Landgraf | Tijl Faveyts |
Tannhäuser | James Kee |
Wolfram von Eschenbach | Birger Radde |
Walter von der Vogelweide | Martin Mairinger |
Biterolf | Young Kwon |
Heinrich der Schreiber | Christian Sturm |
Reinmar von Zweter | Gerrit Illenberger |
Venus | Heike Wessels |
Elisabeth | Leah Gordon |
Un giovane pastore | Julia Duscher |
Paggi* | Serena Cusimano, Silvia Dilenge, Anna Elvezzi, Bianca Meregalli, Elena Sofia Nativo, Elena Pignatti, Erika Ranieri, Sofia Sereni |
Direttore | Marcus Bosch |
Regia | Georg Schmiedleitner |
Assistente alla regia | Georg Simonosky |
Scene | Stefan Brandtmayr |
Costumi | Cornelia Kraske |
Assistente ai costumi | Aline Marie Blaschek |
Luci | Hartmut Litzinger |
Primo maestro del Coro | Petr Fiala |
Secondo maestro del Coro | Michal Dvořák |
Maestro preparatore del Coro delle Voci bianche | Paolo Gattolin |
Orchestra dell'Emilia-Romagna Arturo Toscanini | |
Czech Philharmonic Choir Brno | |
*Paggi del Coro delle Voci bianche del Teatro Comunale di modena |
Parafrasando Karl Marx: “Uno spettro si aggira per l’Emilia, quello del wagnerismo!”. Nello stesso periodo in cui al Teatro Comunale di Bologna va in scena Lohengrin, la Stagione Lirica 2022/2023 del Teatro Valli di Reggio Emilia viene inaugurata da Tannhäuser, opera coprodotta con Modena, dove è stata rappresentata una settimana prima di queste recite, e il teatro di Heidenheim, capofila dell’allestimento. L’esito contrastato di questa produzione, che a Modena è stata infatti salutata da accese contestazioni ovviamente dirette al team registico, mi spinge a fare una riflessione forse poco adatta in questa sede ma comunque doverosa.
Perché, fra tutte le realtà liriche europee, si è andato a scegliere con il lanternino un festival pressoché sconosciuto in Italia con cui coprodurre un allestimento impostato su un certo teatro di regia volutamente provocatorio, a cui il pubblico emiliano, ovviamente digiuno di questo tipo di spettacoli, non poteva che reagire in nessun altra maniera se non contestandolo? Per carità, le sperimentazioni vanno sempre bene, ma la scelta in questo caso è sembrata ancora più fuori luogo vista anche l’impostazione “tradizionale” dei cartelloni lirici sia di Modena che di Reggio Emilia (in cui campeggiano i nomi di registi tutt’altro che sovversivi quali Massimo Gasparon, Pier Francesco Maestrini, Stefano Monti e Enrico Stinchelli, che ha recentemente inaugurato la stagione lirica modenese con un “innocuo” Mefistofele).
Lo spettacolo di Georg Schmiedleitner, pur contenendo degli spunti comunque interessanti, si è rivelato infatti una provocazione fine a sé stessa, andando in aperta contrapposizione al dettato musicale e drammaturgico di Wagner. Tannhäuser viene quindi riletto come la parabola della dannazione e depravazione morale del protagonista (un personaggio borderline che vive ai margini della società umana, ubriacone, ludopatico e persino molestatore) per cui non c’è perdono o redenzione. Questa corruzione morale non riguarda solo Tannhäuser, ma anche la stessa Elisabeth, che nel finale si unirà al corteo di Venere, e Wolfram, che senza apparenti motivi (la gelosia per l’amore della donna contesa da entrambi?) strangola il poeta rivale nel finale dell’opera e si suicida sgozzandosi.
A ciò si aggiungono anche delle trovate noiose e ripetitive inserite per riempire il vuoto di regia e di idee dell’allestimento, come gli amplessi nel Venusberg, le molestie di Tannhäuser alle signore presenti tra il pubblico della Wartburg, e lo sfondamento della quarta parete con l’ingresso di alcuni personaggi dalla platea, tra cui Elisabeth che canta qui la sua aria d’esordio, il ritorno di Venere e della sua corte durante il canto blasfemo del protagonista o il coro finale dei pellegrini che chiude l’opera.
