Santuzza | Violeta Urmana |
Turiddu | Marcelo Álvarez |
Mamma Lucia | Elena Zilio |
Alfio | George Gagnidze |
Lola | Leyla Martinucci |
Direttore | Juraj Valčuha |
Regia | Pippo Delbono |
Scene | Sergio Tramonti |
Costumi | Giusi Giustino |
Luci | Alessandro Carletti |
Maestro del Coro | Gea Garatti Ansini |
Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo |
È la terza volta che il San Carlo presenta la Cavalleria rusticana firmata da Pippo Delbono. Lo spettacolo nacque nel 2012 e vinse il premio Abbiati per le scene di Sergio Tremonti, venendo poi ripreso solo due anni dopo.Rileggendo quello che scrivemmo in queste altre occasioni, stavolta la rappresentazione è apparsa più stanca. Forse quanto era apparso intenso e commovente all'inizio nelle ripetizioni è diventato più meccanico, come se avesse perso in necessità drammatica. Ci riferiamo agli aspetti caratterizzanti della lettura di Delbono: i riferimenti autobiografici, l’urgenza espressiva con le frequenti incursioni in scena dello stesso regista a concentrare su di lui la drammaticità della vicenda, momenti di forte impatto in contrasto con il più ortodosso andamento dell'opera vera e propria.
Intendiamoci, lo spettacolo è rimasto fedele a se stesso, ma forse alla terza edizione comincia a mostrare segni di stanchezza nonostante la passione che anima il regista sia rimasta evidente. Grandissima differenza rispetto alle edizioni precedenti, poi, è la mancanza di Bobò, il fedele accompagnatore di Delbono in tutte le sue avventure teatrali degli ultimi anni da quando lo liberò dal manicomio di Aversa in cui era recluso da anni. Bobò non aveva un ruolo vero e proprio nella vicenda dell’opera di Mascagni, ma vi si inseriva in determinati momenti con la sua muta espressività, ad esempio portando fiori verso il fuoco pasquale o, come un chierichetto, recando la Croce nella processione che celebra la Resurrezione.
Per sostituirlo Delbono ha trovato Francesco Guglielmo, un bambino selezionato fra gli allievi della scuola di danza capace (sono parole del regista): "di rimanere immobile, estraneo e presente al tempo stesso", che va elogiato senza riserve per la serietà e il rigore dimostrati.
Meno efficace invece la resa scenica dei cantanti, impegnati in un'azione che il regista definisce 'più brechtiana'. Ma stavolta, rispetto al passato, è parso che siano rimasti più abbandonati alle loro singole sensibilità con differenze significative nella recitazione, e ancora più penalizzante è stata la staticità del Coro nelle scene di massa.
Valido ed essenziale l’apporto del progetto luci di Alessandro Carletti, sobriamente in stile i costumi di Giusi Giustino.
Juraj Valčuha ha offerto una lettura musicale consapevole, approfondita e con una resa sonora di grande chiarezza, quasi, verrebbe da dire, tridimensionale per come i vari piani sonori si intersecavano fra loro. Coadiuvato da un’orchestra del San Carlo in buona forma, Valčuha ha gettato luce su particolari nascosti della partitura, dandole una ricchezza di chiaroscuri non indifferente. Morbidi gli attacchi, calibrato il peso sonoro degli archi, solo gli ottoni hanno mostrato qualche pesantezza di troppo e sonorità meno a fuoco. I più critici potrebbero imputare al direttore la mancanza di vera passionalità mediterranea e una certa freddezza, ma nessuno può negare la lucidità e la precisione dell'esecuzione.
Il cast era guidato da Violeta Urmana, nei panni di una Santuzza resa con acume drammatico e accenti ben approfonditi valorizzati da indovinate sfumature (toccante l'attacco di Turiddu mi tolse l'onore). Vocalità compatta, omogenea nel timbro ma più agevole nelle zone più basse che non negli acuti, a testimonianza della natura fondamentalmente mezzosopranile della voce.
Marcelo Alvarez è tornato al San Carlo dopo molti anni ed è apparso in buona forma vocale: voce omogenea emissione ferma, peccato che abbia voluto indulgere ad atteggiamenti da tenore di una volta con un canto sempre stentoreo, vocali aperte, poche sfumature di fraseggio e una certa genericità scenica con troppe mani in tasca o sul fianco.
Compar Alfio è stato George Gagnidze, inzialmente più rigido nell'emissione e nell'espressività, ma che poi ha guadagnato in termini di morbidezza e omogeneità del timbro, e finanche di rilevanza negli accenti.
Ottima Lola è stata Leyla Martinucci, con la sua voce dai toni caldi, e dal timbro omogeneo e avvolgente, nonchè un’ottima aderenza scenica al personaggio.
Con voce sonora Elena Zilio ha riproposto la sua Mamma Lucia dopo averla tenuta a battesimo nella prima edizione di questo allestimento. Ogni gesto e ogni sguardo, anche nelle controscene, confermavano la presenza scenica dell’artista, capace di dominare una certa disuguaglianza del timbro sfruttandola a scopo espressivo.
Buona la prova del Coro del San Carlo diretto da Gea Garatti Ansini, anche se andrebbero messe meglio a fuoco le tonalità della sezione femminile specie in acuto.
Pubblico eterogeneo, molti ospiti delle Universiadi, con giovani in T shirt colorate che avevano l’aria di non sapere bene dove fossero e a fare cosa. Comunque sia, gli applausi calorosi non sono mancati.
La recensione si riferisce alla recita del 9 luglio 2019.
Bruno Tredicine