Don Giovanni | Daniele Antonangeli |
Donna Anna | Sonia Ciani |
Don Ottavio | Diego Godoy |
Il Commendatore | Paolo Pecchioli |
Donna Elvira | Raffaela Milanesi |
Leporello | Nicola Ziccardi |
Masetto | Francesco Vultaggio |
Zerlina | Federica Livi |
Direzione d'orchestra | Erina Yashima |
Maestro al fortepiano | Riccardo Mascia |
Regia | Cristina Pezzoli |
Scene e costumi | Giacomo Andrico |
Luci | Valerio Alfieri |
Coreografia | Arianna Benedetti |
Maestro del Coro | Marco Bargagna |
Orchestra Arché | |
Coro Ars Lyrica | |
Nuovo BallettO di ToscanA | |
Nuova produzione del Teatro di Pisa, in coproduzione con la Fondazione Stiftung Haydn di Bolzano e Trento, il Teatro Goldoni di Livorno e il Teatro del Giglio di Lucca |
Son trascorsi poco più di cinque anni dall'ultima esecuzione di Don Giovanni a Pisa, ma assistendo alla nuova produzione del Teatro Verdi e ricordando l'allestimento visto nell'ottobre 2014 sembra passato qualche decennio, tanto quello di allora era “tradizionale”, nel senso più rassicurante e in parte anche deteriore del termine, quanto questo che ha appena debuttato è “moderno”, per dirla in modo semplificativo. In realtà i due termini virgolettati non significano quasi nulla e costituiscono due banalizzazioni da dibattito social di basso livello.
Allora si vide semplicemente uno spettacolo lineare, statico e un po' stantio, dove la vera regia latitava. In questa occasione si è assistito a una sorte di overdose di regia, per mano di Cristina Pezzoli, uno dei due nomi femminili che - assieme al direttore d'orchestra Erina Yashima - caratterizzano, per precisa scelta artistica, il cartellone di questa produzione.
Idea tutt'altro che nuova (già proposta con le Nozze di Figaro al Maggio Musicale Fiorentino del 2019) e di cui sfugge il senso, tenendo conto anche dei contributi affatto diversi offerti dai due nomi sopra citati. Dal podio dell'Orchestra Arché (efficiente al pari del Coro Ars Lyrica) scaturisce infatti una lettura corretta e precisa, non molto personale, ma sufficientemente teatrale (nonostante i tempi per lo più tranquilli), senza macchie evidenti se non quella di avere avallato due scelte registiche che vanno ad incidere sul tessuto musicale con l'inserimento di “rumoristica” da teatro di prosa (effetti elettronici sui recitativi secchi) e l'uso, in alcuni casi, di microfoni ad asta posti al proscenio dietro ai quali detti recitativi sono eseguiti e amplificati. Esperimento dagli effetti teatrali di un qualche interesse, ma che turba l'equilibrio sonoro di un'opera già perfetta così come è. Direzione e regia dialogano con profitto nei finali, primo e secondo, dove la bacchetta della Yashima acquista vitalità e nerbo e sulla scena si vedono probabilmente le cose migliori.
Tali sono il mestiere, l'esperienza, ma anche la deliberata scelta di incidere con mano pesante della Pezzoli, che lo spettacolo appare spesso come una sorta di esercizio di stile registico, con una summa di tendenze degli ultimi decenni. L'opera è concepita come un “circo nero”, con la vicenda che si svolge su una piattaforma, nell'ormai consueto contesto scenografico minimale e costumi di foggia atemporale, entrambi a firma di Giacomo Andrico. C'è il solito teatro nudo a vista per inesistenza delle quinte, i soliti simboli un po' ermetici (compare dall'alto la scritta “Don Giovanni”, ma messa al contrario) un pizzico di Strehler con l'andirivieni di candelabri portati a mano e di Vick per certe dissacrazioni e stilizzazioni di elementi scenici. C'è un minuzioso lavoro sugli interpreti e un ancor più meticoloso uso di danzatori, anche quali figuranti. Pure le coreografie del Nuovo BallettO di ToscanA portano una firma femminile, quella di Arianna Benedetti.
C'è però anche una mano felice nel gestire, come si accennava, lo spettacolare finale primo con un ritmo e una varietà quale il momento richiede e c'è una firma di classe per tutta la parte finale del secondo atto, sin dalla scena del cimitero a partire dalla quale la statua del Commendatore resterà visibile in scena, con i ballerini a formare una straordinaria scultura vivente, ottimamente illuminata da Valerio Alfieri e una grande croce su cui il protagonista consuma il suo ultimo pasto, blasfemo e sprezzante fino all'ultimo verso tutto ciò che è ultraterreno. Un'overdose di regia, sicuramente preferibile a una regia scialba. Il Commendatore che nel secondo atto si muove a scatti è una perla di teatro musicale e di recitazione di Paolo Pecchioli, il più esperto elemento di un cast per lo più giovane e un po' acerbo per spiccare in modo particolare nelle rispettive parti.
Se Pecchioli si mette prepotentemente in luce esibendo la sua corposa voce di autentico basso, il resto della compagnia dà più l'idea di una buona opera-studio che di elementi maturi per affrontare un titolo così impegnativo nella resa espressiva, oltre che vocale. Su quest'ultimo piano si mette in luce Diego Godoy, dalla voce piccola ma ben governata, tanto da riuscire a mettere in cornice le due arie di Don Ottavio, eseguite (soprattutto la prima) con non poche variazioni.
Sono molto corretti, pur dotati di strumenti non debordanti, sia il Don Giovanni di Daniele Antonangeli che il Leporello di Nicola Ziccardi, entrambi disinvolti sulla scena e mai messi in difficoltà dai passaggi più impervi dei rispettivi ruoli. Molto accurate, nel caso di Antonangeli, le esecuzioni dei due non semplici momenti solistici del protagonista, “Fin c'han del vino” e “Deh vieni alla finestra”. Discreta la Donna Elvira di Raffaella Milanesi, pur con qualche asprezza - utilizzata anche a fini espressivi - specie nell'incisiva “Mi tradì quell'alma ingrata”. Dignitosa la prova di Sonia Ciani quale Donna Anna, cantata con apprezzabile sicurezza, qualche fissità, mezzi e accento non proprio da primadonna. Solido il Masetto di Francesco Vultaggio e precisa ma con poco pepe la Zerlina di Federica Livi.
Convulsi gli applausi finali con l'interprete di Don Giovanni che esce prima di Donna Anna e una parte del pubblico che erroneamente, dopo l'uscita della direttrice d'orchestra, fischia il bravo Maestro al fortepiano Riccardo Mascia, evidentemente ritenendolo il regista e dimostrando di non conoscere nemmeno il... genere della regista. Regista che, a quel punto, non esce neppure.
La recensione si riferisce alla Prima del 24 gennaio 2020.
Fabrizio Moschini