Il Duca | Vittorio Grigolo |
Rigoletto | Leo Nucci |
Gilda | Nadine Sierra |
Sparafucile | Carlo Colombara |
Maddalena | Annalisa Stroppa |
Giovanna | Chiara Isotton |
Monterone | Giovanni Furlanetto |
Marullo | Davide Pelissero |
Matteo Borsa | Martin Piskorski |
Conte di Ceprano | Gianluca Breda |
Contessa di Ceprano | Federica Lombardi |
Paggio | Kristin Sveinsdottir |
Usciere | Oliver Pϋrckhauer |
Regia | Gilbert Deflo |
Scene | Ezio Frigerio |
Costumi | Franca Squarciapino |
Luci | Marco Filibeck |
Direttore | Nicola Lusotti |
Maestro del Coro | Bruno Casoni |
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala | |
Rigoletto torna alla Scala nel collaudatissimo e da noi più volte recensito allestimento con la regia di Gilbert Deflo. E cosa fa il critico piuttosto che l'appassionato quando è di fronte a queste riproposte? Spulcia la locandina con l'intento di individuare nuovi spunti di interesse. In questa occasione l'attenzione era richiamata pressoché totalmente dalla giovane Nadine Sierra, grazioso soprano americano appena ventisettenne, balzata agli onori delle cronache italiane solo pochi giorni or sono in virtù della sua partecipazione al concerto di Capodanno andato in scena a La Fenice di Venezia e trasmesso dalla RAI. Ma fortunatamente il teatro d'opera non è matematica né statistica, né luogo nato per dare spazio alle consuetudini e alle regole, come invece qualcuno vorrebbe far pensare. Nemmeno la Scala può fare eccezione e, fortunatamente per noi, quando arte, musica, teatro, passione, cuore e carisma si miscelano grazie al fenomeno Leo Nucci, si ingenera una sorta di trasformazione dell'energia trasmessa dal grande baritono e respirata dal pubblico, in un misterioso elemento ad alto tasso di esplosività; al di là della mera cronaca è proprio questa la sintesi essenziale di quello che si è vissuto ieri alla Scala.
Ma andiamo per gradi e scendiamo in dettaglio.
Nadine Sierra è una bella ragazza dall'espressione dolce e dai movimenti aggraziati; caratteristiche che unite alla freschezza vocale e all'emissione forse ancora un po' acerba hanno contribuito a rendere credibile l'ingenuità e la timidezza di Gilda. Dal punto di vista puramente vocale e tecnico l'artista americana non ci ha convinto appieno. Sulla tessitura centrale la voce risulta eccessivamente raccolta e dà l'impressione di essere artatamente forzata in maschera e priva della necessaria libertà. Questo aspetto non favorisce l'articolazione della parola tanto da farla risultare talvolta poco comprensibile. Inoltre, gli estremi acuti sembrano ghermiti più di natura che tramite un utilizzo corretto del fiato così da suonare un po' indietro. Altra piccola riserva l'abbiamo avuta notando da parte della Sierra, una certa tendenza a rallentare i tempi durante i duetti: sia nel Veglia o donna, sia nel Si vendetta. Nel complesso è certamente un'artista valida la quale, in virtù della giovane età e dell'interessante natura vocale avrà modo di affinare le doti naturali e migliorarne l'utilizzo, ma forse il trampolino per teatri come Scala e Metropolitan potrebbe essere scattato un po' troppo presto.
