

L'antico portone del Farnese si apre sulle prime note del preludio. Abbiamo tutti al collo un pass che ci individua come “Partecipante in piedi”. Sul lato opposto della targhetta il simbolo della famiglia perfetta: mamma, papà e due bambini.
In platea, ferme tra il pubblico che entra timidamente, ci sono persone immobili concentrate nella lettura di testi sacri.
Sulle gradinate del teatro una lenzuolata e vari striscioni mandano messaggi inequivocabili: “La Famiglia, noi la difendiamo”, “I maschietti sono maschietti”, "Le femminucce sono femminucce”. In un angolo alcune “esagitate” srotolano un “I'm a woman not a womb”.
Tutti rigorosamente in piedi, sembra di essere in una piazza grande e vivace. Mentre passeggi per abituarti al luogo ti senti toccare una spalla: è un amico che ti mormora un saluto silenzioso, poi succede ancora che qualcuno attiri la tua attenzione: ti giri e trovi uno sconosciuto che sta cantando le parole di esultanza per il ritorno di Stiffelio e ti abbraccia. E allora capisci cosa vuol dire il tuo pass. Ci sei dentro: come partecipare dipende da te.
Lo staff del ministro assasveriano ha allestito banchetti in cui si vendono gadgets, libri e dvd e c'è anche una raccolta di firme contro l'ideologia gender nelle scuole, qualcuno firma.
Stiffelio – Luciano Ganci, passando inosservato tra il pubblico, raggiunge una piattaforma e mima l'incontro, non felice, con la moglie Lina. Si illumina un'altra piattaforma ed è Jorg che inizia a cantare. Su un'altra c'è Stankar. Le pedane mobili sono alte circa un metro e mezzo e sono spinte a mano da una nutrita squadra di tecnici. Intorno ad esse, senza alcuna preclusione o divieto, il pubblico. Si possono fare foto, si può filmare, si può tenere acceso, purché silenziato, lo smartphone attraverso il quale, collegandosi al wi-fi aperto del teatro, si legge il libretto.
Si può stare in un angolo e scegliere di avere una visione d'insieme, si può andare sotto le piattaforme e guardare da vicino i cantanti, apprezzarne le espressioni, gli sguardi concentrati, lasciarsi impressionare dalle voci. Capita anche di spaventarsi quando a pochi centimetri da te si scatena una rissa che sembra proprio vera ed il soccombente cade giù ai tuoi piedi.
Mentre Stiffelio racconta “Vidi dovunque gemere oppressa la virtude, vegliardi vidi e giovani del vizio in schiavitude” tra il pubblico si manifestano coppie variamente composte che rappresentano situazioni a volte estreme. A disturbare il sermone del ministro arrivano anche alcune femen che vengono prontamente allontanate dalla vigilanza.
Poi Stiffelio scopre il tradimento della moglie e trovandosi a tu per tu con il rivale capisce quanto è vero che “il perdono è facile al core non ferito”. Quando sta per colpire Raffaele, cedendo al suo impeto di uomo, sacerdoti lì accanto si strappano l'abito talare e si gettano a terra in posizione penitente. Allora la donna che si trova di fianco a te si mette a cantare e altri la seguono e tu, dentro questa lucente piramide sonora, anche tu guardi Stiffelio sperando che trovi la strada della tolleranza.
Ci sei dentro; anche se sai benissimo che questo non è il modo ideale per ascoltare un'opera, anche se gli equilibri sonori non sono perfetti, anche se stare in piedi stanca.
Ci sei dentro perché non hai guardato la riproduzione scenica di una emozione ma l'hai vissuta e qualunque Stiffelio ti capiterà di incontrare d'ora in poi, sulla tua strada di melomane, ti riporterà a questo che con la voce commossa e gli occhi buoni di Luciano Ganci faticosamente perdona.
Quello che colpisce maggiormente in questo contesto è ovviamente l'impegno vocale e scenico dei protagonisti che sono lontanissimi dall'orchestra e possono seguire il direttore Guillermo Garcia Calvo solo dagli schermi collocati sulle gradinate.
Luciano Ganci canta in ogni situazione con sorprendente naturalezza e senza una sbavatura. Non bastasse il salire e scendere dalle passerelle nel finale gli tocca balzare su un tavolino e rimanere lì in equilibrio non certo stabile.
Maria Katzarava che interpreta Lina costruisce, con l'impeto del suo canto, una figura di donna forte che attraversa un faticoso percorso tra padre e marito.
Convincente lo Stankar di Francesco Landolfi, un vero padre padrone determinato a difendere l'onore della figlia fino all'omicidio dell'amante Raffaele interpretato dal vigoroso Giovanni Sala. Emanuele Cordaro ha dato la giusta solennità al pastore Jorg mentre Blagoj Nacoski e Cecilia Bernini hanno ricoperto efficacemente i ruoli di Federico e Dorotea, cugini di Lina.
Bravissimi i componenti del Coro del Teatro Comunale di Bologna che hanno cantato dovunque: divisi per sezioni sui lati opposti del teatro, sparsi tra il pubblico o arrampicati sulle gradinate e si sono sempre trovati insieme con grande professionalità.
Moltissimi applausi per tutti gli interpreti, finalmente schierati in proscenio come "teatro" comanda e standig ovation per l'ideatore di questo irripetibile evento: Graham Vick.
La recensione si riferisce alla recita del 30 settembre 2017
Patrizia Monteverdi