A spiazzare ancora di più lo spettatore concorre, manco a dirlo, l’assetto visivo dello spettacolo. Manca totalmente il contrasto tra i due mondi, quello vizioso di Venere e quello virtuoso della Wartburg: la scena di Stefan Brandtmayr non cambia granché, a meno che il Langravio di Turingia non abbia accidentalmente comprato la stessa carta da parati rossa attaccata sui muri dello squallido motel diventato sede del Venusberg. I costumi di Cornelia Kraske sembrano scelti apposta per creare un effetto “pugno nell’occhio”, come gli striminziti abitini delle prostitute e dei gigolò di Venere, o la tuta dorata alla Kill Bill che indossa il protagonista nel secondo atto. Poco esaltante anche il disegno luci di Hartmut Litzinger.
Fortunatamente l’esito di uno spettacolo così problematico e irrisolto viene risollevato dalla compagine musicale e vocale, pur con alcuni distinguo.
Marcus Bosch tiene saldamente le redini del tessuto musicale, guidando con mano sicura la compagnia vocale e l’Orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini in gran spolvero (menzione particolare per i suoni compatti e graffianti degli archi nell’Ouverture alla prima apparizione del tema del Venusberg) e il Czech Philharmonic Choir Brno, preciso in tutti i suoi interventi. Come dichiarato nelle note musicali, il direttore tedesco affronta Tannhäuser guardando alle sonorità romantiche di Beethoven, Weber e Mendelssohn, i modelli compositivi cui lo stesso Wagner guardava durante la scrittura dell’opera. Ne risulta una conduzione tutt’altro che roboante e titanica, ma piacevolmente snella e dinamica atta a risaltare i diversi colori della partitura.
Venendo ai cantanti, James Kee si rivela un protagonista discontinuo, dal fraseggio arido e poco eroico. Le cose migliorano vocalmente di atto in atto, come gli interventi disturbatori durante la gara canora, scolpiti con accenti incisivi ed espressivi, o il tragico racconto della maledizione papale, ma la tendenza al Verismo è sempre in agguato.
Discorso simile per quanto riguarda la Venere di Heike Wessels, che alterna momenti in cui riesce a far emergere uno strumento vocale bello corposo e seducente ad altri in cui l’interprete sembra al limite dell’afonia, come l’apparizione del terzo atto.
Trionfatrice indiscussa della serata Leah Gordon, un’Elisabeth dalla voce fresca e luminosa che scatena l’applauso del pubblico a scena aperta alla fine di un “Dich, teure Halle” davvero ben cantato ed interpretato. La cantante non si limita a disegnare il solito ritratto di una remissiva e liliale principessa, ma riesce a svettare con spavalderia e alterigia sopra la compagine corale maschile durante l’anatema contro Tannhäuser.
Di grande rilievo anche il Wolfram von Eschenbach di Birger Radde, che esibisce una linea di canto elegante ed impeccabile, e un controllo dei fiati davvero ragguardevole con cui cesella “O du, mein Holder Abendstern”.
Il Langravio di Tijl Faveyts si rivela volenteroso nelle intenzioni ma vocalmente piuttosto anonimo.
Compatto il quartetto dei rivali cantori di Tannhäuser, Martin Mairinger (Walther), Young Kwon (Biterolf), Christian Sturm (Heinrich) e Gerrit Illenberger (Reinmar).
Pur nell’esiguità della sua parte, non passa inosservato il Giovane pastore di Julia Duscher (complice anche la parrucca rasta), che canta il suo intervento con brio e vitalità.
Bene anche il breve intervento dei Quattro paggi, scelti dal Coro delle Voci bianche del Teatro Comunale di Modena.
Teatro piacevolmente affollato di un pubblico eterogeneo composto in gran parte da giovani studenti, tutt’altro che spaventati dal titolo wagneriano ma che, anzi, si sono rivelati parecchio interessati e, nel complesso, divertiti dallo spettacolo. Pur non essendo presenti gli autori della messa in scena, non sono mancate delle contestazioni al termine dello spettacolo, ma le uscite dei singoli artisti sono state tutte quante salutate da un caldo successo, con particolare entusiasmo verso i quattro ruoli principali e il direttore.
La recensione si riferisce alla recita di venerdì 18 novembre 2022.
Martino Pinali