Manon Lescaut | Anna Pirozzi |
Renato Des Grieux | Stefano La Colla |
Lescaut | Alessio Arduini |
Geronte di Ravoir | Luca Dall'Amico |
Edmondo, maestro di ballo, lampionaio | Matteo Mezzaro |
Oste | Giuseppe Esposito |
Musico | Adriana Di Paola |
Sergente degli arcieri | Antonio Barbagallo |
Comandante di marina | Cosimo Diano |
Direttore | Jader Bignamini |
Maestro del coro | Ciro Visco |
Orchestra e Coro del Teatro Massimo |
“Sotto una nuova luce” è il titolo prescelto per ridefinire l’offerta musicale rimodellata del Teatro Massimo. Luciferina nel caso di Don Giovanni presentato in forma semiscenica lo scorso settembre, ahimè quaresimale in occasione di Manon Lescaut della quale si sono concluse appena in tempo le recite.
Chiuso il teatro per via dell’ultimo decreto Conte, sospesa l’attività come fossimo in quaresima (formalmente fino al 20 novembre ma in realtà chissà fino a quando) non resta che riassaporare e riflettere sul pucciniano affresco di un Settecento di maniera in superficie, in realtà preda di pulsioni erotiche e licenziose liaisons sotto il pelo dell’acqua.
Optato per un’esecuzione concertante che potesse garantire il rispetto delle norme sul distanziamento sociale, la terza recita, alla quale si riferisce questa recensione, ha confermato la naturale empatia che unisce l’orchestra del Massimo a Jader Bignamini, chiamato a dirigere il primo grande successo del compositore lucchese. L’affinità elettiva che palesemente lega il direttore alle opere del catalogo pucciniano si percepisce anche in siffatte situazioni di acustica e riverbero dettate dalla disposizione in platea degli orchestrali.
L’affresco iniziale si fa musica descrittiva che fa vivere la giovinezza spensierata e inconsapevole mentre le linee melodiche si intrecciano con passo fresco, salvo poi lasciare spazio all’ineluttabilità di un disegno tragico già ordito con l’arrivo di Geronte accompagnato dai timpani. La narrazione procede vivida e innervata di improvvise accelerazioni che l’orchestra produce senza alcuno sforzo, alle quali si contrappongono sottili trame settecentesche nell’atto secondo. Il Minuetto infatti sembra quasi recare lo sguardo ironico di chi conosce la vita vera fuori dall’alcova dorata.
Bignamini, con gesto chiaro e ampio, gestisce con perizia i frequenti raddoppi così che i temibili finali del secondo e del terzo atto, evidenziando la densa scrittura pucciniana, imprimono un forte senso teatrale alla recita senza debordare o eccedere in effetti plateali. L’intermezzo è poi affrontato come poema sinfonico al cui interno l’intreccio dei temi e l’incalzare febbrile concorrono a creare un clima di disfacimento e corsa verso l’abisso. Inutile sottolineare come un’orchestra partecipe e compatta risponda alle sollecitazioni del direttore come mai si era ascoltato di recente.
E se il sostegno al canto soffre un po’ nel primo atto per via del necessario tempo di adattamento ad un’acustica peculiare, il bilanciamento tra coro e solisti viene raggiunto completamente a partire dall’atto successivo e in particolare nel concertato dell’appello che Bignamini rende con stringatezza mista ad una luce livida e di morte.
Manon Lescaut è, pur tuttavia, opera nella quale l’intreccio tra canto e recitazione sono inscindibili. Di conseguenza l’impossibilità per i due protagonisti di abbracciarsi o più semplicemente di sfiorarsi e soffrire avvinti pesa alla fine sulla credibilità della vicenda che, è sì magistralmente chiara nella visione del direttore, ma non riesce ad esprimere tutta la sua forza dirompente in scena.
Anna Pirozzi è nondimeno dotata di voce ampia, quasi insolente nella facilità estrema con la quale padroneggia i frequenti e bruschi passaggi di registro che caratterizzano la parte. Il registro centrale opulento è un continuum con quello acuto, mai timoroso di misurarsi con il muro sonoro dell’orchestra. La sua Manon l’ascoltiamo evolversi da ragazza desiderosa di vivere a donnina la cui carnalità è tutta di testa nella scena del boudoir, fino a diventare donna disillusa mentre abbraccia il destino tragico che l’aspetta. E tutto questo lo realizza con fraseggio vario e frastagliato, assottigliando e piegando il canto alle esigenze espressive della parte. Sola perduta e abbandonata è la vera conclusione della sua parabola di essere non frivolo ma assetato di passione.
Al suo fianco, accorso quasi all’ultimo istante in sostituzione di Yusif Eyvazov, Stefano La Colla esce con onore dalla recita. Un certo qual nervosismo si nota nell’arietta di sortita Tra voi belle e nella successiva Donna non vidi mai per via di un passaggio non proprio immacolato. D’altronde la scrittura vocale di Des Grieux ha la sua peculiarità e difficoltà maggiore proprio nel continuo insister sul passaggio in questione, nel prosieguo tuttavia il tenore riesce a venire a patti con le insidie della parte sfruttando il bel timbro brunito e il robusto registro centrale che lo contraddistinguono, così che il temibile scoglio di Pazzo son restituisce la bruciante disperazione della giovane vittima innamorata di Manon.
A fianco dei due tragici amanti Alessio Arduini ritorna sul palco del Massimo ad un mese dalla sua prova in Don Giovanni. Dal libertino al Lescaut calcolatore e privo di scrupoli la strada è lunga, il ruolo non è di certo comparabile a quello mozartiano ma lo strumentale denso si rivela alquanto impegnativo da superare per una voce dal bellissimo colore ma di non ampio tonnellaggio.
Luca Dall’Amico è un Geronte di ottima tenuta così come Matteo Mezzaro, impegnato su tre fronti come Edmondo, maestro di ballo e financo lampionaio, che offre la sua bella musicalità alla recita. Completano il cast il musico di rilievo di Adriana Di Paola, Giuseppe Esposito, Antonio Barbagallo e Cosimo Diano, rispettivamente l’oste, il sergente degli arcieri e il comandante di marina.
Quasi scontato il solido apporto della compagine corale diretta da Ciro Visco, in bella evidenza nella scena iniziale e particolarmente espressiva nell’atto terzo.
Cancellati forzosamente tutti gli spettacoli in cartellone fino a novembre inoltrato, si apre per il teatro palermitano la singolare quaresima d’autunno (si spera di minore durata dei canonici quaranta giorni), con la consapevolezza che la navigazione a vista continuerà purtroppo per un lasso di tempo imprecisato.
La recensione si riferisce alla recita del 23 Ottobre 2020.
Caterina De Simone