Johannes Brahms | Concerto per violino e orchestra in re maggiore, op. 77 |
Johannes Brahms | Sinfonia n. 1 in do minore, op. 68 |
Filarmonica della Scala | |
Violino | Emmanuel Tjeknavorian |
Direttore | Riccardo Chailly |
Il karma toglie, il karma dà. È un po' la morale che possiamo ricavare dagli ultimi mesi della vita di Emmanuel Tjeknavorian. Il violinista armeno, che avrebbe dovuto esibirsi al teatro alla Scala lo scorso gennaio, si trovò costretto all'ultimo a debuttare agli Arcimboldi a causa di uno sciopero dei tecnici di palcoscenico; e oggi, a causa di una difficoltosa gestione delle coincidenze aeree, Hilary Hahn non può giungere per tempo a Milano, e chi chiamano per sostituirla? Proprio il Tjeknavorian, che può così meritatamente prendersi il palcoscenico, gli onori e gli applausi del Piermarini. E anzi: trova pure il tempo di concertare un piccolo encore insieme alle prime parti degli archi dell'orchestra (Pene d'amor di Fritz Kreisler).
Diciamolo: né a livello di appetibilità per il pubblico, né a livello tecnico ci sembrano comparabili i due artisti. Ma non per questo si può affermare che gli spettatori della Scala ci abbiano rimesso. Perché il violinista armeno non avrà lo stesso appeal di Hahn (star anche sui social), ma è anche molto più giovane e soprattutto ci pare sulla strada giusta per diventare uno dei violinisti migliori della cosiddetta generazione Z. Insomma: Hahn è una star di prima grandezza, ormai; Tjeknavorian lo diventerà. E per questo è probabilmente più interessante seguire la carriera in divenire di quest'ultimo, rispetto a quella di un'artista già affermata.
Cambiano gli interpreti, ma non cambia il programma: il Concerto per violino e orchestra di Brahms. E chissà, magari anche per il poco preavviso a sostituire all'ultimo una tale big come Hilary Hahn, l'impressione è che Tjeknavorian abbia dimostrato non molto sangue freddo che ha un po' irrigidito la sua interpretazione. La non brillantezza dei legati e una tendenza ad esasperare il vibrato del suo violino ci hanno lasciato con la sensazione che il ragazzo sia ancora imbrigliato in accademismi i quali, se da un lato gli offrono protezione (con lo sguardo costante su Chailly, come attendesse le sue imbeccate), dall'altro gli impediscono di acquistare quella sicurezza necessaria per spiccare il volo verso più personali letture dello spartito. Se proviamo a metterci nei suoi panni possiamo anche capirlo: il concerto di Brahms è uno dei temibilissimi lavori, da far tremare i polsi a chiunque impugni un archetto, tanto che lo stesso compositore si fece consigliare nella composizione da uno dei più grandi violinisti della sua epoca, Joseph Joachim. Che il ragazzo avesse stoffa lo avevamo già notato nella suddetta esibizione di qualche mese fa. E vista la chiamata all'ultimo secondo, gli applausi che il pubblico gli ha tributato sono stati più che meritati.
Tuttavia la prova nel complesso più che positiva del violinista è stata oscurata dalla strabiliante esecuzione della prima sinfonia brahmsiana nella seconda metà della serata: Riccardo Chailly e la Filarmonica della Scala hanno raggiunto una intesa tale che il direttore ha necessità di dare poche, semplici indicazioni ai suoi musicisti per ottenere il massimo risultato. Energici i due maestosi movimenti estremi, in cui Chailly ha saputo imprimere un'energia vibrante che ha percorso tutta la platea del Piermarini. Più gioiosi e pastorali i due movimenti centrali (magistrale il tema di clarinetto all'inizio del terzo): l'interpretazione di Chailly e della Filarmonica è come un'immersione dall'oscurità alla luce con trionfo finale di applausi da parte del pubblico come raramente si erano sentiti alla Scala.
La recensione si riferisce al concerto del 22 maggio 2023.
Emiliano Michelon