L 'arcivescovo Tommaso Becket | Ruggero Raimondi |
Un Araldo | Mauro Buffoli |
I° Sacerdote | Maurizio Comencini |
Ii° Sacerdote | Carlo Morini |
Iii° Sacerdote | Francesco Palmieri |
I° Tentatore/i° Cavaliere | Gianluca Floris |
Ii° Tentatore/ii° Cavaliere | Antonio De Gobbi |
Iii° Tentatore/iii° Cavaliere | Andrea Silvestrelli |
Iv° Tentatore/iv° Cavaliere | Riccardo Zanellato |
I° Corifea | Michela Sburlati |
Ii° Corifea | Cristina Reale |
Direttore D'orchestra | Bruno Bartoletti |
Regia | John Cox |
Scene e Costumi | Giovanni Agostinucci |
Maestro del Coro | Andrea Giorgi |
Orchestra e Coro |
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Del |
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Teatro Dell'opera |
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Allestimento del Teatro Regio di Torino |
Il 29 Dicembre si festeggia San Tommaso Becket. Il Teatro dell’Opera di Roma pare che voglia rendere omaggio a tale ricorrenza con la rappresentazione di Assassinio nella Cattedrale, opera riconosciuta come il capolavoro di Ildebrando Pizzetti, tratta dall’omonimo dramma di T.S.Eliot, che racconta il tormentato percorso che porterà Tommaso Becket al martirio: l’unica tentazione a cui l’arcivescovo di Canterbury non saprà rinunciare.
L’allestimento, già pluripremiato, è quello presentato a Torino nel 2000. La funzionale regia di John Cox (ripresa da Young) e le scene di Giovanni Agostinucci ci portano immediatamente in una rarefatta, grigia e austera Canterbury immergendo lo spettatore nel Medioevo. Della cattedrale, luogo dell’azione, si intravedono solamente un muro laterale e il portone esterno, sormontato da un arco ogivale. La grande costruzione si aprirà poi in scena, portandoci nello studio dell’arcivescovo. Nel buio di questa stanza si stagliano quattro statue, quattro immagini di santi che si incarneranno nelle figure inquietanti dei quattro tentatori. Le figure dei tentatori richiamano alla mente Ping, Pong e Pang, i tre “tentatori” dell’ultima grande opera italiana. Tale grande opera è spesso richiamata alla mente dell’ascoltatore da riferimenti musicali oltre che simbolici. C’è un filo che lega i giorni nostri con il Medio Evo di Becket: alcuni bambini sono a visitare la cattedrale con la loro insegnante (la Seconda Corifea); gli abiti grigi dei ragazzi sono accesi da un tocco di rosso, chi ha una sciarpa rossa, chi un cappellino, chi i guanti. Il colore rosso, trait d’union tra i bambini e la rossa veste dell’arcivescovo, dà luogo a un simbolismo che mi ha colpito: uno dei ragazzi resta da solo nella cattedrale, riesce a vedere nel passato la figura di Becket tormentato dalle scelte che deve fare e vede il martirio come viatico per la santità. A sua volta Becket riesce a vedere nel futuro il bambino inginocchiato davanti a lui che si fa il segno della croce. Certezza di una “santità intravista”?
L’apparizione di Ruggero Raimondi in scena è una folgore, un tuono: “Pace!”.
Raimondi E’ l’arcivescovo di Canterbury. Non ci sono confini tra il cantante e l’attore: la recitazione è misurata ma imponente. Tutto è studiato e tutto è naturale al tempo stesso; non un gesto fuori luogo, non un gesto di troppo. Tutta la vicenda ruota intorno a Becket e il grande basso è il protagonista assoluto dell’opera.
In una partitura che segna il confine e l’unione tra la musica verista e la musica moderna, con una forma di canto modale che ricorda il canto gregoriano e con un continuo uso del declamato cantato, solo un grande interprete nel pieno della sua maturità artistica può riuscire a rendere perfettamente i sentimenti contrastanti di Becket e a tenere assolutamente desta l’attenzione dello spettatore. Il testo è molto importante in quest’opera e l’ottimo maestro Bartoletti, che ama cimentarsi in questo di genere di sfide musicali con l’entusiasmo degno di un ragazzo e con lusinghieri esiti, ha preteso e ottenuto che la dizione dei cantanti fosse chiara e nitida. Lo stesso Bartoletti dice : “Essere chiari non significa solo far capire parole ma entrare nella parola: questa è la cosa più difficile per un cantante,che deve vivere ogni sillaba, ogni frase, con partecipazione intensa. E questo ho trovato alla perfezione in Ruggero Raimondi".
Alle prese con tessitura molto estesa, scende fino al Fa grave e sale fino al Fa, Raimondi è apparso in ottima forma vocale: i registri sono omogenei, la voce è corposa e gli acuti sono vere e proprie bordate di suono.
Buona anche la prova di Michela Sburlati, la Prima Corifea: soprano dall’emissione corretta e di buona tecnica. Inferiore ci è parsa Cristina Reale, che ha mostrato i limiti di un timbro spesso stridulo. Assolutamente ottimo il Coro del Teatro dell’Opera che si contende, assieme a Becket, il ruolo di protagonista in questa non facile opera.
Infine i quattro tentatori/cavalieri: Floris, De Gobbi, Zanellato e Silvestrelli. La loro prova è stata nell’insieme sufficiente, considerata anche la difficoltà della parte a loro assegnata; di Silvestrelli non ci ha pienamente soddisfatto il timbro freddo e metallico, pur avendo,come gli altri, un’ottima padronanza scenica.
Nel complesso una serata che non esitiamo a definire “bellissima”, trascorsa assistendo a un’opera giudicata spesso e a torto “minore”, se non addirittura “noiosa”, da chi non vuole aprirsi a nuovi orizzonti musicali. Opera che andrebbe, invece, conosciuta, specialmente in questo coinvolgente allestimento.
Purtroppo il pubblico romano non ha saputo, almeno nelle prime due rappresentazioni, approfittare di questa occasione. Nell’opulento Teatro dell’Opera, ricco di ori, velluti e specchi, erano molti i posti vuoti.
Ci sentiamo in dovere di ringraziare tutta la compagnia che, nonostante le defezioni tra il pubblico, ha regalato a noi, fortunati spettatori uno spettacolo di grande livello.
Marilisa Lazzari