Riccardo | Marcelo Álvarez |
Renato | Zeljko Lucic |
Amelia | Sondra Radvanovsky |
Ulrica | Marianne Cornetti |
Oscar | Patrizia Ciofi |
Silvano | Alessio Arduini |
Samuel | Fernando Rado |
Tom | Simon Lim |
Un giudice | Andrzej Glowienka |
un servo d'Amelia | Giuseppe Bellanca |
Direttore d'orchestra | Daniele Rustioni |
regia | Damiano Michieletto |
scene | Paolo Fantin |
costumi | Carla Teti |
luci | Alessandro Carletti |
maestro del coro | Bruno Casoni |
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala |
A dare retta alle decine di volantini lanciati dalle gallerie nell'intervallo tra il primo e il secondo atto e alla fine della rappresentazione la messa in scena del regista Damiano Michieletto non è piaciuta per niente. “Smettete queste pagliacciate, è ora di finirla!!!”; “ Non se ne può più”; “l'ignoranza artistica non è accettata”; oppure “perdona loro perché non sanno quello che fanno”, ovviamente indirizzato a Verdi, che si sarà rivoltato nella tomba per l'indignazione. Queste sono alcune “carezze” rivolte da una parte degli spettatori a Michieletto e collaboratori. Eppure, lo ammettiamo, la curiosità era tanta per questa regia. La curiosità di capire come Michieletto fosse riuscito a trovare punti di contatto tra l'America integerrima del XVII secolo e quella un po' tanto spettacolare e baraccona odierna.
Forse ne è venuta fuori una “americanata”, certo, ma non nel senso deleterio del termine. Il teatro quello con la “T” maiuscola è stato onorato, pur con qualche perplessità e distinguo. Riteniamo, al proposito, opportuno seguire le spiegazioni del regista per meglio addentrarci nel suo “pensier profondo”. Michieletto rivendica la “necessità di avere un punto di vista personale, in grado di rendere vivida ed emozionante la storia, in grado di dare una forza teatrale ai personaggi, di accendere l'immaginazione degli spettatori, di aprirsi ad un linguaggio metaforico”. E fin qui ci pare di poterlo seguire senza dubbi. Per realizzare questo disegno trasforma Riccardo in un leader politico all'americana, osannato da alcuni e odiato da altri, colto alla vigilia della sua campagna elettorale per la rielezione a qualche importante carica politica, forse alla stessa presidenza del paese. E' un Riccardo nel momento di massimo stress che vive con estrema nevroticità il personale dramma del “potente” di turno, anche la sua passione per la moglie del suo amico fidato nonché bodyguard Renato. E' un uomo solo, in conflitto tra il suo essere pubblico e famoso, ironico e sbeffeggiatore, e la sua sfera privata, più malinconica e da nascondere. Oscar dovrebbe rappresentare il lato giocoso, e del protagonista, nel merito è una donna ambiziosa dello staff dirigenziale, sicuramente innamorata del proprio “capo”. Ulrica appartiene al numeroso campionario di profetesse, di guru, di predicatori televisivi che fa cadere in trance i fedeli, siano essi handicappati su sedie a rotelle, ciechi, invasati o semplicemente vogliosi di essere plagiati. Consiglia come da libretto ad Amelia di obliare l'amore peccaminoso per Riccardo: “Arcane stille conosco d'una magica erba, che rinnovella il cor. Ma chi n'ha d'uopo spiccarla debbe di sua man nel fitto delle notti”, ma stranamente più che all'orrido campo la invia su un viale “battuto” da puttane anche assai rissose, una di queste aggredisce la povera Amelia privandola di soldi, gioielli e pelliccia, ma, bontà sua, le lascia un impermeabile bianco che tenterà di nasconderla alla vergogna del marito. Riccardo giunge all'appuntamento nel luogo periferico e malfamato con una stupenda BMW. Luogo ed occasione, non c'è che dire, sono di grande poesia e a Verdi sarebbero sicuramente piaciuti. Resta da domandarsi perché Riccardo non scappi con l'amante sulla fiammante automobile, visto che i congiurati sono tutti a piedi! Renato? Beh, voi non sareste furiosi se trovaste la consorte di notte sul vialone delle puttane in compagnia del vostro migliore amico? Amelia infatti è ridicolizzata perché sembra una delle tante puttane frequentatrici del luogo e non la bella ed elegante consorte integerrima di Renato. Chissà che avranno pensato Tom e Samuel? “Giochetti di scambisti? La Signora inquieta era forse alla ricerca di novità eccitanti”, queste sono parole di Michieletto. La risposta credo la possa leggere da solo sullo spartito verdiano. Al ritorno a casa, l'orgoglioso e un po' arrogante Renato reagisce in modo violento, ma c'è anche da pensare al quotidiano, al figlio, a nascondere l'imbarazzante segreto. Il ballo in maschera finale è di forte impatto, caleidoscopico nei colori e nelle luci, con quella scritta “ Riccardo, incorrotta gloria” che è anche il motto della campagna elettorale. I supporters si nascondono dietro le molte effigi in cartone a grandezza naturale di Riccardo. Il mascheramento servirà a Renato per cogliere senza essere visto i due amanti al “passo d'addio”, uccidendo l'amico traditore. Ma Michieletto fa di più: il protagonista muore e crolla a terra, ma il finale lo canta in piedi lo stesso Àlvarez, forse l'anima stessa di Riccardo, che resta vicino al corpo ancora per qualche tempo.
