Conte d'Almaviva | Néstor Losàn |
Rosina | Graziana Palazzo |
Don Bartolo | Luca Simonetti |
Figaro | Gabriele Nani |
Don Basilio | Luca Vianello |
Il Giovinetto/Un Alcade | Maurizio de Valerio |
Lo Svegliato/Un Notaro | Gabriele Faccialà |
Regia | Gianmaria Aliverta |
Assistente alla regia | Vittorio Dante Ceragioli |
Costumi | Sara Marucci |
Luci | Walter Mirabile |
Direttore | Fabio Maggio |
Orchestra da Camera del Giovanni Paisiello Festival | |
Una coproduzione con VoceAllOpera |
L’allestimento del Barbiere di Siviglia di Paisiello, spettacolo conclusivo della XV edizione del Giovanni Paisiello Festival di Taranto, ha coinciso con l’apertura al pubblico, dopo anni di restauro, da parte della Soprintendenza per i Beni Archeologici, Belle Arti e Paesaggio, del Convento di Sant’Antonio, monumentale complesso che ha il suo punto di forza nel bellissimo chiostro quattrocentesco, il più grande tra quelli esistenti in città, di elevato interesse architettonico con un affaccio suggestivo sul Mar Piccolo. L’edificio religioso, perché di questo si tratta, nel corso dei secoli ha subito varie destinazioni, in particolare negli anni in cui è stato utilizzato come struttura penitenziaria, il che ha finito con il mortificare le tracce del suo passato, in particolare della chiesa, luogo dove nel 1762, fu sepolta Grazia Antonia Fuggile, madre di Paisiello.
E’ comprensibile che in città ci fosse una particolare aspettativa per la ripresa, dopo dodici anni, del capolavoro paisielliano scritto, come è noto, nel 1782 a S. Pietroburgo per Caterina di Russia, mantenendo una propria autonomia fino a quando, trentaquattro anni dopo e precisamente nel febbraio 1816, Rossini, con un linguaggio nuovo, una sensibilità che andava al di là delle convenzioni settecentesche, creò non “un” altro Barbiere, ma quello che sarà considerato “il” Barbiere, ponendo una pesante ipoteca sul futuro esecutivo del lavoro del compositore tarantino. Con il passare del tempo e agli strumenti critici a disposizione degli studiosi è diventato più facile superare la genericità comparativa che ha accompagnato entrambi i “barbieri”, per cui le due versioni procedono autonomamente e del resto, sin dal primo ascolto, ci si accorge che sono opere sostanzialmente diverse, di “epoche” diverse e che tra le due, a far da spartiacque, ci sono le mozartiane Nozze di Figaro.
L’edizione tarantina del Barbiere di Siviglia di Paisiello è stata presentata in una versione che tendeva a restituire, come già nel 2005, il testo musicale secondo la lezione più vicina alla volontà dell’autore, grazie all’edizione critica di Francesco Paolo Russo pubblicata dalla casa editrice tedesca Laaber.
La rappresentazione ha offerto, al pubblico più attento, l’ascolto, di pagine di grande intensità espressiva e, se ad un primo approccio conoscitivo dell’opera, il cerusico paisielliano può risultare privo di vitalità e quindi della prorompente esuberanza cui siamo adusi associarlo, non significa che il compositore lo abbia ritenuto immeritevole di attenzione, tanto é vero che lo pose al centro di uno dei momenti inventivi più originali dell’opera: un’aria di catalogo “Scorsi già molti paesi” che persino nelle strutture formali invita prepotentemente al raffronto con la futura, analoga aria di Leporello nel Don Giovanni mozartiano. E che dire delle arie di Rosina, dal breve saluto iniziale col suggestivo intervento di un “solo” di flauto al patetico “Giusto ciel”, fino al cesello di “Già riede primavera”. Per tacere della serenata di Almaviva “Saper bramate”, un brano con mandolino obbligato che il regista Stanley Kubrick inserì, in versione strumentale, nella colonna sonora del film Barry Lyndon.
