La Cantatrice | Laura Aikin |
Musico | Charles Workman |
Letterato | Otto Katsameier |
Pasquozza | Sonia Grané |
Chiappina | Lena Haselmann |
Solfetto | Thomas Lichtenecker |
Finocchio | Christian Oldenburg |
Minchiello | Emanuele Cordaro |
Giovane cantore | Ramiro Maturana * |
Coro | Hun Kim * |
Massimiliano Mandozzi | |
Chen Lingjie ** | |
Oreste Cosimo * | |
Sara Rossini * | |
Francesca Manzo * | |
Direttore | Maxime Pascal |
Regia | Jürgen Flimm |
Collaboratore del regista | Gudrun Hartmann - Wild |
Scenografia | George Tsypin |
Costumi | Ursula Kudrna |
Lighting designer | Olaf Freese |
Movimenti coreografici | Tiziana Colombo |
Orchestra del Teatro alla Scala | |
Nuova produzione in coproduzione con Staatsoper Unter den Linden di Berlino Prima mondiale Commissione Teatro alla Scala e Staatsoper Unter den Linden di Berlino
|
|
* Allievo Accademia Teatro alla Scala | |
** Allievo Conservatorio G. Verdi di Milano |
La musica del '500 e '600 ha da sempre ispirato Salvatore Sciarrino - l'operista italiano più eseguito nel mondo, che quest'anno compie settant'anni - come dimostra la nuova composizione rappresentata questa sera in prima mondiale e suggerita dalla tragica vita di Alessandro Stradella. Simbolo della libertà della creazione artistica, di una musica che travalica il proprio tempo come tutte quelle dei geni, provocante una continua ed inesauribile tensione tra il compositore e la società contemporanea.
Il libretto assai ricercato, dello stesso Autore, ha origine da diverse fonti poetiche e teatrali (Apollonio Rodio, Ovidio, Bashō, Stromboli, Rilke) e documentali (Giazotto e Iudica).
Il cuore dell'opera che si lascia ispirare dal mito, dalla storia, dalle leggende e dal realismo grottesco è il continuo conflitto e confronto tra la cultura e la natura. La scena sesta ha proprio il carattere di una parabola filosofica in cui la prima parte è incentrata sul trionfo della musica umana, il cui creatore è Orfeo, mentre il finale della scena, col canto delle sirene - costituito da catene discendenti di arpeggi di suoni armonici disegnati dai flauti - celebra la musica della natura.
L'Autore compone con straordinaria flessibilità e raffinatezza nella resa della prosodia, della fonetica e della semantica come anche nella varietà dei registri espressivi. Dinamiche e timbrica sono sottoposti a ripetizioni e microvariazioni in costante rapporto funzionale con il silenzio. “Nella mia musica - afferma Sciarrino - il timbro non viene percepito soltanto come colore, ma come fattore che determina la stessa struttura linguistica”. L'orchestrazione pur nella complessità dell'architettura appare leggera e rarefatta così da esaltare l'intensità lirica delle voci. Il canto sincopato, si basa sugli intervalli, con ripetizioni e frammentazioni continue della parola, portamenti ascendenti e discendenti e un abuso, per le nostre orecchie, di glissandi.
Vi sono accenni e citazioni a musiche di Stradella che Sciarrino stesso manipola per evidenziarne anche le somiglianze con altri Autori (Chopin e Schubert in primis ma anche Debussy) e per sottolinearne le caratteristiche intime ed emozionali.
L'organico strumentale si divide su tre piani: l'orchestra principale in buca, il “concertino” sul palcoscenico costituito dagli archi e dopo il prologo anche dai fiati e l'ensemble fuori scena con i legni e poi gli ottoni, l'arpa e il pianoforte.
Anche lo spazio scenico di George Tsypin, coadiuvato da Olaf Freese responsabile delle luci color pastello che virano dal celeste, all'arancio e all'oro, è articolato in tre piani ed è ispirato ad una sala di Palazzo Colonna a Roma (con pochi e semplici elementi scenici ma funzionali); il fondo o cavea di teatro, sala da musica o anche paesaggio esterno, dove avviene la “cantata” (cantatrice, coro e “concertino”) incentrata sul potere seduttivo e incantatorio della musica, qui impreziosita dai versi aulici; la ribalta dove operano il Letterato e il Musico - è sostanzialmente un “luogo della mente” - narrando e commentando le tragiche imprese dissolute di Stradella e i riflessi di queste avventure, che acquistano una dimensione quasi fiabesca. I dialoghi sono fitti e la musica è caratterizzata dalle vibrazioni sommesse e misteriose di una lastra di acciaio inox (a dare un sottofondo “ventoso”), dagli interventi dei fiati, da lunghi trillati e glissandi armonici sino addirittura al rumore di casse di bottiglie scaricate; lo spazio di mezzo, dove agiscono i cinque servi che aiutano a costruire lo spettacolo - bisticciano e appaiono affamati come il popolino seppur elegantemente vestiti - e interpretano i fatti che avvengono nel palazzo parodiando i loro padroni come maschere della commedia dell'arte. In sostanza inscenando una vera e propria opera buffa. La loro musica è ritmica e percussiva da “opera operaia” con balbuzie e mugolii assortiti. In scena coesistono e si sovrappongono il tragico e il comico, la musica colta con quella “da poco”, la realtà scenica con il sogno.
