Le Comte Ory | Juan Diego Flórez |
Le Gouverneur | Nahuel Di Pierro |
La Comtesse Adèle | Julie Fuchs |
Raimbaud | Andrrzej Filonczyk |
Isolier | Maria Kataeva |
Dame Ragonde | Monica Bacelli |
Alice | Anna-Doris Capitelli |
Direttore | Diego Matheuz |
Regia, Scene e Costumi | Hugo De Ana |
Maestro del Coro | Giovanni Farina |
Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai | |
Coro del Teatro Ventidio Basso | |
Nuova produzione del Rossini Opera Festival |
Sono trascorsi ben ventisei anni dal debutto pesarese di Juan Diego Flórez in quella Matilde di Shabran nella quale sostituì all'ultimo momento l'indisposto Bruce Ford nel ruolo di Corradino, ottenendo un trionfo che sancì l'inizio di una formidabile carriera internazionale. Da allora il tenore peruviano è tornato al Rossini Opera Festival con regolarità, ma quella di quest'anno è una partecipazione che riveste un significato particolare, essendo la prima da direttore artistico dell'evento.
Per questo debutto nella duplice veste di cantante e direttore del festival Flórez ha scelto di riproporre uno dei suoi ruoli-simbolo, quello eponimo di Le Comte Ory, che lo vide protagonista al Teatro Rossini nel 2003 (vedi recensione di Vittorio Zambon su queste pagine) e che ha mantenuto in repertorio negli anni, presentandolo anche al Metropolitan Opera House nel 2011, nella prima esecuzione newyorkese del titolo.
L'allestimento inaugurale del ROF 2022 alla Vitrifrigo Arena è stato affidato a Hugo De Ana - di ritorno a Pesaro a trent'anni esatti dalla storica Semiramide che fu ripresa anche nel 1994 - il quale crea anche in questa occasione uno spettacolo stupefacente per impatto visivo, gusto e cura del dettaglio. Le Comte Ory fu composta da un Rossini trasferitosi da qualche anno a Parigi, trentatreenne, ma ormai (incredibilmente) nella fase finale della sua carriera di compositore operistico. Una parte consistente della musica fu tratta da Il viaggio a Reims - che aveva visto appena tre rappresentazioni nel 1825, in quanto creato come titolo “celebrativo” e non destinato alla diffusione nei teatri - mentre il libretto fu ricavato da Eugène Scribe e Charles-Gaspard Delestre-Poirson da un loro vaudeville, ispirato a una ballata medievale a sua volta tratta da una leggenda piccarda. Tanti passaggi, uniti ai consueti accomodamenti per non incorrere negli strali della censura, diedero vita a una trama bislacca, divertente, sensuale, ammiccante e quanto mai improbabile, tra il libertino conte del titolo e il di lui paggio che tentano di sedurre la stessa donna fino a trovarsi involontariamente quasi a flirtare tra loro, con travestimenti, un accenno di ménage à trois e quattordici cavalieri dagli ormoni irrequieti che si introducono in un castello travestiti da suore per attentare alle virtù delle nobili signore.
Questa parentesi sulla genesi dell'opera e sulla sua trama tenta di fornire qualche spunto per spiegare l'impostazione registica di De Ana, che sembra considerare Le Comte Ory come un divertissement nel quale è inutile ricercare una logica narrativa, per vederla invece come la metafora e il pretesto di un gioco di malizia e di desiderio erotico. Una visione simboleggiata dall'ostentato riferimento al pannello destro (noto, guarda caso, come “L'inferno musicale”) del celebre quanto enigmatico trittico del Giardino delle delizie di Hieronymus Bosch conservato al Prado.