Vittorio Grigolo nei panni del Duca ci è parso a dir poco irritante. Un cantante trattato da madre natura con grande generosità e che decide di sprecare tanto ben di Dio è, ribadiamo, assolutamente irritante. La prima cosa che colpisce non appena apre bocca è il grande volume di voce e la notevole proiezione vocale. Purtroppo dopo qualche minuto si è già sazi di tanta dovizia sonora e si rimane letteralmente sopraffatti dall'indisciplina del tenore verso i tempi indicati dal direttore – tanto da costringere Luisotti a dei veri e propri miracoli per far quadrare i conti. Il fraseggio deciso da Grigolo alterna suoni forti o fortissimi a non pochi tentativi di mezzavoce, peccato che queste ultime diano l'impressione di essere disseminate qui e là senza una precisa logica interpretativa, quanto piuttosto per una mera spettacolarizzazione del canto lirico. Infine ci domandiamo per quale ragione un tenore che da una parte si dimostra attento alla scelta del repertorio e non ha ancora ceduto alle tentazioni dei ruoli da lirico spinto ed al repertorio verista, di fatto non presti nessuna attenzione alla storia e allo stile interpretativo di ciò che sta cantando. Del resto per cantare il ruolo del Duca allargando a dismisura i centri, aprendo tutti i suoni acuti, omettendo le puntature di tradizione sul re bemolle al termine del duetto con Gilda Addio, addio ed il re naturale alla chiusa della cabaletta del secondo atto, tanto varrebbe cimentarsi in Turiddu, Calaf e magari Luigi nel Tabarro.
“Che palle l'ennesimo Rigoletto di Nucci”. Questa è la frase che ogni tanto si sente pronunciare a qualche melomane ed a qualche collega critico. Ed a bocce ferme si finisce, se non per essere parzialmente d'accordo, quanto meno a comprendere lo sfogo che è insito in questo tipo di affermazione. Del resto, siamo sinceri, chi di noi non avrebbe voglia di andare a teatro per vedere un giovane baritono che, debuttando nel ruolo del celebre gobbo, entusiasmi e surriscaldi gli animi grazie ad una voce sonora, ricca, estesa, risultando sicuro tecnicamente, intelligente musicalmente ed interpretativamente, magari che sia anche dotato di una buona dose di carisma? In sostanza la rivelazione di un nuovo grande Rigoletto. Ma che domande? Credo sia nei sogni di tutti quelli che amano l'opera lirica. Significherebbe dare continuità e garantire un futuro alla tradizione dei grandi interpreti che, per limitarci alla storia del disco, da Galeffi sino allo stesso Nucci hanno onorato questo capolavoro verdiano. Premesso ciò dobbiamo avere l'onestà intellettuale di ammettere che il Rigoletto di Leo Nucci non è una fisima imposta dalle direzioni artistiche dei più blasonati teatri del pianeta bensì, ancora oggi, è il miglior Rigoletto possibile ed immaginabile in tutto l'orbe terracqueo. E speriamo che i giovani, quelli che si stanno avvicinando oggi all'opera, possano avere molte altre occasioni per vedere in scena quello che, non solo è il più grande Rigoletto degli ultimi decenni, ma uno dei più grandi di tutti i tempi.
Anche nel corso della recita di ieri sera abbiamo colto qualcosa di nuovo e diverso nell'interpretazione dell'artista naturalizzato lodigiano; del resto ci pare naturale che l'approccio al ruolo di Rigoletto sia mutato nel corso delle oltre 500 recite affrontate in carriera e continui ad evolversi parallelamente alla maturazione dell'uomo Leo Nucci.
