Catone | Filippo Mineccia |
Cesare | Riccardo Novaro |
Marzia | Lucia Cirillo |
Arbace | Kristina Hammarström |
Emilia | Roberta Invernizzi |
Direttore | Carlo Ipata |
Mise en espace | I Sacchi di Sabbia |
Scene | Francesca Pieretti |
Luci | Federico Polacci e Stefania De Cristofaro |
Orchestra Auser Musici | |
Opera-pasticcio con musiche di Hasse, Leo, Porpora, Vinci e Vivaldi su libretto di Pietro Metastasio |
Con la mente dei nostri giorni pare impensabile che nel '700 fosse prassi del tutto comune, anche da parte dei più affermati musicisti, creare le opere-pasticcio, messe insieme su un unico libretto, spesso di Pietro Metastasio, estrapolando brani da composizioni di vari autori. Di questi ultimi non esistendo ancora alcun diritto legale, la pratica era considerata non solo lecita, ma anche utile: un modo per fa conoscere oppure mantenere in repertorio la musica di certi titoli, altrimenti destinati all'oblio o a una distribuzione inevitabilmente limitata.
Lo stesso Händel, astro assoluto del teatro musicale della prima metà del 18esimo secolo, non si fece pregare per dare alla luce molti di questi pastiche, che peraltro venivano retribuiti dai committenti esattamente come una composizione originale, anche se - come nel caso del Catone visto al Teatro Verdi di Pisa - non contenevano nemmeno una nota del “Caro sassone”. Il motivo di tale attività parallela era probabilmente la richiesta frenetica di nuovi titoli per l'attività della Royal Academy londinese, oltre alla possibilità di selezionare arie particolarmente adatta ad esaltare le caratteristiche vocali dei cantanti dell'accademia stessa.
Händel mise insieme l'opera nel 1732 sul libretto di Metastasio che aveva ispirato vari compositori, Vinci per primo, oltre a Vivaldi, Hasse, Porpora e Leo, partendo dalla partitura “Catone in Utica” di quest'ultimo, dalla quale saccheggia a piene mane un buon numero di brani.
L'opera eseguita a Pisa riprendeva la produzione vista al Festival di Barga con giovani interpreti, presentando un cast interamente rinnovato e composto da cantanti con lunga esperienza nell'esecuzione di musica barocca. Il direttore Carlo Ipata, già sul podio a Barga, conferma l'ottima impressione che aveva destato nel Convitato di pietra di Tritto visto a Pisa poco più di un mese fa nell'ambito della rassegna dedicata al mito di Don Giovanni, dimostrandosi ancora una volta del tutto a suo agio con l'opera settecentesca e in percepibile sintonia con la “sua” orchestra Auser Musici, con la quale offre un limpido esempio di come debba eseguirsi l'opera barocca ai nostri giorni. La sua direzione è trasparente e precisa, ma mai impettita. Sempre espressiva, morbida e varia nelle dinamiche, riesce ad essere anche intensa e tonante dove il momento scenico lo richiede, ma senza scambiare l'enfasi con l'inutile frenesia. La compagine pisana risponde da par suo, producendo un suono caldo e affascinante, pur nell'essenzialità della strumentazione, con solo un paio di veniali sbandamenti da parte dei legni.
Il cast si mette in luce per una grande armonia tra i cinque componenti, pur dotati di caratteristiche vocali molto (e ben) diversificate. Il ruolo del titolo, che nella Londra del '700 fu del Senesino, è affidato a Filippo Mineccia, controtenore dalle grandi doti di musicalità, espressività e - cosa non scontata per questa delicata tipologia vocale - omogeneità timbrica nella maggior parte della gamma, dal registro grave a quello acuto, con la parziale eccezione delle note più estreme. Piace e convince sin dalle due prime arie Con sì bel nome in fronte e Pensa di chi sei figlia dal Catone in Utica di Leonardo Leo.
Di grande spicco anche la prova del baritono Riccardo Novaro, autorevole interprete di Cesare, cui presta una dizione molto nitida, una grande precisione nella coloratura e una voce non enorme (che non serve e può essere anche un impiccio in questo repertorio), ma estesa e dal colore molto piacevole. Dal punto di vista espressivo riesce a ben delineare il personaggio più sfaccettato dell'opera, sempre in bilico tra la volontà di vincere la resistenza di Catone ormai assediato e il rispetto per la statura morale del senatore destinato alla sconfitta.
La svedese Kristina Hammarström è l'unica componente straniera del cast, ma si inserisce con molta naturalezza nel contesto, sfoggiando timbro scuro quasi contraltile, buona pronuncia italiana e sobri accenti virili che si addicono al ruolo en travesti di Arbace, giovane Principe numida alleato di Catone ed innamorato della figlia di questi, Marzia. Di quest'ultima è efficace interprete Lucia Cirillo dotata di strumento bello e luminoso, piuttosto chiaro, ma incisivo. A Marzia, nel finale dell'opera, viene affidata l'aria più celebre, più spettacolare e forse più suggestiva di tutta la composizione, Vo solcando il mar crudele, dall'Artaserse di Leonardo Vinci.
Spicca, infine, per la capacità di essere interprete esuberante negli accenti, mantenendosi sempre in armonia con lo stile barocco, l'Emilia di Roberta Invernizzi, la quale risolve con classe il personaggio - di rilievo, ma a rischio di apparire monotono nella costante smania di vendetta - della vedova di Pompeo. Il soprano, ormai da anni tra le più affermate interpreti della musica di Händel e dei suoi contemporanei, affronta le arie di Porpora Priva del caro sposo e di Hasse Fra tanti pensieri, Vede il nocchier la sponda e Ah! Per mia pena anch'io, avvalendosi della carismatica presenza e di una tecnica molto rifinita, anche nell'affrontare le agilità di forza, utilizzando a fini espressivi anche un accenno di asprezza e disomogeneità timbriche.
L'allestimento era dichiaratamente una mise en espace quanto mai essenziale anche se elegante - curata dal gruppo I Sacchi di Sabbia, con pochi elementi scenografici creati da Francesca Pieretti e bei costumi di Lucia Castellana - che si limitava a delineare con le luci le atmosfere del momento scenico, lasciando agli interpreti e alla musica il compito narrativo. Una via di mezzo tra la forma semiscenica e quella propriamente scenica, insomma, semplice e chiaramente non dispendiosa, ma che non risultava sminuita dal grande spazio del Teatro Verdi, che nell'occasione si è dimostrato ancora una volta una struttura dalla dimensione e dall'acustica ideale, adatta o adattabile a qualsiasi genere.
Lo spettacolo era compreso nella 49esima Stagione dei Concerti della Normale di Pisa ed ha attirato un pubblico particolarmente numeroso, in considerazione della rarità del titolo e dell'ancora insufficiente diffusione dell'opera barocca in Italia, riscuotendo un caldo successo, con applausi giustamente ben distribuiti tra il direttore e i cinque componenti del cast.
La recensione si riferisce alla recita del 20 dicembre 2015.
Fabrizio Moschini