Hugo De Ana, che come sua abitudine firma anche scene e costumi, riproduce con fedeltà certosina alcuni elementi fantasiosi e surreali del dipinto, depurandoli dai toni cupi e punitivi degli inferi in favore di un lussureggiante effetto cromatico basato sull'azzurro, quasi a trasformare - con tono forse velatamente critico verso l'oscurantismo religioso - in un ideale paradiso terrestre quello che per Bosch era un mondo di punizione per il peccato. Un bizzarro Eden, quindi, illuminato dalle luci di Valerio Alfieri e arricchito da straordinari costumi e da apparizioni surreali quali tavole bibliche lampeggianti al momento degli acuti di Flórez (quest'ultimo si produce addirittura in un'entrata in monopattino) e persino con l'ingresso in scena di buffi dinosauri, quando ormai il caos di uno spettacolo che pare più un balletto che un'opera diventa assoluto.
La trama, già non semplicissima da seguire di suo, si perde in parte, la regia vera e propria latita, ma Hugo De Ana quale “visual artist” (se ciò basta) firma uno dei suoi risultati più intriganti. Originalissimo, tra l'altro, anche rispetto a se stesso, cosa tutt'altro che scontata quando gli anni di carriera si contano a decine e il rischio di ripetersi e di cadere nella maniera è alto.
Meno fantasiosa la bacchetta di Diego Matheuz sul podio di un’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai in buona forma. Il direttore, dopo un Prélude che preoccupa per ritmi e sonorità un po' bandistiche, si distende e ottiene fluidità narrativa e legato, assestandosi su una apprezzabile routine, con qualche episodica copertura delle voci, poca varietà di colori e di dinamiche, ma un finale primo sostenuto con adeguato mordente, se non proprio con brillantezza. Sono corretti anche gli interventi del Coro del Teatro Ventidio Basso preparato da Giovanni Farina.
L'aplomb con cui Flórez risolve il ruolo del titolo, sia vocalmente, sia scenicamente, è sempre da manuale, con un'immedesimazione ormai paradigmatica e un fraseggio ammaliante. Dopo una carriera ormai lunga (perché iniziata prestissimo), la voce appare intatta nel colore e nell'estensione e il tenore lega i suoni con musicalità a prova di bomba, producendosi in agilità e nuances degne della sua fama. In ogni cantante la vocalità si evolve in modo diverso negli anni e, nel caso del fuoriclasse peruviano, dalla conservazione di uno strumento che appare, per l'appunto, intatto, consegue anche che il volume sia rimasto sostanzialmente quello di un tenore lirico-leggero, malgrado l'arrotondamento dei suoni nel registro centrale. Va anche osservato, senza che questo leda il valore complessivo della prestazione, come nel confronto con le sue prove passate nello stesso ruolo si avverta una minore insolenza nella proiezione sonora degli acuti, pur sempre sicuri.
Julie Fuchs è una Comtesse Adèle di bello stile e tecnica sopraffina, che trova nei numerosi passi di coloratura richiesti dalla parte - nei quali è non meno che eccellente - i momenti più coinvolgenti. Il gusto interpretativo è sorvegliato ed elegante, un filo troppo, forse, in un ruolo cui gioverebbe una personalità un po' più marcata.
il paggio Isolier trova in Maria Kataeva una convincente impersonificazione grazie a una voce ambrata e omogenea e una presenza scenica disinvolta. Caratteristica, quest'ultima, che la accomuna a Nahuel Di Pierro, il quale torna a Pesaro dove si fece valere come Assur nella Semiramide e qui è ottimo Gouverneur, dai freschi e sicuri mezzi vocali.
Raimbaud è Andrzej Filonczyk, brillante nel disimpegnarsi in un ruolo che prevede un brano iconico come “Dans ce lieu solitaire”, che altro non è che la nota “Medaglie incomparabili” del Viaggio a Reims. Monica Bacelli presta il suo carisma e la sua esperienza per caratterizzare Dame Ragonde e Anna-Doris Capitelli come Alice completa validamente la locandina.
Franco successo alla prima con lunghi applausi per tutti e punte di entusiasmo per la Kataeva e soprattutto per un Flórez sommerso dall'affetto del pubblico.
La recensione si riferisce alla Prima del 9 agosto 2022.
Fabrizio Moschini