Rigoletto | Luca Salsi |
Gilda | Lisette Oropesa |
Duca di Mantova | Piero Pretti |
Sparafucile | Dario Russo |
Maddalena | Erika Beretti |
Il Conte di Monterone | Fabrizio Beggi |
Giovanna | Reut Ventotero |
Marullo | Timofei Baranov |
Matteo Borsa | Aleandro Mariani |
Il Conte di Ceprano | Leo Paul Chiarot |
La Contessa | Sara Rocchi |
Usciere di corte | Fabio Tinalli |
Paggio della Duchessa | Claudia Farneti |
Regia | Leo Muscato |
Scene | Federica Parolini |
Costumi | Silvia Aymonino |
Luci | Alessandro Verazzi |
riprese da | Agostino Angelini |
Direttore d'orchestra | Michele Gamba |
Maestro del coro | Roberto Gabbiani |
Orchestra e coro del Teatro dell'Opera di Roma |
Con il Natale alle porte e prima del tradizionalissimo Schiaccianoci, Il Teatro dell'Opera di Roma propone quattro serate di Rigoletto nell'allestimento del regista Leo Muscato, giunto alla terza stagione e da me già recensito nel 2015. Il pubblico della capitale risponde con entusiasmo: tutto esaurito, gran pienone e, visto l'arrivo del freddo e la fitta presenza di turisti, colpi di tosse e squilli di cellulare a pioggia anche nei momenti più tesi dell'opera. La recensione si basa sulla recita di sabato 10 dicembre.
Il passare del tempo contribuisce a oliare i meccanismi e i membri del coro, ormai, conoscono bene le loro parti. Ciò non toglie che, ancora una volta, molte scelte registiche (la maggior parte delle quali riguardanti i movimenti di coro e comprimari) si rivelino poco felici, con un profluvio di gesti pedissequamente didascalici: quando si parla di tradimento, tutti a fare le corna; quando si accenna a Cupido, ecco mimare il lancio della freccia con l'arco; si parla della testa di Monterone e immancabile arriva la mano a mimarne il taglio; il coro racconta al Duca del rapimento di Gilda mimando ogni parte narrata e formando una sorta di balletto (espediente meta-operistico ormai immancabile, a quanto pare); e via così.
Musicalmente, nonostante un inizio sofferto, la serata è più che positiva. Dopo un preludio alquanto sfilacciato e in cui si fanno sentire anche un paio di brutti suoni, e una prima scena in cui il Duca, reduce da un'indisposizione, sembra non essersi completamente rimesso, le cose iniziano ad ingranare e migliorano rapidamente. Qualche sfasamento tra buca e palco, dovuto a un errore di Gilda e a un paio di errori del Duca, non impedisce di apprezzare il notevole lavoro compiuto dal giovane direttore Michele Gamba: l'orchestra fa bene il suo lavoro, senza mai sovrastare gli interpreti ma non per questo limitandosi a un anonimo accompagnamento. In particolare, di grande e vaporosa bellezza il Caro nome, tesi e potenti il Cortigiani, vil razza dannata e il Sì, vendetta, drammaticissima l'intera scena finale, al termine della quale il teatro esplode in un giusto applauso, anche per la bravura dei due interpreti. Molto valida, dal punto di vista canoro, anche la prova del coro diretto da Roberto Gabbiani, con un'ampia gamma dinamica che non sfora mai nell'inudibile o nel grido, una buona dizione e una sincronia quasi sempre perfetta.
