Zenobia | Rosanna Savoia |
Arsace | Tonia Langella |
Pubblia | Sonia Ciani |
Oraspe | Rosa Bove |
Licinio | Blagoj Nacoski |
Cembalo | Riccardo Fiorentino |
Direttore | Francesco Ommassini |
Regia, Scene e Costumi | Riccardo Canessa |
Luci | Mario D'Angiò |
Video Designer | Alfredo Troisi |
Orchestra del Teatro di San Carlo | |
Nuovo Allestimento del Teatro di San Carlo |
Zenobia regina di Palmira è stata indubbiamente fra le più interessanti donne di cui la storia ci abbia tramandato le gesta. Una donna che in 35 anni di esistenza non si è fatta mancare nulla: pare sia stata la mandante dell’assassinio del marito e del figliastro ed in seguito fondatrice del Regno di Palmira, indipendente dal dominio romano. Si auto-incoronò Augusta imperatrice romana, non senza meritarsi il rispetto di Roma che vedeva in lei un’ottima amministratrice dei propri territori. Zenobia aveva una personalità talmente debordante da convincere l’imperatore Aureliano a concedere una certa autonomia al Regno di Palmira. Purtroppo questa sete di potere ed espansione la portarono a compiere dei passi - fra i quali coniare delle monete che ritraevano la propria effige - considerati eccessivi anche dai poteri centrali di Roma che si videro costretti ad intervenire mettendo fine alla sua breve quanto intensa, carriera politica. Alcune fonti, le cui informazioni sono state tramandate sino a noi, descrivono la regina palmirense come una donna bellissima, ancora più bella di Cleopatra, intelligente, colta ed in grado di parlare svariate lingue fra le quali il greco, l’aramaico, l’egiziano ed il latino; qualità fuori dal comune che contribuirono, non senza buoni motivi, a mitizzarne la figura. Nel corso dei secoli successivi, quando una donna mostrava un carattere forte, in grado di farla emergere dal mondo maschilista che la circondava, veniva piuttosto comunemente associata a Zenobia. Per esempio Caterina di Russia (detta la Grande), viene paragonata spesso dai suoi contemporanei alla regina guerriera. Il paragone portò a definire Pietroburgo "Palmira Borealis". Impossibile non pensare che vi sia un legame tra la presenza di Giovanni Paisiello a San Pietroburgo, proprio durante il regno di Caterina II, e la composizione di Zenobia in Palmira che vide la luce nel 1790.
Del resto Paisiello fu solamente uno fra i tanti compositori che trassero spunto dalle “avventure” di Zenobia. Meritano di essere quanto meno citati Tommaso Albinoni che nel 1694 compose Zenobia Regina de Palmireni e Pasquale Anfossi che nel 1789 portò in scena Zenobia in Palmira. Successivamente a Paisiello va ricordato certamente Rossini che, pur mantenendo l’azione a Palmira, dedicò il titolo della sua opera all’antagonista di Zenobia, componendo Aureliano in Palmira. Ma pare che le opere imperniate sul medesimo argomento siano state oltre trenta.
La città di Palmira è tornata tristemente nota lo scorso anno a causa delle distruzioni subite ai monumenti, culminate nella decapitazione dell’archeologo Khaled al-Asaad, importante intellettuale palmireno ucciso dalle feroci bande jihadiste. Ed è proprio all’incolpevole e sfortunato Khaled al-Asaad, meritevole di aver dedicato tutta la sua esistenza alla conservazione di Palmira sino a difenderla a costo della vita, al quale il Comune di Napoli ed il Teatro di San Carlo dedicano la produzione di “Zenobia in Palmira” con la quale vengono commemorati i 200 anni dalla morte di Giovanni Paisiello, compositore nato a Taranto ma cresciuto sia anagraficamente (vi si trasferì ad appena 13 anni) che artisticamente nella capitale partenopea, città dove morì il 5 giugno 1816.
Zenobia in Palmira vide la sua prima esecuzione proprio a Napoli il 30 maggio 1790 in occasione del compleanno dell’imperatore Ferdinando IV di Borbone. Purtroppo in seguito non venne più messa in scena e quindi la recita a cui abbiamo assistito mercoledì 18 maggio 2016 è stata la prima rappresentazione in tempi moderni.
Una riscoperta ideale per commemorare degnamente Giovanni Paisiello. Del resto, dopo averla ascoltata, non ci capacitiamo delle regioni che hanno portato un’opera intrisa di così tanta bella musica, ad essere tanto velocemente archiviata. Della partitura di Zenobia in Palmira esistono solamente tre copie manoscritte complete di cui, una custodita a Londra, una negli Stati Uniti e solamente una parzialmente autografa, conservata al Conservatorio di Napoli. È proprio su quest’ultima partitura che il M° Ivano Caiazza ha lavorato sino a redigere l’edizione critica consegnata al M° Francesco Ommassini; tra l’altro, come lo stesso Ommassini ci ha raccontato in un’intervista che pubblicheremo a breve, la consegna avveniva man mano che i pezzi sistemati da Caiazza risultavano pronti, un po’ come accadeva alcuni secoli fa nei rapporti epistolari tra compositori e librettisti.
