Gabriele | Rosalia Cid |
Uriele | Vassily Solodkyy |
Raffaele | Alessio Arduini |
Adamo | Jan Antem |
Eva | Sabrina Sanza |
Direttore | Fabio Luisi |
Regia | Fabio Ceresa |
Scene | Tiziano Santi |
Costumi | Gianluca Falaschi, Gianmaria Sposito |
Coreografo | Mattia Agatiello |
Luce | Pasquale Mari |
Scenografo collaboratore | Alessia Colosso |
Orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari | |
Coro Ghisleri | |
Fattoria Vittadini | |
Alessandra Bordino, Danilo Calabrese, Enzina Cappelli, Maura Di Vietri, Riccardo Esposito, Samuel Moretti, Maria Giulia Serantoni, Valentina Squarzoni |
“Fiat lux” è l’espressione che deriva dall’inizio del libro della Genesi (1,3): Dio, come primo atto della creazione del mondo, fa sì che nell’universo dominato dalle tenebre risplenda la luce. Espressione che, significativamente, il direttore artistico Alberto Triola ha utilizzato per il titolo della 47ma edizione del Festival della Valle d’Itria. E non soltanto perché l’inaugurazione era affidata a Die Schöpfung (La Creazione) di Franz Joseph Haydn. «“Fiat lux” è quel nuovo inizio – ha sottolineato infatti Triola - dato dalla necessità impellente di un’autentica ri-creazione del mondo, che presuppone il fallimento, il naufragio e di conseguenza l’abbandono di quello fino ad oggi conosciuto, che ci si rivela ad un tratto irrimediabilmente e sorprendentemente vecchio o che, dualmente, fa scoprire noi tragicamente inadeguati».
Un motto beneagurante che ha “sconfitto” la pioggia caduta su Martina Franca e sul Palazzo Ducale sino a pochi minuti prima dell’inizio dello spettacolo, andato regolarmente in scena all’orario stabilito con grande successo. L’oratorio in tre parti per soli, coro e orchestra è stato proposto – oltre che in un’inedita messa in scena - in una nuova versione in italiano rivista da Filippo Del Corno a distanza di trentatré anni dalla traduzione realizzata dal padre, il grecista Dario Del Corno, proprio per il Festival della Valle d’Itria.
Nella composizione del suo oratorio più importante, peraltro raramente eseguito in Italia, Haydn si ispirò alle rappresentazioni dei monumentali lavori di Händel, cui aveva assistito a Londra, ma diede comunque vita ad un’opera personale in grado di far emergere tutta la sua sapiente maestria. Il testo originario, in inglese, è tratto da tre diverse fonti: la Genesi, il Libro dei Salmi e il poema epico di John Milton Paradise Lost (Il Paradiso Perduto). Al suo rientro a Vienna dall’Inghilterra, nel 1795, il compositore affidò la traduzione in tedesco al barone Gottfried van Swieten. L’oratorio fu rappresentato per la prima volta in forma privata il 29 aprile 1798 nel Palazzo del principe Schwarzenberg di fronte alla nobiltà viennese, mentre la prima esecuzione pubblica avvenne il 19 marzo 1799 al Burgtheater di Vienna, con la direzione dello stesso Haydn e con Antonio Salieri al clavicembalo.
Le prime due parti descrivono i primi sei giorni della Creazione, mentre la terza si svolge nel giorno del riposo nel giardino dell’Eden, dove Adamo ed Eva si sostituiscono come personaggi principali ai tre arcangeli delle due parti precedenti: Gabriel, Uriel e Raphael. Secondo molti studiosi la struttura tripartita dell’opera e la scelta delle voci soliste sarebbero un chiaro riferimento all’ideologia massonica (Haydn venne infatti iniziato il 4 febbraio 1785 nella Loggia “Alla Vera Armonia” di Vienna alla presenza di Mozart), per la quale il numero tre aveva un significato molto importante rappresentando anche la sintesi dei concetti di libertà, uguaglianza e fratellanza. Senza ovviamente dimenticare lo straordinario passaggio iniziale dal buio alla luce, strettamente imparentato con la vittoria della luce sulle tenebre con cui si conclude trionfalmente l’Ouverture del Flauto magico. E ancora il recitativo e il duetto di Adamo ed Eva che sembra reinterpretare quello mozartiano tra Papageno e Papagena. Come è stato più volte autorevolmente sottolineato, con quest’ultimo suo grande capolavoro Haydn annuncia, con la sua perfetta fusione della vocalità con il linguaggio strumentale, ciò che l’Ottocento romantico avrebbe portato a compimento nella sua grande stagione sinfonica.
L’esecuzione musicale era affidata alla bacchetta di Fabio Luisi, che diresse La Creazione anche nella rappresentazione concertistica del 1988. Sul podio dell’ottima Orchestra del Teatro Petruzzelli, il direttore musicale del Festival, con la consueta cura del suono sempre gestito mirabilmente, ha messo perfettamente in risalto tutte le dettagliate dinamiche della partitura, dalla torbida “Rappresentazione del Caos” iniziale alla prima alba sugli idilliaci giardini dell’Eden.
Per capacità vocali e forza espressiva sono state molto convincenti le prove dei tre arcangeli: il soprano Rosalia Cid (Gabriele), il tenore Vassily Solodkyy (Uriele) e il basso Alessio Arduini (Raffaele). Adeguata anche la coppia Adamo ed Eva, formata da due giovani artisti dell’Accademia del Belcanto “Rodolfo Celletti”: il baritono catalano Jan Antem e il soprano Sabrina Sanza. In questo oratorio il coro, quasi come nella tragedia greca, svolge funzioni di commento narrativo. E anche per la posizione in cui era stato collocato – in alto ai due lati del palco, alternativamente avvolto dalle tenebre e rischiarato dalla luce - il Coro Ghislieri, autore di una prova pregevole, si è immedesimato totalmente e visivamente in questo ruolo.
Merito anche della regia di Fabio Ceresa, che ha realizzato una “mise en scene” (non prevista originariamente) di indubbia efficacia e di notevole impatto visivo (pur con qualche isolato sconfinamento nel kitsch), al cui successo hanno contribuito i movimenti coreografici di Mattia Agatiello, eseguiti dai bravi danzatori della Fattoria Vittadini, i costumi di Gianluca Falaschi e le scene di Tiziano Santi. Dopo le tenebre iniziali l’enorme uovo nero presente in scena si è rotto al momento del “Fiat Lux”, facendo uscire Dio (interpretato da uno dei danzatori) con sembianze mozartiane e androgine settecentesche che rendevano molto bene il sogno dell’Illuminismo e della fiducia nell’Uomo. E da lì in poi la Creazione musicale delle prime sei giornate è stata accompagnata in scena da una corrispondenza visiva con le arti liberali, ben riuscita anche se a volte troppo didascalica. Non sono mancati ricorsi a simboli e forme geometriche, che d’altronde si sposavano perfettamente anche con la matrice massonica dell’opera. Fra i momenti più suggestivi i diversi “tableau vivant” che spaziavano dal “Cenacolo” di Leonardo al “Ratto di Proserpina” e al “Laocoonte” di Bernini per arrivare alla “Venere di Milo” e al “Discobolo” di Mirone.
Alla fine applausi calorosissimi per tutti gli interpreti da parte degli spettatori disposti rigorosamente a distanza e a scacchiera.
La recensione si riferisce alla serata del 17 luglio 2021.
Eraldo Martucci