Sarastro | René Pape |
Tamino | Michael Schade |
Sprecher | Franz Grundheber |
Die Königin Der Nacht | Anna-kristiina Kaappola |
Pamina | Genia Kühmeier |
Drei Damen Der Königin | Edith Haller, Karine Deshayes, Ekaterina Gubanova |
Drei Knaben | Wiener Sängerknaben |
Papageno | Markus Werba |
Ein Altes Weib (papagena) | Martina Janková |
Monostatos | Burkhard Ulrich |
Zwei Geharnischte Männer | Simon O'neill, Günther Groissböck |
Zwei Priester | Franz Grundheber |
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Direttore | Riccardo Muti |
Regia | Graham Vick |
Scene e Costumi | Paul Brown |
Luci | Matthew Richardson |
Maestro del Coro | Rupert Huber |
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Konzertvereinigung Wiener Staatsopernchor |
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Wiener Philharmoniker |
“Die Zauberflöte: favola od opera iniziatica?”; questo il nocciolo di una “querelle” che dura da decenni. Ad ogni ascolto siamo sempre più convinti nel ritenere che il capolavoro mozartiano, una delle vette più alte mai raggiunte dall’ingegno umano, sia una giusta miscela di entrambi gli aspetti. Il cammino iniziatico della coppia Tamino-Pamina, la cui simbologia è evidentissima, si compie sulla scena in una modalità che possa risultare immediatamente comprensibile al pubblico, il quale assisterà sì ad una narrazione fantastica, ma nel contempo coglierà, a differenti livelli i significati reconditi presenti in essa. Qui, in questa sublime commistione di comico e serio pensiamo stia la grandezza del “Die Zauberflöte”. Nel nuovo allestimento salisburghese, bellissimo e geniale, Graham Vick opta per un approccio psicoanalitico alle vicende di Tamino, narrandoci il passaggio dalla preadolescenza alla maturità dei protagonisti, i quali, nel corso delle prove loro imposte, esorcizzano i complessi edipici, incarnati dalla Königin, accettano la figura paterna, Sarastro, imparano ad accogliere e rispettare gli archetipi positivi, incarnati dai Sacerdoti di Iside e Osiride, qui decrepiti ma acutissimi vegliardi. Nella scena iniziale Tamino è nella sua cameretta da adolescente quando viene assalito dal serpente, incarnazione delle sue paure adolescenziali e del risveglio della virilità; la regina della notte si materializza nel letto del fanciullo, le tre Dame escono dalle pareti, Papageno dall’ armadio. Armadi saranno le tre porte del Tempio, che si ergono in un campo di giganteschi girasoli e che conducono ad una sorta di ospizio nel quale la giovane coppia, insieme a Papageno, completerà il proprio cammino di maturazione interiore . Splendido il finale, nel quale la spada che Tamino ha ricevuto da Sarastro quale consacrazione del compimento delle prove e che il giovane principe, oramai “iniziato”, ha lasciato in terra allontandosi con Pamina, si trasforma nel serpente dell’inizio, a significare che comunque le paure ataviche non saranno mai completamente sublimate. Questa lettura che Vick ci offre resta comunque incredibilmente fedele al dettato mozartiano, lo rispetta “in toto”, fornendoci tuttavia un’ ulteriore, stimolante chiave di lettura. Nella sua operazione la regia è splendidamente coadiuvata dalle belle e complesse scene di Paul Brown e dal light-design di Mattew Richardson, le quali concorrono alla suggestività dell’allestimento in maniera assolutamente determinante. Sul versante musicale le vicende assumono sfumature diverse, e non tutte rosee. Riccardo Muti, che tornava alla direzione di un’opera al Festival dopo quasi un decennio, concerta con scelte che ci risultano di non facile comprensione; l’ouverture viene risolta con una fretta approssimativa, tempi rapidissimi e con un costante “non legato”, e cosí si prosegue in tutti gli episodi “leggeri” dell’opera, vale a dire le arie di Papageno, quella di Monostatos, gli interventi dei tre Geni. Nei momenti drammatici o lirici, Muti opta per dei tempi estenuantemente lenti, quasi noiosi; non abbiamo sentito, inoltre, un ”rubato” nel corso dell’intera esecuzione. Molto meglio le voci. Michael Schade, ancora una solida certezza nel repertorio mozartiano, è un Tamino inizialmente ribelle ed appassionato, che si muta in un uomo consapevole del proprio avvenire; la voce, davvero piacevole, è profusa con generosità e perizia tecnica. Genia Kühmeier è una Pamina deliziosa, ammiccante, a tratti smarrita; la giovane cantante salisburghese è dotata di un bagaglio vocale di tutto rispetto, il timbro è bello in ogni registro cosí com’è sempre sicura l’emissione. Un plauso particolare va tributato a René Pape, cantante immenso, che ha incarnato forse il più emozionante Sarastro degli ultimi vent’ anni, ponendosi al fianco dei grandi bassi del passato. La sua voce è un organo, ha mille colori e mille sfumature; l’attenzione alla parola e l’adesione al personaggio sono totali. Alla fine per lui un trionfo. Benissimo anche il Papageno di Markus Werba; il baritono carinziano ha dato voce e corpo al personaggio con eleganza e misura, non eccedendo mai in gigionerie vocali o di recitazione, conferendo anzi una dignità che potremmo definire “nobile” al personaggio. Meno bene la Königin di Anna-Kristiina Kaappola, che pur essendo dotata di un ottimo registro acuto, risulta vuota nei centri, non riuscendo perciò a conferire al suo personaggio l’aspetto drammatico che gli è proprio, nonostante sia stata, di fatto, l’unica a trarre un qualche beneficio dai tempi mutiani. Bene, anche se oramai vocalmente affaticato, lo Sprecher di Franz Grundheber; odioso al punto giusto il Monostatos, nella visione di Vick un vecchio maniaco, di Burkhard Ulrich; assolutamente appropriate, sia vocalmente che scenicamente, le Tre Dame di Edith Haller, Karine Deshayes ed Ekaterina Gubanova. Discreta la Papagena di Martina Janková, per altro un tantino belante; ottimi i tre Genii-Wiener Sängerknaben ed i due Gearnischte di Simon O'Neill e Günther Groissböck . A posto gli altri. Alla fine successo per tutti, in particolare per Pape, Kühmeier, Schade e Werba. Da segnalare un episodio grottesco avvenuto all’inizio del secondo atto: tre italiani,hanno gridato, uno dietro l’altro, a musica iniziata, all’indirizzo di Muti: “Bravo”, “..anche alla Scala”, “…ha ragione”. Il tutto è stato accolto dal pubblico in sala con un gelido silenzio. Non ci pare che queste manifestazioni di una claque “improvvisata” rendano un gran servigio a Muti in primis, né alla nostra già non buona immagine all’estero; questi fatti ci rendono solo un po’ tristi.
Alessandro Cammarano