Moise | Ildar Abdrazakov |
Pharaon | Erwin Schrott |
Aménophis | Giuseppe Filianoti |
Eliezer | Tomislav Muzek |
Osiride | Giorgio Giuseppini |
Aufide | Antonello Ceron |
Sinaide | Sonia Ganassi |
Anai | Barbara Frittoli |
Marie | Nino Surguladze |
Una Voce Misteriosa | Maurizio Muraro |
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala |
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Direttore | Riccardo Muti |
Regia | Luca Ronconi |
Scenografie | Gianni Quaranta |
Costumi | Carlo Diappi |
Coreografia | Micha Van Hoecke |
Ballerini Solisti | Luciana Savignano, Roberto Bolle e Desmond Richardson |
Gioachino Rossini assunse la direzione del Théatre Italien nel 1824. Esordì nel 1825 con una nuova produzione in francese: il Viaggio a Reims, cantata scenica per l'incoronazione di Carlo X Borbone a Re di Francia. Quindi riadattò due delle sue migliori opere serie del periodo napoletano alle esigenze della grande tradizione francese: dal Maometto II (1820) le Siège de Corinthe rappresentata nell'ottobre del 1826 e dal Mosé in Egitto (1818) le Moise et Pharaon rappresentata nel marzo del 1827. Molti furono i cambiamenti rispetto alle opere originarie, tutti necessari per soddisfare le attese dei parigini nei confronti del più grande compositore vivente. Nello specifico per il Moise, compose appositi airs de ballet, ampliò gli interventi del coro e i recitativi vennero rifatti da capo, venne composta l'aria di Sinaide, che prende il posto di quella di Elcia alla fine del secondo atto, atto in cui viene soppressa anche la morte del figlio di Pharaon, ucciso all'istante da un fulmine scagliato da Dio perché aveva minacciato Mosé, venne composta anche un'aria per Anai al quarto atto ed ex novo venne composto tutto il primo atto. Le parti meno riuscite dell'originale napoletano Mosé in Egitto, in particolare tre arie convenzionali di cui due composte da collaboratori, vennero quindi soppresse. Il concertato del quarto atto "dal tuo stellato soglio" presente nella prima revisione del Mosé nel carnevale del 1819, venne invece solo tradotto in francese e rimase nella versione del Moise. L'opera così ristrutturata si apre con gli Ebrei che lamentano la propria schiavitù, con il rimprovero di Moise e la Voce Misteriosa che dona le tavole della Legge al popolo d'Israele, in luogo delle lamentazioni degli Egizi prostrati dalla oscurità, che nella revisione parigina aprono il secondo atto. L'edizione in francese non era mai stata rappresentata alla Scala e in questa occasione si può apprezzare quanto il francese sia più flessibile e poeticamente più aderente alla musica di Rossini nei confronti della traduzione di Calisto Bassi del 1830, con la quale abbiamo prevalentemente ascoltato questa opera. Rossini si mette in gioco con i grandi compositori che avevano furoreggiato a Parigi prima della sua venuta : Cherubini e Spontini, ma come non sentire nei concertati anche l'esempio del Gluck "francese" e gli omaggi all'Haydn della "Creazione", soprattutto nell'apertura del secondo atto quando gli Egizi sono immersi nell'oscurità più assoluta, abbandonati dalle proprie divinità e l'invocazione di Moise al Dio d'Israele determina un crescendo in orchestra di una potenza indescrivibile a determinare il ritorno della luce, così come la luce nella "Creazione Divina" dà inizio alla vita. Una figura, quella di Moise, austera, marmorea nella sua fede incrollabile, imponente nei declamati per contrapporsi al potere terreno di Pharaon, che si arricchisce della melodia solo quando deve invocare il proprio Dio, quando la tenerezza dell'uomo, che si riconosce figlio e che ringrazia comunque per le dure prove subite, consapevole che il "Padre" non lo abbandonerà, prende la strada dell'estasi nel quintetto del secondo atto e soprattutto nel concertato