico, pungente e buffo. Concorrono al risultato la bella musicalità, la corretta dizione, un fraseggio sempre attento a dare rilievo alla parola, la figura scenica ed il gesto naturale e pertinente.
Rosina è Laura Polverelli: lo stile, la tecnica e la musicalità rimangono intatti, ma la voce ha perso di smalto, con risonanze secche nella regione grave e disuguaglianze tra le sonorità della gamma. È una voce che manca di levigatezza, di quello smalto sensuale e che, specie in pagine come il Rondò, “Contro un cor che accende amore” del secondo Atto, peraltro ben cantato, conferisce un sottile erotismo al personaggio.
Paolo Bordogna è Bartolo. Un Bartolo cantato con impegno, studiato nell’emissione, calibrato nelle sonorità chiamate a conferire sussiegosa dignità al personaggio. Tutto questo realizza una pregevole esecuzione dell’Aria “A un dottore della mia sorte”, dove però nella parte finale desidereremmo un sillabato veloce ancora più sciolto, più nitido e ficcante. Questo piccolo neo non intacca un’interpretazione maiuscola, giocata su un senso vivissimo del fraseggio. Bordogna dice i Recitativi in maniera impareggiabile, con una coscienza della parola che nessun altro componente del cast possiede in questa misura. Ha figura snella che finalmente sottrae Bartolo allo stereotipo del vecchio bolso e appesantito, per restituirlo all’immagine del vanesio, smanioso di affermarsi e convinto di potere essere rivale del Conte di Almaviva.
Nicola Ulivieri è un Don Basilio che si porta a casa un vivo successo dopo “La calunnia è un venticello”, risolta felicemente nel suono e nella parola. E’ un Basilio proporzionato alle altre voci e alla direzione di De Marchi. E’ un Basilio spassosissimo in tutte le sue apparizioni, dal Quintetto al Finale del II Atto.
Il Conte è Antonino Siragusa che si muove con assoluta naturalezza nel repertorio e nel personaggio. Nel Cantabile della Cavatina, “Ecco ridente”, regala carezzevoli emissioni a mezza voce. Nella Cabaletta ci piacerebbe una coloratura più sgranata, mentre il registro acuto presenta talvolta emissioni di forza che creano una sorta di squilibrio con le sonorità più carezzevoli usate in precedente. Fa una delicata Serenata. Risolve con ironica puntualità le frasi del Finale del I Atto. Assolutamente a suo agio nella I parte del II Atto, quando agisce nei panni di Don Alonso, lo vorremmo più grand seigneur in “Dolce nodo”. Risolve efficacemente il Rondò finale che canta con disinvoltura, individuandone sia i momenti patetici del Cantabile che quelli flamboyante della Cabaletta, dove la coloratura è affrontata e risolta in grande scioltezza. Al termine del pezzo giustamente riceve una lunga ovazione.
Giovanna Donadini si conferma versata nei ruoli di carattere anche se talvolta tende più alla caricatura che alla caratterizzazione, scambiando due tipologie che sono simili, ma non uguali. Completavano il cast il Fiorello di Ryan Milstead, l’ufficiale di Franco Rizzo, l’Ambrogio di Antonio Sarasso.
Giancarlo Landini