Il regista Jürgen Flimm, celebrato per la sua capacità di unire elementi classici e moderni, monta le tre dimensioni dell'opera assemblandole alla maniera del cinematografo e costruendole come l'ormai classico e funzionale “teatro nel teatro”. Lo spettacolo risulta senza dubbio assai elegante. La recitazione è marcatamente ispirata all'enfasi barocca, con i servi che scimmiottano le marionette e i figuranti (uomini in gorgiera bianca e palandrana nera) in un continuo andirivieni qua e là un poco frastornante, come alla chiusa del primo atto con il lancio prolungato di coriandoli. Si è sempre comunque in attesa di Stradella, che non arriverà mai se non la notizia della sua morte. I costumi, ricchi, sfarzosi e barocchi sono di Ursula Kudrna. Le coreografie stilizzate di Tiziana Colombo richiamano gesti ginnici, con annesse prove di ballo di bimbe in tenero tutù.
Il giovanissimo concertatore Maxime Pascal, direttore dell'Orchestra Le Balcon di Parigi, dedicata alla musica d'oggi, guida con sicurezza le tre orchestre, cura con precisione i minimi particolari della partitura assai complessa (significativo l’Intermezzo che separa l’atto primo dal secondo, in cui l’orchestra suona con forza ed asprezza, spazzando via il clima cameristico e ovattato del primo atto, vedi il Prologo) e dirige senza tentennamenti i cantanti, tra i quali spicca la Cantatrice di Laura Akin.
Il soprano si conferma artista di prim’ordine con timbro prezioso, emissione omogenea nei vari registri e acuti luminosi ancorché controllati con tecnica sopraffina, tra mezzoforte e piani anche flautati. Si districa tra parlato e declamato con canto di coloratura disinvolto, che affascina anche nei molti glissandi di invidiabile musicalità.
Ricordiamo per dovere di cronaca gli interventi debitori di Stradella e più godibili all’ascolto: “È sì bello il foco mio” nell’atto primo, con alternanza di andante e presto senza però il finale originale virtuosistico. “Pensier ostinato” introdotto da accenni al notturno op.15 n° 2 di Chopin, con accompagnamento di arpa e pianoforte. La Canzonetta di Stradella “Chi mi disse che Amor dà tormento” dall’andamento sciolto con note ribattute, conclusa da un allegro “il mio core per voi luci belle” inquieto e accentato che ricorda il Cherubino mozartiano. Il grandioso “Morendo crea il mito di Orfeo” appartenente all’area propria del Mito, che si sviluppa sul ritmo e sui contrasti. E infine il “Pensier ch’affliggete” in cui la protagonista, colma di emozione e singhiozzi, ci offre un esempio preclaro della funzionalità della vocalità frammentata di Sciarrino, pur declinata con delicatezza somma. La cantante alla fine della recita è stata fatta oggetto di una vera ovazione, in tutto meritata.
Più che altro fini dicitori Charles Workman, il Musico e il Letterato Otto Katzameier.
Musicale nell'aria “Dormite occhi, dormite” - una passacaglia con violino obbligato, da Schubert (sonata D960), che tende a dissolversi in un morendo impressionistico - intonata con voce raccolta e mesta un tantino lamentosa Ramiro Maturana, che interpreta il Giovane Cantore.
Gustose le maschere: Sònia Grané, Pasquozza; Lena Haselmann, Chiappina; Thomas Lichtenecker, il bravo controtenore Solfetto; Christian Oldenburg, Finocchio e Emanuele Cordaro, Minchiello.
Inappuntabili i giovani del coro a sei voci: Hun Kim, Massimiliano Mandozzi, Chen Lingjie, Oreste Cosimo, Sara Rossini e Francesca Manzo.
Applausi per tutti in questa “prima” mondiale con particolare menzione, come riportato, per la straordinaria Laura Aikin.
La recensione si riferisce alla recita del 14 novembre 2017
Ugo Malasoma