Le scene sono di Paolo Fantin: nella prima scena del primo atto la location è il tipico ufficio dei comitati elettorali; nella seconda scena un auditorium in cui normalmente si radunano gli adepti di qualche setta. Nel secondo atto, come già detto, siamo sul viale delle puttane. Al terzo atto ricompare l'ambiente del primo atto tutto vetri moderni, anche casa di Renato e Amelia, e alla fine la grande scritta “Riccardo incorrotta gloria” occupa il palcoscenico con le sagome di cartone di Riccardo.
Le luci assai brillanti sono di Alessandro Carletti. I costumi moderni di Carla Teti.
Sì, indubbiamente si è fatto del teatro, anche visivamente accattivante, ma abbiamo comunque seri dubbi sulla bontà dell'operazione. Non fosse altro perché a furia di ricercare una messa in scena che assomigli ad un film, con pari tensione drammatica, si distoglie non poco l'attenzione dall'ascolto della musica.
Pur distratti non abbiamo però colto una grande concertazione nel lavoro del giovane direttore Daniele Rustioni. Ce ne rammarichiamo, ma ci domandiamo anche perché capolavori siffatti si debbano dare in gestione a giovani promesse ancora bisognosi di tanto studio e lavoro. Di certo, in questa stagione del bicentenario Wagner-Verdi, si è fatto di tutto per onorare Wagner molto meno per onorare Verdi.
I tempi staccati da Rustioni sono sempre stati un po' troppo serrati, qua e là incisivi ma anche un po' ruvidi. L'orchestra ha ecceduto in volume e si annota anche qualche stonio nella sezione degli archi. Non convincente nel contrappunto, lo è stato ancora meno nell'accompagnamento dei cantanti, e anche del coro, a cui non ha suggerito praticamente nessun colore e fraseggio, lasciando il tutto alla libera iniziativa e sensibilità del singolo artista. Non ci ha convinto nel preludio primo l'enunciazione del tema dell'amore tra Riccardo e Amelia, in cui il dipanarsi degli archi non aveva la morbidezza e tenerezza necessarie. Non abbiamo ad esempio colto l'atmosfera di mistero e magia nei cupi fagotti e contrabbassi del breve preludio che precede l'invocazione di Ulrica, ma la si poteva cogliere con quel turbinio colorato nella kermesse della “santona”? Il ritmo di polacca di “alla vita che t'arride” ci è parso fin troppo fiacco. Una certa briosità l'ha impressa nella ballata di Oscar e nella canzone di Riccardo “Di Tu se fedele”ma abbiamo anche notato una sostanziale e prevedibile concitazione nella complessa scena di Ulrica. Tutto il secondo atto è stato privo di dolente affanno, sognante tenerezza, di sfumature raffinate, mentre è parso abbondare di drammaticità molto poco emozionante. Così come l'aria del terzo atto di Riccardo. Nel finale, tra metronomiche mazurke e vibranti crescendi corali maestosi - in cui svettavano per fortuna gli acuti di Amelia ed Oscar – non abbiamo colto sino in fondo la trasparente dipartita dell'anima di Riccardo.
I cantanti se la sono cavata meglio.