Sull’edizione critica ha successivamente lavorato Francesco Ommassini, soprattutto allo scopo di snellire alcuni recitativi sino a confezionare la versione a cui abbiamo assistito.
La regia di Riccardo Canessa, come lui stesso spiega nelle note di regia presenti nel programma di sala, ha seguito scrupolosamente le precise indicazioni sceniche presenti nello spartito revisionato da Caiazza e, trattandosi di una riscoperta, ha preferito lasciare tutto come voluto dall’autore. Quindi nessuna trasposizione d’epoca e costumi fedelmente riferiti al periodo in cui regnò Zenobia. Scelta che abbiamo felicemente condiviso. Precise, accurate e ben fatte le proiezioni utilizzate da sfondo alle scene, hanno contribuito ad ambientare adeguatamente l’azione. I movimenti degli artisti impegnati in scena ci sono sembrati essenziali, privi di esagitazioni e appropriati allo stile barocco.
Particolarmente indovinata la scelta di mettere in scena quest’opera nel più piccolo Teatro di Corte inserito nel Palazzo Reale, certamente più adatto alle raffinate sonorità barocche rispetto al più grande San Carlo.
Ottimo il livello dei cantanti scelti per questa riscoperta.
Rosanna Savoia nel complesso ruolo di Zenobia (portato in scena alla prima del 1790 da Brigida Giorgi Banti diva dell’epoca, celebre per le doti vocali fuori dal comune) ha donato al personaggio la necessaria allure muovendosi con vera regalità. Vocalmente precisa sia nel canto legato sia nei difficilissimi passaggi di agilità drammatica, la Savoia ha risolto con grande sicurezza tutte e tre le arie dedicate al suo ruolo; inoltre abbiamo trovato magistrale la cura con cui questo soprano ha scandito e soppesato il significato di ogni singola parola.
Davvero bravo Leonardo Cortellazzi nel ruolo di Aureliano. Il giovane tenore mantovano ha dato prova di buona personalità rendendosi scenicamente credibile nei panni dell’Imperatore romano ed evidenziando una vocalità sonora, ben proiettata, rifinita tecnicamente e sicura su tutta la gamma. Un artista che ci piacerebbe risentire, magari impegnato nei più celebri ruoli tenorili del belcanto italiano.
Tutt’altro che semplice anche il ruolo di Arsace affidato al mezzosoprano Tonia Langella la quale ha evidenziato una tecnica sicura che le ha consentito di superare con successo le asperità della sua aria “Se quel caro amabil volto” disseminata di agilità, salti di ottava, acuti e note gravi molto impegnative. Unico appunto: avremmo gradito una dizione più chiara e precisa.
Più che positiva anche la prova del mezzosoprano Rosa Bove nei panni di Oraspe, generale dei palmireni. Tra l'altro tocca proprio a lei aprire l'opera, subito dopo la sinfonia, con la complicata aria “A tollerare avvezza” e con la quale ha avuto la possibilità di mostrare una bella vocalità brunita, sonora e morbida, una precisa dizione ed una personalità non indifferente.
Vocalmente positiva anche la performance di Sonia Ciani nel ruolo di Pubblia, la quale si è disimpegnata bene nella sua aria del primo atto dai toni patetici “Che legge crudele” ed anche in quella più vivace del secondo atto. Perfettibile invece la dizione e l'attenzione verso la parola.
Bene anche Blagoj Nacoski nel più marginale ruolo di Licinio.
La direzione e la concertazione di Francesco Ommassini hanno avuto innanzi tutto il non trascurabile pregio di aver saputo estrarre dai bravi orchestrali del San Carlo, sonorità cristalline, trasparenti ed al contempo soffici, tanto da rendere al meglio le classiche atmosfere barocche, senza ricorrere all'uso di strumenti d'epoca. Lo stacco dei tempi è sempre stato commisurato alle necessità dei cantanti senza mai dare l'impressione di lentezze bensì tenendo sempre viva la tensione drammatica. Notevoli le dinamiche, intensi i colori e non comune la sicurezza con cui il direttore veneziano ha tenuto tutto sotto controllo.
A questo punto ci auguriamo che questo meritorio progetto di riscoperta non si concluda con l'archiviazione di “Zenobia in Palmira”, ma che altri teatri possano mostrarsi interessati a riprendere questa produzione per rendere il meritato omaggio a Giovanni Paisiello nei duecento anni dalla scomparsa.
(La recensione si riferisce alla recita del 18 maggio 2016)
Danilo Boaretto