Flaviano Labò è stato indubbiamente uno dei più grandi tenori del secolo scorso. Voce robusta e sorretta da ottima tecnica, a soli tre anni dal debutto, avvenuto nel 1954 al teatro Municipale di Piacenza, calcava il palcoscenico del Metropolitan di New York. Dal 1957 confermò, per otto stagioni, la sua presenza presso il maggiore teatro americano, cantando in tredici diversi ruoli e ponendo la firma su ben sessantadue locandine. Nel 1959 debuttò col ruolo di Radames presso la Royal Opera House di Londra e al Palais Garnier di Parigi.
Nel 1960 la sua prima volta alla Scala col celebre Don Carlo da cui nacque la registrazione discografica DG accanto a Boris Christoff, Antonietta Stella, Ettore Bastianini e Fiorenza Cossotto diretti da Gabriele Santini. Nella sala del Piermarini tornò altre volte, fra le quali ricordiamo Trovatore e Lucia di Lammermoor entrambe nel 1970. Chiuse la carriera nel 1987 a trentatré anni dal debutto con alcune recite di Nabucco al Teatro Regio di Torino. Dalle registrazioni d’opera, purtroppo solo due in studio (Don Carlo per la Deutsche Grammophon e Lucia di Lammermoor per la Supraphon), si percepisce il vigore di una voce schiettamente tenorile, all’italiana, controllata splendidamente in virtù di un’ottima tecnica. A tal proposito consigliamo l’ascolto di "Ah sin ben mio". Oltre alle qualità vocali, nel canto di Labò, possiamo apprezzare le non comuni doti interpretative che vengono esaltate soprattutto per merito di un fraseggio che pone grande attenzione al significato della parola.
Il 13 febbraio 1991 un tragico incidente stradale strappò prematuramente il tenore piacentino alla vita ed all’affetto dei suoi cari; era nato a Borgonovo Val Tidone il 1° febbraio 1927.
Nel trentennale della scomparsa, onore al merito degli “Amici della Lirica di Piacenza” che non solo hanno pensato di ricordarlo ma l’hanno fatto nel migliore dei modi.
La commemorazione si è tenuta a Piacenza presso la stupenda sala dei Teatini che, per la prima volta dopo la chiusura forzata dalla pandemia, ha ospitato un evento artistico, per altro con nuove e comode poltrone.
Il pomeriggio musicale è stato introdotto dall’ascolto del duetto del Don Carlo “Dio che nell'alma infondere” in una splendida esecuzione live con Flaviano Labò e Piero Cappuccilli. Dopo una breve presentazione del concerto e degli artisti ospiti effettuata da Silvia Casagrande si è dato spazio alla musica.
É toccato al tenore Vincenzo Costanzo rompere il ghiaccio affrontando “Forse la soglia attinse” da Un ballo in maschera di G. Verdi. Vocalità decisamente appropriata a commemorare Labò quella del tenore campano il cui affascinante colore a tinte scure del timbro si fonde perfettamente alle sfumature fosche del drammatico momento che vive Riccardo. Costanzo ha proseguito, alternandosi al soprano, con altre tre celebri arie: “Recondita armonia”, “Ah la paterna mano”, “L’anima ho stanca”; tutte e tre tratte da opere in cui il tenore ha già debuttato nei ruoli principali. All’esordio nel ruolo di Cavaradossi eravamo presenti la scorsa estate a Torre del Lago, Macduff lo vedemmo a Palermo nel 2017 mentre i panni di Maurizio di Sassonia se li era tolti, appena ventiquattrore prima, dopo l’ultima recita di Adriana Lecouvreur cantata in Germania. L’impressione globale è che l’interprete sia ormai maturo: lo si nota dall’attenzione alla parola, dal fraseggio curato, dal legato, dalla tavolozza di colori e dall’intensità delle sfumature sfoggiate ma mai fini a sé stesse. Ne sono scaturite letture intense, ricche di pathos dove anche la spettacolarità ha avuto il giusto spazio in virtù di fiati infiniti, accenti vigorosi, acuti robusti e squillanti.
Ilaria Quilico, giovane soprano aostano, è giunta a sostituire l’inizialmente prevista Valentina Boi costretta a cancellare l’impegno per un sopraggiunto malanno di stagione. L’artista ha aperto il concerto con “Tacea la notte placida” completa di cabaletta “Di tal amor che dirsi”, probabilmente frutto di studio presso l’Accademia di alto perfezionamento in repertorio verdiano del Teatro Regio di Parma. Sono seguite l’aria di Adriana “Io son l’umile ancella”, “Tu che le vanità” dal Don Carlo verdiano e per finire “Si, mi chiamano Mimì” dalla Bohème. Il materiale vocale evidenziato è indubbiamente interessante per proiezione e sonorità ma l’utilizzo che ne viene fatto evidenzia la necessità di un ulteriore lavoro di rifinitura – come è piuttosto normale che sia vista la giovane età – per rendere l’emissione più morbida (abbiamo notato una tendenza ai suoni fissi), rotonda e meno spinta. In considerazione della complessità dei pezzi cantati, alcuni dei quali richiedono obbligatoriamente una buona dose di maturità, le intenzioni interpretative sono risultate convincenti.
Nell’intervallo tra la prima e la seconda parte della commemorazione è stato particolarmente interessante la carrellata di testimonianze inerenti Flaviano Labò a cui Giuliana Biagiotti, presidente dell’Associazione “Amici della Lirica Piacenza”, ha dato voce. Da quella di Pertusi a quella di Baldini, tutte hanno sottolineato, oltre alla grandezza dell’artista, la sua straripante simpatia, la generosità e la bontà d’animo.
Il concerto si è concluso con due bis. Ilaria Quilico ha offerto una bella interpretazione di “O mio babbino caro” e Vincenzo Costanzo ha commosso con una sentitissima esecuzione di “Core ‘ngrato”.
Buono l’accompagnamento al pianoforte del M° Elio Scaravella.
La recensione si riferisce al concerto del 13 novembre 2021.
Danilo Boaretto