Romeo | Marianne Crebassa |
Giulietta | Lisette Oropesa |
Tebaldo | Jinxu Xiahou |
Lorenzo | Michele Pertusi |
Capellio | Jongmin Park |
Direttore | Speranza Scappucci |
Regia | Adrian Noble |
Assistente regista | Joanne Pearce |
Scene | Tobias Hoheisel |
Assistente scenografo | Philippine Ordinaire |
Costumi | Petra Reinhardt |
Assistente costumista | Eleonora Rossi |
Luci | Jean Kalman e Marco Filibeck |
Coreografia | Joanne Pearce |
Maestro d'armi | Mauro Plebani |
Maestro del Coro | Alberto Malazzi |
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala | |
Nuova produzione del Teatro alla Scala |
Sì, Bellini accettò la commissione controvoglia, sotto l’assillo della fretta, riciclando molte melodie da Zaira e Adelson e Salvini, mentre Romani rimaneggiò il libretto di Giulietta e Romeo preparato anni prima per Nicola Vaccaj, ma nulla toglie al fatto che quest’opera abbia pari dignità rispetto agli altri capolavori belliniani. Qui sono spinti all’estremo l’afflizione, l’esaltazione del sentimento e l’elegiaco delirio amoroso, cementati da una concisa tensione drammatica. Tutto ci porta verso un dramma d’amore e di morte dai toni qua e là assai esasperati, dove l’economia musicale costringe il librettista a ridurre il racconto entro gli orizzonti del bel canto, tanto apprezzato dal pubblico del primo Ottocento. L’orchestra è tenuta a dare un sostegno sobrio e leggero alla linea vocale, così da esaltarne il lirismo e l’espressività. Tuttavia, ai sospiri, agli abbandoni e al languore amoroso si contrappongono, l’atmosfera guerresca, le fanfare bellicose, le marce cerimoniali e anche le lugubri processioni.
Un direttore d’orchestra e concertatore che si rispetti unisce questi elementi in equilibrio tra romanticismo e poetica belcantista rossiniana, privilegiando la delicatezza della onnipresente malinconia, il languore sensuale, una assorta contemplazione, senza ricorrere ad un denso ordito strumentale, evitando le sonorità piene e ipertrofiche, l’eccesso delle tinte fosche e una lentezza maestosa, troppo ieratica e non opportuna in un dramma di giovani, spontaneamente coinvolti da una tragica passione amorosa.
Speranza Scappucci, direttrice musicale dell’Opera Royale de Wallonie e per molti anni maestro sostituto alla Staatsoper di Vienna che esordisce sul podio scaligero in sostituzione dell’indisposto Evelino Pidò,sottolinea tutte le sopracitate qualità della partitura dirigendo con mano sicura e spigliata brillantezza, come nella sinfonia, in cui la vivacità ritmica si arricchisce di robusti crescendo sul modello rossiniano. Nella cura, tra l’altro, dedicata ai gioielli strumentali dei preludi, qui impreziositi da professori d’orchestra altrettanto in forma. Pensiamo all’assolo di corno, che stende una velatura elegiaca al doloroso cullare melodico, già pienamente romantico, all’ingresso in scena di Giulietta. Ricordiamo il mesto incedere del violoncello solo nel preludio secondo o al clarinetto, prostrato da uno sconforto indicibile, all’entrata di Romeo prima del duetto con Tebaldo del secondo atto. Il finale poi si ammanta di uno struggimento dolce e di un’estasi amorosa, però raggiunti attraverso l’intenso strazio dell’addio, prima che l’allegro molto,turbinoso, sancisca in fortissimo l’accusa contro la spietata crudeltà di Capellio, che si è rifiutato di assecondare le ragioni dell’amore vero e, quindi, il solo responsabile della morte dei due innamorati.
Il coro diretto da Alberto Malazzi, che evochi baldanzose atmosfere guerresche e furori di battaglia, in ritmo staccato come nel finale primo, o briosi festeggiamenti per un contrastato matrimonio o un dolente incedere intriso di cordoglio malinconico nel corteo funebre, risulta sempre magnifico, continuando la grande tradizione del maestro Bruno Casoni.
Il cast è quanto di meglio ora si possa ascoltare, in primis la magnifica Lisette Oropesa, una angelicata Giulietta. La tecnica sopraffina e il timbro puro e argenteo le consentono una emissione omogenea tra i vari registri, un legato ipnotico, attacchi in piano e in pianissimo, mezzevoci delicate, colorature aeree di impalpabile leggerezza che spandono una luce madreperlacea sul personaggio, immerso per quasi tutta l’opera in una profonda e struggente afflizione. Facile negli acuti e sovracuti come nei gravi che affondano fino al Do sotto il rigo, nel canto spianato con lunghe arcate melodiche come nel bel canto di agilità, impreziosito da variazioni ed ulteriori abbellimenti. Il personaggio si districa alla perfezione nel contrasto inevitabile e straziante tra l’amore romantico per Romeo, sublimato soprattutto nella stessa musica che i due amanti intrecciano nel quintetto e nell’insieme del finale primo, e quello filiale per lo spietato padre. L’aria “Morte io non temo, il sai…” è tutta giocata tra una serena espressività da un lato e trepidante paura della morte con glissandi soavi di rara intensità dall’altra. Nel finale poi il soprano si abbandona esitante ad una disperazione sconvolgente che prende alla gola.
Altrettanto brava è Marianne Crebassa che presta la sua voce ad un romanticissimo Romeo.