della "Preghiera" del quarto atto. Ma come non parlare di innovazione in questo Rossini che "rielabora", guardando il finale dell'opera con quelle sensazioni romantiche derivanti dalla descrizione minuziosa della cavalcata dei carri da guerra dell'esercito egizio che scendono dalle dune del deserto per piombare sugli inermi Ebrei e la tempesta fragorosa che più che un mare infuriato è l'esempio preclaro di un Dio che si erge a vindice contro i mali del genere umano e la calma melodia che ne segue, con tutte le implicazioni stuporose e di ringraziamento degli Ebrei, a terminare in maniera inconsueta sinfonicamente l'opera. Ma anche la musica dei balletti del terzo atto, pur debitrice delle "Creature di Prometeo " del grande Beethoven, che pur l'aveva ammonito a scrivere solo opere buffe, aumentandone le proprie insicurezze, finiscono per dimostrare, se ce ne fosse stato bisogno, la grandezza della sua arte compositiva. I cori sono nella versione parigina talmente ampliati che assurgono ad un ruolo assolutamente protagonistico e grandioso, sono i popoli che parlano e interagiscono con i singoli a determinare una contrapposizione biblica e perciò "storica". Pure in questo ipertrofismo, cogliamo la capacità di alleggerire il suono, di rendere rarefatti gli interventi degli archi, eterei gli accompagnamenti dell'arpa, ché anche di sentimenti di comuni mortali si parla, di amori e tenerezze materne e filiali. D'altra parte, ed esprimo un parere del tutto personale, si ascolta qua e là quel tipo di musica piacevole "del bello per il bello" che stride con le situazioni drammatiche contingenti, vedi ad esempio nel primo atto il ritmo di marcetta con cui, dopo l'imperiosità del declamato della Voce Misteriosa, vengono donate le tavole della legge e sempre nel primo atto anche il ballabile riferito alla "consacrazione dei primogeniti". In questa opera così grandiosa, così "totale" non poteva non inserirsi che in maniera definitiva l'interpretazione del maestro Muti, qui protagonista di una delle sue più significative direzioni ed concertazioni degli ultimi anni scaligeri. Attento negli interventi del coro a non ingigantire una resa sonora di per sé già tellurica, attento negli interventi dei singoli e nei duetti e nei concertati a non prevaricare ossessivamente il cantato, ma a sottolineare l'agogica quanto mai varia per sfumature ed accentazioni. La capacità di esaltare le prime parti degli strumenti, in modo particolare oboe, clarinetto e corno e di plasmare un suono morbido e caldo per gli archi e la pulizia della sezione dei fiati. I tempi sono stati anche spediti, talvolta con la determinazione di non riuscire troppo indugiante e quindi troppo romantico, a marcare significativamente la differenza tra questo Rossini maturo e i compositori che di lì a poco avrebbero completato l'iter iniziato da von Weber. La chiusa del 3° atto è risultata assolutamente elettrizzante, ma l'andante del quintetto del 2° atto e il concertato della "Preghiera" del 4° atto sono stati emozionanti, nella sottolineatura di una architettura dalla simmetria impareggiabile dove anche i piani e i pianissimi hanno trovato la loro giusta collocazione. Ma piani e pianissimi si sono ascoltati anche nei preludi del 1° e nell'entr'acte del 4° atto Forse l'accompagnamento all'aria del 4° atto di Anai, nella sua indubbia varietà di ritmi ha comunque messo in difficoltà la Frittoli non propriamente una rossiniana DOC . Un coro splendido ha dimostrato tutta la sua bravura senza slabbrature, facendo corpo e tutt'uno con l'idea di un popolo che all'unisono prega e si dispera come un sol uomo. Degno protagonista è stato il giovane basso Abdrazakov, un Moise senza quell'arcata vocale e l'imperiosità dei Mosé "passati", che avevano interpretato la parte nelle edizioni