Il successo pieno l'ha raggiunto l'Amelia di Sondra Radvanovsky, fatta oggetto di ovazioni alla fine della recita. Estensione ragguardevole, cavata ampia, emissione compatta anche nei gravi e acuti davvero penetranti. Forse una minima attenzione a qualche segno di espressione in più non avrebbe guastato. In Verdi la sola emissione di belle note, anche ben tornite, non consente di far emergere in tutte le sfumature il personaggio. I Sibemolle filati del terzetto del primo atto con smorzature annesse avevano volume ma un po' meno amorosa trepidazione. Nella grande aria del secondo atto la scala ascendente che raggiunge il Do acuto è di buona scuola anche se accademica, ma dolore, spavento, passione e commiserazione sono ai margini. Certo il duetto successivo è al calor bianco, però bisogna dare atto che è letteralmente sospinta da un generoso e vibrante Àlvarez. “Morrò ma prima in grazia”dovrebbe essere una preghiera struggente in piano, quasi un soliloquio, e non è certo solo colpa sua se vi cogliamo invece un eccesso di esibizione di bella voce, ma, appunto, troppo soprano e poco Amelia.
A noi è piaciuto il Riccardo di Marcelo Àlvarez per il motivo opposto a quello della Radvanovsky. La voce è più brunita di un tempo, il baricentro è più basso, con zona di passaggio e acuti - dal Labemolle al Sibemolle - decisamente meno fluidi del passato, ma la sensibilità dell'artista è quella di sempre e il suo resta ad oggi un grande Riccardo. Spavaldo, istrionico, ironico perfino sbeffeggiatore, brillante nella sua comunicativa, ma anche passionale, in maniera forse esagerata ma di forte impatto. E' un canto generoso il suo, che non gioca mai a nascondino con le difficoltà dello spartito e con una emissione corretta al punto di descrivere tutte le sfaccettature del complesso personaggio. E se il suo “Ma se m'è forza perderti”è al limite con gli scarti all'acuto, è difficile rimanere asettici di fronte ad un innamorato che porge dolcezza e progressiva esuberanza al “M'ami, m'ami!”del duetto d'amore del secondo atto. Vorremmo anche ricordarne la grazia e la leggerezza della barcarola e soprattutto, nel quintetto del primo atto, “ E' scherzo od è follia”.
Alla fine anche per Lui un meritato successo “sporcato” però da qualche isolato incontentabile.
Zeljko Lucic è un Renato che non passerà alla storia, soprattutto qui alla Scala. L'accento non è proprio verdiano, il timbro non certamente smaltato, il legato rivedibile, ma è sicurissimo negli acuti che sfoggia con chiarezza e potenza.
Non basta certo per farne un Renato del tutto convincente. Il fraseggio avrebbe dovuto evidenziare l'introversione, la ruvidezza, la scontrosità, la potenziale aggressività accompagnata dal dolore per il supposto tradimento e il successivo rimpianto, con l'ausilio di una emissione più portata ai chiaroscuri che alla più facile esibizione di volume. Il lato brusco emerge senza tentennamenti ma anche qui abbiamo più il baritono che non il Renato auspicabile.
Marianne Cornetti è una valida Ulrica. Tecnicamente esemplare, omogenea sia nei gravi come negli scarti all'acuto. Nella seconda parte dell'invocazione è precisa nella scala ascendente che dal Do grave sotto il rigo la innalza fino al Labemolle acuto e la ripiomba poi al Sol sotto il rigo con minacciosa ed energica decisione. Per “Della città all'occaso”sfoggia ancora una rotondità di emissione che favorisce qualche interessante chiaroscuro, come nel terribile e cupo quintetto prima del finale I.
Patrizia Ciofi è un Oscar dalla voce piccola piccola in confronto ai pesi massimi succitati. Tuttavia, nonostante anche Lei sia incappata in qualche dissenso, facciamo notare che le sue agilità ci sono parse ben dipanate e gli acuti, soprattutto i Sibemolle e i Si naturali della ballata e dei couplets della canzone , sufficientemente squillanti. Un po' tremolante invece il Do del quintetto.
Fernando Rado, Samuel, e Simon Lim, Tom, hanno voci che corrono, forse anche troppo, ma non trasmettono l'inquietudine dei cospiratori potenziali assassini.
Il Silvano di Alessio Arduini ha destato una buonissima impressione. Corretti il giudice di Andrzej Glowienka e il servo di Amelia Giuseppe Bellanca.
Il coro delude cantando senza sfumature, e ignorando spesso i piani e i pianissimi come se non fossero scritti.
Alla fine, successo pieno per la sola Radvanovsky, per gli altri cantanti successo con qualche sparuto dissenso non ben chiaro. Contrasti per il giovane Rustioni e boato di disapprovazione per tutti i protagonisti della messa in scena, confortati però da qualche volenteroso in platea che ha ribattuto in maniera piccata alle gallerie, dopo aver letto i messaggini tipo “baci perugina” lanciati in grande abbondanza sin dal primo intervallo.
Ugo Malasoma