Orfeo | Giovanni Sala |
La Musica | Vittoria Magnarello |
Messaggera | Alice Grasso |
Pastore I | Massimo Altieri |
Pastore II | Luca Cervoni |
Pastore III | Enrico Torre |
Proserpina | Daniela Pini |
Speranza | Margherita Maria Sala |
Caronte | Mirco Palazzi |
Plutone | Federico Sacchi |
Euridice | Eleonora Pace |
La Ninfa | Chiara Nicastro |
coro di ninfe e pastori | Anna Bessi, Riccardo Dernini |
coro di spiriti | Marco Saccardin, Renato Cadel |
Direttore | Ottavio Dantone |
Regia, scene e costumi | Pier Luigi Pizzi |
Coreografo | Gino Potente |
Light designer e regista collaboratore | Massimo Gasparon |
Maestro del coro | Antonio Greco |
Accademia Bizantina | |
Coro Cremona Antiqua |
Il progetto di questo Orfeo di Claudio Monteverdi, ospitato dal Teatro Alighieri di Ravenna, viene da lontano ed è l’effetto di diversi aggiustamenti che si sono sovrapposti. Lo spunto proviene direttamente da Luciano Berio che, circa quarant’anni fa ne diede una versione personale, in linea con le sue sperimentazioni. Propose una versione che prevedeva un accompagnamento musicale composito che richiedeva la coabitazione di strumenti acustici ed elettronici, una rock-band, sintetizzatori e strumenti barocchi. Chiamò Pier Luigi Pizzi per la regia e le scene e scelse di utilizzare voci naturali. Il tutto si svolse all’aperto, a Palazzo Pitti, tra spostamenti e forti amplificazioni. In anni recenti si pensò di riproporre questa versione all’aperto al Festival di Spoleto, abbandonando in seguito il progetto di riproporlo con l’impianto strumentale previsto da Berio e tutto quello che ne conseguiva. L’orchestra fu affidata a Ottavio Dantone, mantenendo, dell’idea originaria, solo l’utilizzo di voci naturali.
Dalla piazza di Spoleto quest’anno ci si è spostati in teatro, con altri rimaneggiamenti susseguenti alle diverse normative legate al Covid. Ad esempio l’orchestra doveva essere collocata nella platea vuota, in seguito recuperata per il pubblico. Per questo, nella versione definitiva l’Accademia Bizantina è finita sul palco, benché divisa in due per permettere il passaggio del coro e dei protagonisti. Parte della platea è stata poi occupata da una passerella che circonda una fossa occupata dagli Inferi. Tutta questa logistica rimaneggiata di continuo alla fine si è rivelata poco funzionale. L’orchestra è spezzata e si sente. La zona dei fiati prende spesso il sopravvento, togliendo equilibrio all’insieme. Il passaggio che si forma in mezzo al palcoscenico è angusto, e i movimenti del coro e dei protagonisti risultano impacciati, dando l’idea di sgomitare con gli orchestrali.
Questo senso di precarietà è accentuato dai costumi. A teatro gli abiti sono segni, portatori di senso. Resta da capire perché la Musica debba presentarsi in sottoveste d’oro, calze e guanti viola e sandali d’argento, una mise terrificante che allude alla disarmonia. Per contrasto o per normale cattivo gusto? Perché i danzatori sono vestiti da Finzi Contini al tennis? Perché i coristi assomigliano vagamente a marinai russi in divisa da lavoro, mentre le coriste sono in nero lungo, ma laureate? Sulla passerella si muovono i personaggi del mondo emerso, il sommerso cova dentro la fossa e si esprimerà con fumi, al momento giusto. Pierluigi Pizzi, responsabile di scene, costumi e regia qui appare molto sottotraccia, come se gli fosse sfuggita un’idea unitaria, una linea sicura di lettura.
La direzione di Ottavio Dantone è incalzante fino all’arrivo della Messaggera che porta l’annuncio fatale della morte di Euridice, poi si distende su tempi più pacati cuciti sul canto e capaci di far emergere la forza del mito.
Il protagonista è il giovane tenore Giovanni Sala, le cui intenzioni interpretative sono convincenti. Il suo è un personaggio molto terreno, asciutto, mai enfatico. Ha una bella voce, elegante ma non sempre ben controllata, gli attacchi a volte slittano, l’intonazione non è sempre sicura, le lunghe arcate richieste dalla parte a volte cedono. È però perfettamente intellegibile, requisito fondamentale in questo repertorio, come anche il resto della compagnia di canto, accomunata da questo elemento imprescindibile. La distribuzione di questo Orfeo è molto vasta: ogni personaggio è affidato ad un interprete, come usualmente non accade, di solito ogni cantante interpreta più parti. Alice Grasso, la Messaggera, viene dal mondo e dalla scuola del musical ma non si avverte. La narrazione è fluida e naturale, forse come la pensava Luciano Berio, e anche il suo modo di tenere la scena mentre porta il tragico annuncio della morte di Euridice, con un bel timbro morbido e l’emissione fluida. Convince meno la Musica di Vittoria Magnarello, la cui introduzione scivola in modo inopinato dal canto ribattuto alle modulazioni mozarabiche. Sia Margherita Sala, la Speranza che Chiara Nicastro, la Ninfa, riescono, nel breve spazio loro concesso dalla partitura, a dare forza e colore ai loro personaggi, mentre il passaggio dell’Euridice di Eleonora Pace non lascia traccia. Daniela Pini è un’autorevole Proserpina nella sua perorazione al consorte, Plutone, perché salvi Euridice nella grande scena del quarto atto. Federico Sacchi è il dio degli inferi che infrange le regole e cede alle suppliche della sua sposa in uno dei momenti più toccanti, Tue soavi parole, sostenuto da un’orchestra il cui suono pare nascere dal nulla. Il terzetto dei pastori, ossatura narrativa della vicenda, è molto ben rappresentato da Massimo Altieri, Luca Cervoni ed Enrico Torre, tutti esperti monteverdiani, così come il coro di spiriti di Marco Saccardin e Renato Cadel. Caronte, uno dei ruoli più spettacolari, è affidato a Mirco Palazzi che non tradisce le aspettative.
Il Coro Cremona Antiqua, diretto da Antonio Greco, è impeccabile.
Lo spettacolo è stato ben accolto dal pubblico, festoso e partecipe come è d’uso a Ravenna.
La recensione si riferisce allo spettacolo del 6 novembre 2021.
Daniela Goldoni