Tosca | Charlotte-Anne Shipley |
Cavaradossi | Luciano Ganci |
Scarpia | Francesco Landolfi |
Angelotti / un carceriere | Graziano Dallavalle |
Sagrestano / Sciarrone | Stefano Marchisio |
Spoletta | Saverio Pugliese |
Pastorello | Giacomo D'Ambrosio |
Direttore | Fabrizio Maria Carminati |
Regia | Renato Bonajuto |
Scene | Giovanni Gasparro e Danilo Coppola |
Costumi | Artemio Cabassi |
Luci | Ivan Pastrovicchio |
Orchestra Filarmonica Italiana | |
Coro San Gregorio Magno | |
Maestro del Coro | Mauro Trombetta |
Coro delle voci bianche del Teatro Coccia | |
Maestri del Coro di voci bianche | Paolo Beretta e Alberto Veggiotti |
Tosca di Giacomo Puccini, uno dei capisaldi del cosiddetto “grande repertorio”, riporta il pubblico a gremire il Teatro Coccia di Novara.
Il nuovo allestimento, firmato alla regia da Renato Bonajuto con le scene di Giovanni Gasparro e Danilo Coppola, vede l’azione collocata in quel giugno 1800 indicato dal libretto. I costumi di Artemio Cabassi, oltre ad essere molto belli, denotano come sempre una perfetta conoscenza storica. Un po' deboli, per quanto raffinati, gli effetti delle luci curate da Ivan Pastrovicchio.
Il lavoro registico, di stampo quasi cinematografico, rende l’azione fluida, reale e coinvolgente. Soprattutto, nulla viene omesso e lo si nota sin dalla prima scena quando Angelotti carponi, con scrupolo, cerca la chiave “A piè della Madonna”. Qualcuno, guardando le scene di Coppola adornate dai meravigliosi dipinti del giovane ma già grande Gasparro, direbbe: ecco, finalmente una regia tradizionale. Nulla di più falso: la parte visiva, ben realizzata, ricostruiva in maniera attendibile i luoghi di Tosca con spunti di una certa originalità dati soprattutto dalle pareti decorate con i quadri del pittore pugliese. Ma il lavoro registico non prevedeva il tenore col piedino avanti e braccio rivolto al pubblico, bensì denotava un profondo lavoro sulla recitazione degli artisti, sui loro movimenti e di quelli del coro. Le rovinose cadute di Cavaradossi dopo la tortura e di Scarpia al momento dell’uccisione, sono parse tanto credibili da far sobbalzare i ragazzini di un’educatissima scolaresca che occupavano le due file di platea davanti a noi. E se dei giovanissimi cresciuti ad effetti speciali non sono rimasti indifferenti a ciò che accadeva in scena è prova evidente di una regia moderna e soprattutto riuscita.
Sul podio la bacchetta esperta di Fabrizio Maria Carminati che dopo quattordici anni è tornato a dirigere nel teatro della sua città d’adozione affrontando, come in quell’ormai lontano 2008, la partitura di Tosca. Il direttore bergamasco ha posto estrema attenzione alle agogiche portando l’ottima Orchestra Filarmonica Italiana (ormai solida realtà sempre più, e a buona ragione, presa in considerazione da molti teatri di tradizione) a sfoggiare suoni opulenti di grande suggestione e colori, resi ancora più evidenti dal gioco di intense dinamiche. Le voci hanno avuto nella bacchetta di Carminati un attento supporto e nessun scollamento tra buca e palcoscenico si è notato durante tutto il corso dell’opera. Una direzione sicura che ci ha ben presto rassicurato consentendoci di lasciarci andare e godere della meravigliosa musica pucciniana senza alcun patema d’animo.
Nel ruolo di Tosca il soprano inglese Charlotte-Anne Shipley, già apprezzato in un paio di precedenti occasioni “italiane”, per la precisione nel 2017 a Bologna con Peter Grimes e successivamente ne La Wally andata in scena a Bolzano nel 2019. In questa circostanza la Shipley ci ha convinto per la padronanza totale dello strumento, per quanto non particolarmente dotato (la prima ottava è un po’ povera di suono), utilizzato con estrema intelligenza in totale aderenza allo spartito e alla ricerca di una piena immedesimazione nel personaggio. L’atteso “Vissi d’arte” è stato cantato sfoggiando una buona tavolozza di colori, efficaci sfumature e ottima attenzione ai segni d’espressione. Sicuro anche il do della lama.
Luciano Ganci, dopo un inizio d’opera positivo al netto di qualche nota leggermente sporca – non dev’essere facile cantare col caldo che sta attanagliando gran parte dell’Italia in questi giorni –, è andato in costante crescendo tanto da tratteggiare uno dei più convincenti Cavaradossi di cui abbiamo potuto godere negli ultimi anni. Il bel timbro, la ricchezza di armonici e la generosità dell’interprete sono stati assolutamente trascinanti. Ma probabilmente è stato l’attento fraseggio, il non comune sfoggio di colori, le intense sfumature e l’attenzione al testo che hanno coinvolto tutto il pubblico presente sino al meritato successo personale decretatogli al termine dello splendido “E lucevan le stelle” e all’uscita finale.
Francesco Landolfi che avevamo ascoltato nel ruolo di Marcello a Bari nel 2019, anche in questa occasione ha dato dimostrazione d’essere un artista intelligente. Uno di quei cantanti considerati giustamente preziosi dai teatri d’opera e che vengono apprezzati, in primis dai direttori, per la loro preparazione, sicurezza e professionalità. Landolfi forse non è dotato della “giusta” voce, ampia e tonante, che normalmente ci si immagina per il ruolo di Scarpia ma, dopo le prime battute, si rimane attratti dal canto corretto e dal giusto significato dato alla parola. Il personaggio è vivo, vero e palpitante; c’è tutto del lascivo barone. Landolfi è Scarpia nelle movenze e nella camminata: altero nel primo atto e satanico nel secondo, anche grazie ad un soprabito rosso che contribuisce a renderlo decisamente mefistofelico.
Ancora una volta ci ha particolarmente colpiti per la sua bravura scenica e vocale Stefano Marchisio, qui nella doppia veste di Sagrestano e Sciarrone. Il giovane baritono ha dato un risalto straordinario alla figura del Sagrestano facendone un autentico cameo, probabilmente anche aiutato dalla regia che ha giustamente sfruttato le sue ottime doti sceniche. La crescita di questo artista va seguita con estrema attenzione.
Sonoro ed efficace Graziano Dallavalle nel doppio ruolo di Angelotti e carceriere.
Squillante, preciso e particolarmente credibile l’incisivo Spoletta di Saverio Pugliese.
Bene il pastorello interpretato da Giacomo D’Ambrosio.
Positiva la prova offerta dal Coro delle voci bianche del Teatro Coccia diretto da Paolo Beretta e Alberto Veggiotti. Appena sufficiente l’apporto dato dal Coro San Gregorio Magno preparato da Mauro Trombetta.
Ampiamente meritati i lunghi e calorosissimi applausi rivolti al termine della recita per tutti i protagonisti di questa produzione.
La recensione si riferisce alla recita del 27 maggio 2022.
Danilo Boaretto