Melodie accattivanti, ora ardenti ora malinconiche, capaci anche di teatralissime accensioni, come nei pezzi d’insieme : l’esilarante Terzetto di Bartolo con i due servitori e il Quintetto del secondo atto .
Queste e altre pagine, di cui è ricca la partitura, hanno portato il regista Gianmaria Aliverta a scatenare la fantasia, confezionando uno spettacolo dinamico, effervescente e pieno di trovate rallegranti: quando giunge in scena Almaviva/don Alonso vestito da maestro di yoga canta “pace e gioia”,distribuendo tappetini fucsia; quando si presenta don Basilio abbigliato come cantante metal ricorda sfacciatamente Zucchero Fornaciari, con tanto di tuba, occhialini e palandrana nera, mentre Bartolo parodizza, cantando una canzone retro, i cantanti/ macchiettisti d’avanspettacolo.
Pochi gli elementi sulla scena: una poltrona da barbiere di colore verde a rappresentare l’attività preminente di Figaro, una scala multiuso di colore fucsia munita di ruote come quelle in uso nelle vecchie biblioteche e poi, un lettino sul quale sonnecchia lo "svegliato".
E’ bastato poco, quando ci sono le idee, per fare uno spettacolo fortemente creativo, non irrispettoso eppure godibile e divertente e questo anche grazie ad un lavoro attoriale molto accurato.
In perfetta sintonia con la regia la direzione del bravissimo direttore Fabio Maggio, spiritoso nell’indossare, nei momenti chiave, una tuba, una fascia da testa e un frontino con cuoricini verdi, privilegiando l’eccitazione comica e inquadrando l’opera in un clima brioso e scintillante, tenendo saldamente in pugno, a causa dei non pochi problemi di acustica che oppone il chiostro, l’Orchestra da camera del GPF, alla ricerca di una propria duttilità e identità sonora e il palcoscenico.
Il baritono Gabriele Nani è stato l’anima trascinante di una impeccabile compagnia di cantanti/attori, delineando un Figaro agile, estremamente intelligente, di chiara vocalità, omogeneità di emissione, cura del fraseggio e notevole presenza scenica.
Il soprano Graziana Palazzo ha interpretato una Rosina maliziosa e appassionata, nella soavità e nella grazia di una musicalissima linea vocale. Forse la tessitura del ruolo è a tratti un po’ bassa, ma riesce a superare brillantemente qualche insidia che il ruolo cela.
A disegnare un Bartolo gustosamente grottesco e non caricaturale, ha provveduto Luca Simonetti, voce di buffo cantante grazie alla buona linea di canto, all'intelligenza dell’ interprete e alla guida del regista è risultato credibilissimo anche per la sua imponenza fisica.
Assai convincente per freschezza vocale e per una certa personale ricerca di modulazioni espressive, il tenore valenziano Néstor Lòsan nel ruolo di Almaviva, il quale si è fatto apprezzare in un aria aggiunta tratta della versione napoletana de1787.
Scenicamente irresistibile, la voce pastosa e morbida, l’emissione leggera, il fraseggio vivace e colorito, il don Basilio del baritono Luca Vianello che si è cimentato in un piccolo capolavoro esecutivo dell’aria “La calunnia”.
Completavano il cast il tenore Maurizio de Valerio (Il giovinetto, un Alcade) e il basso Gabriele Faccialà (Lo svegliato, un Notaro) scenicamente efficacissimi nella caratterizzazione dei personaggi.
Una gran bella produzione pertanto alla fine sono giunti ,per tutti, applausi entusiastici.
Prima dell'inizio dello spettacolo è stato consegnato all’ex critico del Corriere della sera Paolo Isotta il Premio Giovanni Paisiello Festival per i suoi studi sull’opera del compositore tarantino.
La recensione si riferisce alla recita del 25 settembre 2017
Dino Foresio