Soprano | Katia Pellegrino |
Mezzosoprano | Carole Marais |
Tenore | Massimiliano Pisapia |
Basso | Enrico Giuseppe Iori |
Orchestra Sinfonica e Coro Sinfonico Giuseppe Verdi di Milano Diretti Da |
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Romano Gandolfi |
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Esecuzione del Giorno 8 Luglio 2003 All'auditorium di Milano |
In una Milano ripiombata nella piena calura estiva, dopo una settimana di leggera tregua, si stanno esaurendo le ultime proposte musicali della stagione 2002/2003: in questo contesto l'Auditorium di Largo Mahler, nell'ambito della sua stagione sinfonica, ha presentato un interessante, quanto insolito, accostamento di due lavori sacri fra loro diversissimi, accomunati unicamente dall'argomento che dà loro il titolo, ovvero la preghiera che ricorda la sofferenza della Madonna ai piedi della croce in occasione della passione e morte di Gesù. A dire il vero, un altro elemento in comune ai due Stabat Mater ci sarebbe, anche se puramente casuale, e cioè il fatto che entrambe le composizioni ebbero la loro prima esecuzione al di fuori dall'Italia, a Parigi rispettivamente nel 1842 (lo Stabat rossiniano) e nel 1898 (lo Stabat verdiano). Le diversità sono comunque enormi, sia sotto il profilo strettamente formale e di organico (molto breve il lavoro verdiano, costituente parte dei Quattro Pezzi Sacri, decisamente più elaborato e complesso quello rossiniano, passato anche attraverso un rifacimento ed integrale ampliamento della bozza orginaria (presentata per la prima volta a Madrid nel 1833, ma non integralmente composta dal pesarese), sia e soprattutto sotto il profilo stilistico, in quanto in entrambe le opere sono riconoscibilissimi i tratti distintivi caratteristici dei due sommi compositori, trattandosi, oltretutto, di lavori della loro maturità artistica, giunti al termine delle rispettive parabole operistiche. Nella sua brevità, lo Stabat Mater verdiano é esemplare per la capacità dell'autore di concentrare in pochi minuti l'alternarsi dei sentimenti della Vergine ai piedi della croce, così come raffigurati nelle parole della preghiera: a parte qualche momento in cui torna prepotentemente alla luce la drammaticità verdiana (e devo dire che ad un primo ascolto mi ha fatto pensare ad alcuni passaggi della grande scena finale del primo atto del Simone), la cifra stilistica predominante é comunque di carattere piuttosto meditativo ed intimistico, come ben ha evidenziato il Coro Sinfonico Giuseppe Verdi di Milano, in splendida forma, ben supportato dall'Orchestra Sinfonica Giuseppe Verdi, entrambi guidati con mano sicura dal Maestro Romano Gandolfi. Decisamente più noto e di certo più affascinante lo Stabat Mater rossiniano: qui si avverte come il grande Pesarese, pure essendo ormai lontano dalle composizioni operistiche da più di un decennio (infatti il Guglielmo Tell risale al 1829), ha mantenuto comunque una vena compositiva integra e particolarmente ispirata per le voci. Lo dimostrano le splendide arie scritte per il tenore e per il basso ed i pezzi d'assieme delle voci con il coro, dove la maestria polifonica é di prim'ordine (basti l'esempio della fuga finale). Con una gestualità molto contenuta ma decisa, il Maestro Romano Gandolfi ha saputo trarre dall'Orchestra una buona resa complessiva (salvo qualche pasticcio di troppo dei corni), alternando momenti di sonorità piena e travolgente (in alcuni casi forse troppo, a scapito delle voci che risultavano irrimediabilmente penalizzate, e mi riferisco in particolare al finale dell'aria del soprano), a squarci lirici di grande morbidezza quali ad esempio gli interventi iniziali dei violoncelli. Davvero ottima la resa del Coro anche in questa esecuzione: intonazione ineccepibile e buona visione d'insieme da parte di questa compagine, evidenziate soprattutto nei difficilissimi interventi a cappella (splendido il Quando corpus morietur) e nella già citata fuga finale, che mi ha particolarmente impressionato per potenza. Quanto ai solisti, tutti giovani interpreti, alcuni dei quali già in carriera da qualche tempo, devo dire che si è trattato di una prova corretta, ma senza particolari entusiasmi, forse anche perché ai nostri giorni siamo ormai abituati a sentire cantare questo repertorio da veri fuoriclasse, che in questa occasione per la verità non c'erano. Decisamente meglio, a mio parere, le voci maschili, dove ho potuto riascoltare la bella voce di basso di Enrico Giuseppe Iori, confermatosi una buona promessa con prospettive di poter in futuro ricoprire ruoli di maggior spessore; una bella sorpresa è stato il tenore Massimiliano Pisapia, voce dal timbro personale e di impatto gradevole, anche se non di grande volume, almeno a giudicare da quanto ascoltato in questa occasione. Ha superato indenne il difficile scoglio del cuius animam, compreso il re bemolle sovracuto della cadenza finale, ben preso ma tenuto proprio il minimo indispensabile per far sentire che c'era (forse l'emozione... ): una voce da riascoltare in un'opera intera, anche se, leggendo il programma di sala, le sue prossime scelte di repertorio per l'autunno mi lasciano un po' perplesso (Simone e Boheme a Torino - Butterfly a Savona). Se son rose... Meno convincenti le prove delle voci femminili: il mezzosoprano Carole Marais non mi ha particolarmente impressionato e soprattutto il registro centrale era molto poco udibile, forse anche per l'eccessiva sonorità orchestrale in alcuni momenti, mentre il soprano Katia Pellegrino mi è parsa non più che corretta, sicuramente di temperamento (e l'Inflammatus lo esige), ma non particolarmente coinvolgente. Il pubblico ha molto apprezzato l'esecuzione, con chiamate a più riprese per tutti gli artefici di questa bella serata.
Vittorio Zambon