precedenti della Scala, quelle cantate in italiano, tra tutti: De Angelis, Pasero, Christoff e Ghiaurov. Ma in possesso di un organo vocale duttile, morbido, fresco che gli consente di chiaroscurare, di non temere il "passaggio" e di essere sicuro nella salita agli acuti, risultati tutti perfettamente timbrati. Emozionante nella "Preghiera" del 4° atto iniziata in pianissimo, depone per l'occasione l'autorevolezza del capopopolo per trasformarsi nell'umile credente che si affida alla grazia di Dio, che con commozione sa riconoscere la onnipotenza del Creatore e sommessamente ne invoca la salvezza, non per sé ma per un popolo intero. Traspare dall'interpretazione del cantante russo, la consapevolezza di essere la "storia" ma anche il semplice uomo strumento docile della volontà di Dio. Quindi granitico negli scontri con Pharaon e il figlio di questi, Aménophis, ma lirico e poetico anche nel quintetto del 2° atto. Poco paziente nel chiedere determinazione in Anai, irresoluta nel suo basculare tra l'amore terreno per Aménophis e l'appartenenza ad un popolo e al suo Dio. L'altro protagonista, Schrott nella parte di Pharaon, si segnala per una vocalità corretta, più chiara nell'emissione e più proiettata all'acuto, che mostra però di raggiungere con qualche affanno e sfilacciamento del timbro. Ma certo, a parte la melodia nel duetto con Aménophis del 2° atto, tutti i suoi interventi sono caratterizzati da un declamato ora imperioso, è sempre Pharaon anche se la sua regalità terrena viene messa in dubbio da Moise, ora dolente, ma anche con scatti di rabbia, di fronte all'impotenza sua nei confronti delle piaghe sotto le quali geme il suo popolo. E mi sembra evidente la sua adesione a questo trascolorare espressivo in tutta l'opera. La parte di Aménophis è una delle tante "cattiverie" rossiniane perpetrate nei confronti dei poveri tenori. Quanti caratteri albergano in questo personaggio, tra difficoltà di puro canto e di interpretazione. E' amoroso, è pronto a rinunciare al trono, è un uomo ferito dalle insicurezze paterne e dalle paure della madre, Sinaide; vede in Moise l'uomo-mago che con bassi espedienti ridicolizza i suoi sacerdoti, sta perdendo potere e amore al contempo. Chi può biasimarlo per questo suo rifiuto di lasciar partire Moise e il suo popolo ? In tali plurime sfaccettature interpretative si inserisce una vocalità rossiniana con agilità e proiezioni all'acuto davvero "impossibili". Ebbene Filianoti è stata la grande sorpresa e la scommessa vinta da Muti. Timbro solare, emissione ben sfogata, agilità sciorinate con tempistica da grande esperto e acuti assolutamente "pieni", cantati in voce, là dove prima di lui sempre abbiamo ascoltato falsetti e falsettoni striminziti ed ingolati. Assolutamente di riferimento il duetto del 2° atto con Pharaon. Presenza vocale che non si è mai risparmiata nei concertati dove ha saputo "bucare" l'impegnativo spessore fonico del "tutti". In modo particolare la sua voce è risultata sempre meglio proiettata in confronto alla Frittoli sia nel duetto del 2° atto sia in quello del 4° atto. C'è chi paventa, di già, una sua usura veloce se si azzardasse a continuare in questi ruoli proibitivi, di questo non saprei dirvi, ma lasciatemi godere di questo tenore che mi sembra sia una realtà in crescita evidente, per il momento solo da applaudire. Altra grande performance quella della Ganassi, un mezzosoprano ormai di riferimento per il Rossini buffo e serio. L'aria del 2° atto "Ah! D'une tendre mère" è cantata con tecnica sopraffina, con agilità naturali e omogeneità di emissione. Sicura negli acuti ed espressività da artista conclamata. Ogni suo intervento ha avuto il crisma dell'appropriatezza stilistica. La Frittoli , dicevo, non è una rossiniana , ché Mozart è tutt'altra cosa. E' corretta