

Il Regio di Parma chiude la stagione lirica 2018 riportando sul palcoscenico Tosca nell'allestimento ormai storico ideato da Alberto Fassini nel 1998, ripreso, negli anni, da Joseph Franconi Lee con le scene e i bellissimi costumi d'epoca di William Orlandi e luci di Roberto Venturi.
Elemento fisso dell'impianto è un'imponente scalinata sulla quale incombono, ingigantiti e rigorosamente in bianco e nero, gli elementi caratterizzanti le varie ambientazioni. Le luci sono fredde e virano sul rosso totale soltanto nei momenti che coinvolgono in modo più drammatico due dei protagonisti: Cavaradossi durante la tortura e Tosca al momento del suicidio.
L'intenzione, non sempre centrata in questa recita, è quella di creare un dramma noir, teso ed intimistico, che punta sulle sfumature dei rapporti fra i tre protagonisti: Mario che ama Tosca ma anche il suo impegno politico, la profonda insicurezza della Diva che alimenta la sua gelosia e la sua credulità, il sadismo morboso di Scarpia.
Floria Tosca ha la voce potente e piena di Anna Pirozzi. Il soprano, avvalendosi dei suoi sicurissimi mezzi, crea un personaggio forte ma un po' monocorde, che attraversa il dramma con furia disperata senza quasi sembrarne consapevole.
Il suo intenso e molto applaudito “Vissi d'arte” è stato comunque l'unico momento che ha strappato il “bravo” al pubblico della prima.
Ad una prestazione vocalmente ineccepibile è mancata solo l'ultima nota: l'invettiva finale “O Scarpia, avanti a Dio” si ferma infatti su “Di” mentre il resto si perde, forse, nell'impeto del tuffo.
Andrea Carè, reduce da un improvviso calo di voce che lo aveva costretto a mimare durante la generale aperta, mentre in un palco di proscenio cantava un collega, inizia con grande, troppa, cautela e tutto il primo atto è, purtroppo, gravemente compromesso. Acquista gradualmente sicurezza nel corso della recita portandola a termine in modo corretto. L'impressione, anche nei momenti più brillanti, è comunque che il ruolo sia, al momento, non totalmente adeguato alla sua vocalità.
Francesco Landolfi, interprete di Scarpia, torna a Parma dopo il positivo risultato ottenuto nel ruolo di Stankar nello Stiffelio dell'ultimo Festival Verdi.
Ma Scarpia è altra cosa rispetto all'irruente e deciso padre di Lina: il personaggio, in questa occasione, è debole e poco convincente. Nel secondo atto, tutto impostato sul canto di conversazione, si perdono molti importantissimi passaggi che impoveriscono il ruolo annullandone il carisma e lo spessore drammatico.
Incisivo l'Angelotti di Luciano Leoni, forte di un bel timbro solido e corposo.
Molto ben caratterizzato il Sagrestano di Armando Gabba. Il baritono canta e recita con estrema naturalezza appoggiandosi alla musica che descrive il personaggio, senza aggiungere inutili effetti macchiettistici. Il pubblico gli decreta, all'uscita finale in proscenio, un caldississimo successo personale.
Preciso come sempre l'imbelle Spoletta di Luca Casalin, un veterano del ruolo, e corretti lo Sciarrone di Nicolò Ceriani e il carceriere di Roberto Scandura.
Ottimo il sognante pastorello di Carla Cottini che con i suoi accenti limpidi e sospesi dà ampiezza alla struggente apertura del terzo atto.
Precisi e ben timbrati gli interventi del Coro del Regio e delle Voci bianche della Corale Verdi istruiti rispettivamete da Martino Faggiani e Beniamina Carretta.
Il Direttore Fabrizio Maria Carminati, alla guida dell'Orchestra Filarmonica Italiana, accompagna con attenzione i cantanti che sono però spesso coperti dall'intensità sonora proveniente dalla buca. I tempi sono piuttosto comodi e coerenti ed è palese la puntigliosa sottolineatura dei nuclei sonori che redono immediata ed accattivante la scrittura pucciniana. La scarsità di afflati emozionali rende tuttavia un poco generica la sua lettura.
Applausi finali per tutti, ma senza esagerare.
La recensione si riferisce alla prima del 27 aprile 2018.
Patrizia Monteverdi