

Dopo circa nove anni di assenza il Regio rispolvera e porta in scena lo storico allestimento di Bohème ideato nel 1988 da Nica Magnani per la regia di Francesca Zambello. E benché siano ormai ben noti la buia soffitta con veduta sui cieli di Parigi, lo spettacolare cambio scena a vista che fa comparire in pochi secondi i palazzi e i vicoli del quartiere latino, la suggestiva nevicata sulla Barriera d'Enfer, la desolazione dell'ultimo quadro: solo due materassi pulciosi per Mimì che torna a morire, il fascino di questo spettacolo rimane immutato perché questa cornice, sempre bella anche se un po' vecchiotta, racchiude in questa occasione i colori vividi della gioventù.
Valerio Galli, trentasettenne direttore di già considerevole esperienza nel repertorio pucciniano, guida la duttile e sensibilissima Orchestra dell'Opera Italiana con totale aderenza alla drammaturgia della tragedia che irrompe nella superficiale spensieratezza della gioventù e la spegne bruscamente per sempre. I tempi sono sostenuti e asciutti: la giovinezza non sopporta gli indugi ma gode della bellezza e dell'amore, si ferma a contemplarli e non ne teme i disastri, come ben suggeriscono i subitanei rallentamenti, i cambi di colore, l'afflato emozionale delle grandi pagine musicali costruite dal direttore viareggino.
Equilibrato e di complessivo buon livello il cast a cominciare dall'incisiva e volitiva Mimì di Valeria Sepe che, utilizzando con intelligenza il suo timbro importante e rifuggendo da artificiali leziosità, crea una figura moderna e determinata come del resto si addice a una donna che, a Parigi nel 1830 circa, vive e si mantiene da sola, che prende l'iniziativa di andare a bussare alla porta dell'uomo che le interessa e ci convive alla luce del sole, che fugge dalle paure e dalle debolezze del compagno e ritorna solo quando è tempo di dirgli addio.
L'impostazione da soprano lirico di Cinzia Forte disegna una Musetta seducente, consapevole e matura. La linea di canto è morbida e si mantiene tale anche nelle puntature acute. Non c'è petulanza nel suo personaggio ma sempre e solo grande femminilità.
Nel ruolo di Rodolfo debutta il trentenne Stefan Pop. Il tenore è dotato di un timbro caldo e luminoso e canta con molto buon gusto. L'attesa e ben eseguita romanza “Che gelida manina” mette in evidenza la facilità all'acuto. La raffinatezza del porgere si apprezza particolarmente nel secondo quadro durante il duetto con Mimì dove si ascoltano belle mezzevoci e convincenti sfumature dinamiche.
Sergio Vitale è un Marcello di ricco e sonoro timbro baritonale che si impone per la nitidezza del fraseggio e la disinvolta presenza scenica.
Il colore vocale scuro e compatto di Andrea Vincenzo Bonsignore delinea uno Schaunard ironicamente serioso che mantiene il suo stile compassato anche nei momenti più spensierati.
Il ruolo di Colline è affidato a Dario Russo. La voce da basso profondo sconta qualche opacità di fraseggio nelle battute veloci che aprono l'ultimo quadro ma nelle larghe e solenni frasi di “Vecchia zimarra” si distende e risalta in tutta la sua bellezza.
Completano il cast Marco Camastra che ricopre egregiamente il doppio ruolo di Benoit e di Alcindoro, Enrico Cossutta che interpreta il giocattolaio Parpignol, i doganieri Roberto Scandurra e Matteo Mazzoli, il venditore Giovanni Gregnanin.
Il Coro del Teatro Regio di Parma, diretto da Martino Faggiani, movimenta con brillantezza e precisione di suono il festoso quadro del quartiere latino, completato dalle voci dei bimbi del Coro Ars Canto “Giuseppe Verdi” istruiti da Gabriella Corsaro.
Ugo Tessitore, che riprende la regia di Francesca Zambello, ne segue con fedeltà le note. Sempre appropriati, eleganti ed accuratissimi i costumi tardo ottocenteschi di Nica Magnani.
Il pubblico, che aveva manifestato approvazione per direttore ed interpreti già nel corso dell'opera, saluta nel finale tutto il cast con applausi scroscianti.
La recensione si riferisce alla recita del 10 marzo 2017
Patrizia Monteverdi