nei recitativi, il fraseggio e il legato sembrano quelli giusti, ma quando il pentagramma si inerpica e le agilità devono essere sgranate in velocità, sembra un motore a rischio di ingolfamento. Gli acuti sono decisamente striduli e sforzati e il volume sembra onestamente rimpicciolito rispetto ad altre serate, a nulla vale l'addolcimento negli accompagnamenti che Muti porge a mo' di salvazione, per esempio nel 4° atto alla frase "Qu'il cède enfin à ta puissance". Il vibrato sempre più pronunciato depone certamente per una trepidazione quanto mai opportuna per il personaggio, ma anche per un "appoggio" che diviene sempre più problematico. E tuttavia non ho riferimenti più significativi nella parte, vedi la Zylis-Gara nell'edizione in italiano di Sawallisch del '68 e la Norberg-Schultz nell'edizione originale in francese live del '97 dal ROF e, aggiungo io, la Parazzini nell'edizione scaligera del '79 in italiano. Se debbo fare un doveroso confronto, salvo sicuramente la Frittoli come assolutamente dignitosa. Nino Surguladze ha cantato la parte di Maria da par suo, così come corretti sono apparsi nelle loro rispettive parti Tomislav Muzek- Elièzer, l'Osiride di Giorgio Giuseppini e la Voce Misteriosa del, per me, sempre convincente Maurizio Muraro, che canti Mozart o Rossini. Ininfluente l'Aufide di Antonello Ceron. Il balletto del 3° atto si divide in tre momenti: il primo ballabile rappresenta la preghiera innalzata ad Iside, mimata più che ballata dalla Savignano, il secondo include il grande adagio che rappresenta il conflitto tra Moise e Pharaon splendidamente interpretato da Bolle ( Moise) e da Richardson (Pharaon) e l'ultimo rievoca la tregua nella lotta tra Moise e Pharaon coinvolgendo tutto il corpo di ballo nell'inno al dio Ra, padre della forza e della luce. Taccio sul ridicolo momento in cui si vede ballare pure una mummia. Ho lasciato per ultimo la regia e la scenografia perché per una volta la resa musicale e canora ha di gran lunga offuscato il pur pregevole sforzo del regista Ronconi e dello scenografo Quaranta. Spettacolo molto elegante, con i contrasti di colore tra il nero di Moise e del popolo ebraico e il bianco degli egizi, di Aménophis, di Sinaide e di Pharaon. Nel 1° atto osserviamo un grande organo barocco che si erge solitario in mezzo al deserto. L'organo che si incendia allorquando Dio dona le dodici tavole della legge, in luogo del roveto, potrebbe essere la polifonia di suoni con cui viene rappresentata ed ascoltata la voce di Dio . Nel 2° atto l'organo si apre in due e la scalinata porta ai due troni di Sinaide e Pharaon, il piano scenico copre una specie di galleria dove languono di bianco vestiti, come larve, gli egizi prostrati dalle tenebre, compressi in una tomba oscura. Quando l'accordo di Do maggiore risuona in orchestra a significare l'ennesimo miracolo di Moise, cioé il ritorno della luce, gli egizi escono dalle loro "tombe" come rivitalizzati. Nel 3° atto abbiamo una specie di cattedrale barocca nel deserto con l'apparizione di Osiride con la tiara papale e il pastorale, e il seguito di vescovi. Strana similitudine tra i pagani egizi che adorano Iside e i preti cattolici che opprimono il popolo di Israele. Boutade di dubbio gusto che poteva esserci risparmiata. Nel 4° atto un mare bleu scuro più simile a rocce vulcaniche si "apre" con un bel congegno che ricorda molto le macchine sceniche dei teatri barocchi, a significare che in fondo il teatro di Rossini era debitore della scenografia del '700, ma musicalmente un secolo avanti. Stante l'origine oratoriale dell'opera, non mi pare che il grande Ronconi abbia fatto poi troppi sforzi di fantasia nel muovere cantanti e coro. Concludo ribadendo che ho assistito ad un grande spettacolo, assolutamente degno dei fasti scaligeri.
Ugo Malasoma