Marguerita di Valois | Silvia Dalla Benetta |
Valentine | Cristina Pasaroiu |
Urbain | Hélène Le Corre |
Raoul de Nangis | Uwe Stickert |
De Tavannes, Bois-Rosé | Mark van Arsdale |
De Cossé | Florian Cafiero |
De Thoré, Maurevert | Frédéric Cornille |
Il Conte di Nevers | Marc Barrard |
Il Conte di Saint-Bris | Francis Dudziak |
De Retz | Arnaud Rouillon |
De Méru | Thomas Dear |
Marcel | Jérôme Varnier |
Direttore | Yannis Pouspourikas |
Regia | Tobias Kratzer |
Scene e costumi | Rainer Sellmaier |
Luci | Thomas Schlegel |
Orchestra Filarmonica di Nizza |
Gruppo di famiglia in un interno. Il riferimento al titolo del film di Luchino Visconti è ideale per la messinscena di Tobias Kratzer di Les Huguenots di Meyerbeer in scena al Teatro dell’Opera di Nizza e importata dal teatro d’Opera di Norimberga. Il trentaseienne regista tedesco, che nel 2019 curerà il Tannhäuser a Bayreuth, ha tentato di sperimentare per il grand opéra di Meyerbeer la formula del teatro nel teatro dove il Conte di Nevers indossa la casacca di un odierno pittore intento, tra frustrazioni d’ispirazione artistica, a ritrarre osggetti e scene storiche.
I nobili cristiani e ugonotti diventano quindi comparse che di volta in volta si presentano sulla scena e, deponendo i normali abiti quotidiani, indossano costumi rinascimentali della fine del sedicesimo secolo. La scena è fissa e l’intera vicenda, senza distinzione tra interni ed esterni, ha luogo tra busti, cavalletti, tele e pennelli in una soffitta sui tetti di Parigi ideale per Bohème.
L’idea, non priva di originalità e coraggio, non convince e mal si concilia con il libretto di Eugène Scribe ed Émile Deschamps e, in generale, con il lo stile e i caratteri del grand opéra. A soffrirne sono la logica e la narrazione della tragica contrapposizione tra Cattolici e Protestanti in Francia, che culmina nella Notte di San Bartolomeo. Sulla scena regna un’assoluta confusione, non solo temporale ma anche tra piani. E se è voluto l’effetto di commistione tra finzione e realtà, caratteristico quando si ha a che fare con il teatro nel teatro, non mancano imprecisioni e aspetti ridicoli.
E’ successo così di vedere il paggio Urbain presentarsi sotto le spoglie di postino (con inevitabili risate da parte del pubblico) e Margherita trasformata in una benestante signora di mezza età in tailleur che, cantando (benino) “O beau pays de la Touraine”, rassetta l’atelier dell’artista. Altri momenti, come il celeberrimo settimino “En mon bon droit j’ai confiance”, hanno perso la propria solenne tragicità per essere degradati a litigi domestici. Le luci di Thomas Schlegel colgono la soffitta nelle diverse ore del giorno, dall’alba del primo atto fino alla notte della conclusione. I costumi e le scene di Rainer Sellmaier sono dettagliati sia quando contemporanei che rinascimentali.
Rispetto alle note visive, più positivo l’aspetto musicale. Innanzi tutto abbiamo gustato l’accurata concertazione di Yannis Pouspourikas. Il direttore ha mostrato una particolare attenzione per il palcoscenico, mano sicura e idee chiare nel destreggiarsi nell’eclettica partitura di Meyerbeer e nel garantire tensione drammatica, anche da parte dell’orchestra, durante i poderosi cinque atti.
La compagnia di canto è stata nell’insieme omogenea e affiatata. Nonostante l’artificiosa impostazione registica che non ha dato rilievo al personaggio di Marherita di Valois, Silvia Dalla Benetta ha dato prova di buona musicalità e precisione nelle agilità della parte. La sua voce non è particolarmente potente ma in un teatro di medie dimensioni, quale l’Opera di Nizza, è in grado di sostenere il ruolo. Perfettibile la sua pronuncia francese. Cristina Pasaroiu (Valentine) non è un dirompente soprano “Falcon” ma possiede un’estensione omogenea con una buona tenuta nel settore medio - grave e facilità in quello acuto. Un senso di incertezza nel brillante ruolo del paggio Urbain si è percepita nel soprano Hélène Le Corre.
Sul versante maschile, abbiamo apprezzato la voce limpida e trasparente, con buona presenza nel registro medio, di Uwe Stickert (Raoul de Nangis). Nella celebre aria “Plus blanche que la blanche hermine” il tenore ci è sembrato felicemente attento alle difficili sfumature dinamiche richieste da Meyerbeer e questo ha fatto perdonare anche una certa debolezza nelle puntate acute.
Marc Barradha accento nobile, fraseggio curato e una presenza scenica ideale per la centralità del personaggio assegnata dalla regia di Kratzer. Parimenti efficace Francis Dudziak nei panni del Conte de Saint-Bris. Purtroppo debole il Marcel di Jérôme Varnier : il basso ha poco corpo nella tessitura grave e qualche difficoltà di controllo nelle note acute. Il ruolo del vecchio servo e austero ugonotto, al quale Meyerbeer riserva una raffinatissima scrittura musicale, richiede maggior spessore e pregnanza vocale. Complessivamente soddisfacenti e opportunamente caratterizzati tutti i comprimari: Mark van Arsdale (De Tavannes, Bois-Rosé), Florian Cafiero (De Cossé), Frédéric Cornille (De Thoré, Maurevert). Il numeroso pubblico francese, per nulla intimorito dai tempi del grand opéra, ha tributato una calda accoglienza a tutti gli interpreti con qualche riserva sulle idee della regia.
La recensione si riferisce allo spettacolo del 24 Marzo 2016
Lodovico Buscatti