Dall'inizio dell'opera sino alla fine del primo atto vediamo un Rigoletto scenicamente un tantino dimesso, meno sfacciato nel suo essere buffone, meditativo e tanto paterno. Vocalmente addolcisce il più possibile l'emissione ed evita di caricare troppo gli accenti. Nel secondo atto costruisce il suo capolavoro. Il Cortigiani è cantato soppesando il significato di ogni singola parola e riservandole il giusto accento ed il necessario colore. La grande frustrazione del padre è palese: la voce tuona ed esplode sugli acuti infondendo al momento grande tensione drammatica. La commozione scuote l'animo di Rigoletto e si riversa inesorabilmente su chi ascolta. Terminata la prolungata ovazione del pubblico, altro momento magico è il successivo duetto “Piangi, fanciulla” cantato alternando abilmente accenti consolatori nei confronti di Gilda alla rabbia nei confronti del Duca, sino all'apoteosi del Si vendetta affrontato con la veemenza e la voce di un quarantenne. Al termine scene mai viste prima alla Scala. Applausi e urla deliranti da parte del pubblico presente, tutto unito in un'insistente richiesta di bis. Considerando che dai tempi di Toscanini non erano più stati concessi bis nella sala del Piermarini, con le sole eccezioni del Va pensiero diretto da Muti nel 1986 e il bis di Ah! Mes ami concesso da Florez nel 2007, la decisione ha preteso qualche istante di simpatico siparietto fatto di occhiate e scosse di capo tra Nucci, il sovrintendente Pereira seduto nel palco di proscenio e il direttore; consulti che hanno portato al successivo attacco di Luisotti con un bis cantato con ancora maggiore forza ed al termine salutato dal pubblico, tutto in piedi, giunto ad un livello di entusiasmo che chi scrive forse non aveva mai visto alla Scala. Emozioni che solo il teatro vero può regalare e che certamente i presenti non dimenticheranno mai.
Il cast era completato più che onorevolmente da Carlo Colombara che debuttava Sparafucile, l'ultimo ruolo verdiano che ancora mancava al suo prestigioso curriculum. Un ruolo quello del sicario verdiano che abitualmente associamo a voci cavernose e talvolta poco rifinite, caratteristiche decisamente diverse da quelle che caratterizzano il bravo basso bolognese il quale è riuscito ad essere credibile in virtù dell'ottima presenza scenica e della non comune intelligenza interpretativa.
Annalisa Stroppa nei panni di Maddalena ci è parsa in possesso di una vocalità un po' debole per questo ruolo, soprattutto se cantato in una sala grande come questa. Peccato perchè l'artista si muove bene in scena ed anche la voce è timbricamente gradevole e ben educata.
Vocalmente debole il Monterone di Giovanni Furlanetto.
Corretto il Marullo di Davide Pelissero.
Sufficienti le prove offerte da Martin Piskorski (Borsa), Gianluca Breda (Conte di Ceprano), Federica Lombardi (Contessa di Ceprano), Oliver Pürckhauer (usciere), Kristin Sveinsdòttir (paggio).
Interessante la direzione di Nicola Luisotti il quale, nonostante i ridotti tempi di prove avute a disposizioni, essendo subentrato solo a fine dicembre al previsto Mikko Franck, non si è rassegnato al mero accompagnamento ma ha cercato di trascinare gli artisti verso la sua idea interpretativa e soprattutto verso i suoi tempi; la cosa è riuscita totalmente con Nucci, quasi totalmente con la Sierra - nonostante la sua tendenza al rallentamento - , pochissimo con Grigolo. Nel primo atto i tempi sono stati quasi lenti - con parecchie trattenute - ma non banali e utili a creare il contrasto con la maturazione del dramma che si avrà a partire dalla fine del primo atto. Dal secondo atto in avanti il direttore ha optato per tempi più serrati e, come ho già accennato, qualche scollamento tra buca e palcoscenico si è notato. Bellissimo per scelta di dinamiche l'intenso e fiammeggiante tessuto sonoro creato dagli archi durante l'invettiva di Rigoletto. Di notevole effetto il passaggio repentino dal forte al pianissimo ed al successivo crescendo sino al fortissimo sulla chiusa del primo atto quando Rigoletto canta la Maledizione. Nel complesso una direzione sicuramente perfettibile nel corso delle prossime recite ma, sin dalla prima, non banale. Ottima la prova dell'orchestra ed altrettanto buona l'esecuzione del coro diretto da Bruno Casoni.
Al termine grande successo di pubblico con applausi calorosi e convinti per tutti i protagonisti - Grigolo compreso – ed ovazioni meritate e riconoscenti per Leo Nucci.
Danilo Boaretto