Nel cast, domina il Rigoletto di Luca Salsi. Il baritono, amatissimo dal pubblico romano e presente in molte opere verdiane delle ultime stagioni (ricordo solo il recente Nabucco a Caracalla e lo splendido Don Carlo nell'Ernani diretto tre anni fa da Riccardo Muti), si mostra rispettosissimo del dettato verdiano, pur avendo i mezzi per sciorinare gli acuti di tradizione. Scava nel fraseggio, invece, non trovando necessariamente soluzioni “perfette”, ma mostrando il lavoro di studio condotto sui singoli versi, dando peso alle parole e non limitandosi a cantare, ma conducendo il personaggio tra canto e recitazione, come Verdi mostrò sempre di desiderare. La voce è potente e la dizione estremamente curata (a tratti, anzi, fin troppo articolata, come in «or della Contessa l'assedio EGLI avanza», immagino come reazione al fatto che di solito quel “egli” suoni come un “gli” o sia ancor meno udibile), l'approccio ai numeri d'insieme musicalissimo e rispettoso degli altri interpreti, con sapiente dosaggio delle dinamiche. Si prende numerosi applausi a scena aperta, nel Cortigiani e nel Sì, vendetta, ma soprattutto il meritatissimo applauso finale, dopo una scena da brividi sia per canto che per recitazione (splendidi, solo per citarne un paio, i versi «Dio tremendo! Ella stessa fu colta / dallo stral di mia giusta vendetta!»).
Al fianco di tale Rigoletto, l'ottima Gilda di Lisette Oropesa. Con un legato di alta scuola e un bel timbro di soprano lirico, la Oropesa indulge in acuti esposti come bella mercanzia (per esempio al termine del duetto con il Duca, il quale però non la segue all'acuto, sembrando così quasi un Duca intimorito), ma non si limita al canto. La dizione è, anche per lei, curatissima e quasi perfettamente comprensibile in ogni passaggio, anche nei momenti di coloratura, il fraseggio approfondito e comunicativo. Si becca un applausone a scena aperta dopo un notevole Caro nome, avvalorato dal lavoro di orchestra e direttore, e insieme a Salsi porta a casa il finale da incorniciare. La recitazione è davvero convincente: credibilissima la caduta, dopo l'accoltellamento, e ancor più il canto e i movimento stentati dell'ultima scena, tra le braccia di Rigoletto.
Piero Pretti avrebbe dovuto sostenere tutte e quattro le recite, ma alla fine si è potuto ascoltare soltanto nelle ultime due, apparentemente non al massimo della forma (soprattutto all'inizio). Questa o quella non vibra della baldanza e dello squillo di cui dovrebbe e Pretti, in un paio di momenti, accelera più del dovuto. Si riprende alla grande, però, con il duetto alla fine del primo atto, in cui tira fuori una voce più sicura e risonante; giusto in tempo per la grande scena e aria del Duca all'inizio del secondo atto, che gli merita un bell'applauso: Parmi veder le lagrime è cantata con grande confidenza, gli acuti sono sicuri e tenuti, la dizione è chiara e il fraseggio, tradizionale, di buona forza comunicativa. Il terzo atto scorre abbastanza bene, nei binari di una tranquilla tradizione interpretativa, pur avvertendosi la carenza di squillo in La donna è mobile e nel successivo quartetto.
Senza infamia né lode lo Sparafucile di Dario Russo: le note ci sono, ma il timbro non è particolarmente scuro (illuminante il duetto con il Rigoletto di Salsi) né il volume sempre adeguato (per esempio nel drammaticissimo terzetto Somiglia un Apollo quel giovine, in particolare sui versi «Se pria ch'abbia il mezzo / la notte toccato / alcuno qui giunga, / per esso morrà»). La recitazione è discretamente buona, la dizione anche; il fraseggio tradizionale e non particolarmente comunicativo. Situazione assai simile per la Maddalena di Erika Beretti, la quale però fa parte del programma “Fabbrica” del Teatro dell'Opera di Roma e ha bisogno di tempo e ulteriori esperienze di palco, per definire i titoli a lei più adatti. Come lei, vengono dal progetto “Fabbrica” la Giovanna di Reut Ventotero (già vista sul palco del teatro in occasione del recente Trittico pucciniano), il Marullo di Timofei Baranov, il Borsa di Aleandro Mariani e la convincente Contessa di Sara Rocchi.
Davvero notevole il Monterone di Fabrizio Beggi: timbro scuro, dizione chiara e voce potente, senso della parola scenica unito a un fraseggio di tradizione ma convincente. Molto buona anche la prestazione di Claudia Farneti nei panni del Paggio. Esauriscono il cast l'usciere di Fabio Tinalli e il Conte di Ceprano di Leo Paul Chiarot.
Michelangelo Pecoraro