Anch’essa sfoggia tecnica agguerrita con centri pastosi ed esemplare espressività. Raggiunge il Si naturale con qualche incertezza di troppo, però poi sa inabissarsi fino al Sol grave sotto il rigo con naturalezza. Il personaggio è un focoso innamorato che sa essere tenero e delicato nella cavatina come nel duetto con Giulietta ma non disdegna un trasporto passionale ed insistito per vincere le resistenze dell’amata. Pur tuttavia si distingue anche per il piglio eroico, fiero e marziale, con cui affronta la cabaletta del primo atto come anche il duetto con Tebaldo, terminato poi tra lo sgomento impotente e il rimorso torturante di entrambi i due spasimanti nemici. Nell’aria di addio “Deh! Tu, bell’anima” sfoggia un calibrato gioco di piani e forti, indugi e slanci tra introversione ed esaltata disperazione. Finale di grande emozione con un “vivi…vivi… e vien talora sul mio sasso a lagrimar” che resta uno dei cantabili più strazianti del melodramma.
Il Tebaldo di Jinxu Xiahou con il timbro chiaro, il controllo dei fiati, l’accento, il buon legato, la linea fluida e gli acuti in ordine, non sfigura al cospetto delle due donne. Si presenta con araldica fierezza nella cavatina che poi si stempera in un lirismo delicato, come anche nel dolce cantabile della cabaletta. Il contrasto politico e di sentimenti con Romeo lo rendono furioso in ritmo staccato sia nel quintetto che nella stretta del finale primo. Mente nel duetto del secondo atto si erge a intrepido e indomito avversario di Romeo, calato in una atmosfera guerresca che solo il corteo funebre scioglie in cordoglio e disperazione.
Michele Pertusi è Lorenzo, il medico e confidente di Giulietta, questa sera in abito talare, l’unico a intuire il dramma dei due innamorati. Con paternalismo bonario li guida e cerca di salvare il salvabile nel bel mezzo di una vera e propria guerra civile. La voce ha tutta la morbidezza e l’autorevolezza necessarie in una parte purtroppo assai ridotta.
Alle prese con un personaggio cattivo ed insensibile a tutto tondo come Capellio, responsabile della tragedia per la sua feroce crudeltà, Jongmin Park ha voce cavernosa e dizione arruffata.
Non facile mettere in scena un’opera con recitativi, cavatine, cabalette e lunghi duetti ma la regia di Adrian Noble si fa apprezzare senza dubbi.
Con lo scenografo Tobias Hoheiser e la costumista Petra Reinhardt ambienta l’opera agli anni Trenta, senza necessariamente riferirsi al fascismo ma ad un “periodo storico dove all’interno della società nascono conflitti terribili ed insanabili”. Mura, finestroni, nicchie, scalinate, fondali frondosi e un parallelepipedo, come stanza di Giulietta, assai claustrofobica, fanno da cornice a questo dramma. Noble “esplora tutte le dicotomie del libretto e della musica: il piacere e il dovere, la legge e l’onore, la responsabilità e la libertà, l’amore e la morte”. Contrappone due bande rivali, i Montecchi con mascherina rossa e borsalino e i Capuleti con mascherina nera, armati anche di fucili mitragliatori, pronti ad uccidersi in preda a furia vendicativa, e c’è anche un lancio di molotov alla fine del primo atto. Aggiunge un antefatto mentre si ascolta la sinfonia: l’uccisione accidentale del figlio di Capellio da parte di Romeo mentre scoppia una manifestazione con striscione di protesta dei Montecchi che chiedono libertà. Il cadavere sarà vegliato anche durante la cavatina di Romeo. Giulietta viene vestita da sposa come una Madonna ma poi si toglie la sopravveste con rabbia e rivalsa. Qualche incomprensione tra Romeo e Giulietta divisi sul canape mentre sostengono un bellissimo “duello” di colorature. Noble aggiunge pure un tocco di ironia quando durante la festa appronta una tavola imbandita con cuochi e camerieri e torte giganti in bella vista. Giulietta affranta riceve su un piedistallo molti soldi dagli invitati alle nozze. Nel finale primo, irruzione dei Montecchi con tanto di bandierone svolazzante e casse di fucili pronte all’uso. Su queste casse Tebaldo e Romeo si affrontano con cipiglio. Durante l’aria e la cabaletta di Giulietta del secondo atto il fantasma del fratello sfila a imperitura memoria sviluppando un devastante senso di colpa. Prima dell’ingresso di Romeo il regista aggiunge un tocco di attualità: mentre nevica, la cacciata di un gruppo di poveri, presumiamo migranti, da parte dei Capuleti, che arrestano Lorenzo, qui prete in veste di solerte aiutante dei derelitti oltre che premuroso confidente di Giulietta. Il corteo funebre con numerose corone di fiori accompagna Giulietta, deposta sullo stesso canapé del primo atto, ora divenuto un triste catafalco. La ulteriore contrapposizione delle bande rivali chiude l’opera sulla desolante immagine dei due innamorati privi di vita. Le luci funzionali sono di Jean Kalman e Marco Filibeck. Le coreografie di Joanne Pearce. Il maestro d’armi Mauro Plebani muove le masse belligeranti.
Lo spettacolo è stato accolto molto favorevolmente con applausi scroscianti per Speranza Scappucci, che esordisce qui alla Scala nel migliore dei modi, per Marianne Crebassa e i protagonisti uomini, con un vero trionfo per Lisette Oropesa, meritatissimo. Meno significativa l’accoglienza per il regista e i suoi collaboratori.
La recensione si riferisce alla recita del 18 gennaio 2022.
Ugo Malasoma