Il Conte di Luna | Massimo Cavalletti | |
Leonora | Roberta Mantegna | |
Azucena | Veronica Simeoni | |
Manrico | Luciano Ganci | |
Ferrando | Davide Giangregorio | |
Ines | Fiammetta Tofoni | |
Ruiz / Un messo | Didier Pieri | |
Zingaro | Massimiliano Mandolozzi | |
Direttore | Vincenzo Milletarì | |
Luci | Ludovico Gobbi | |
Immagini fotografiche | Ernesto Scarponi | |
Maestro del coro | Martino Faggiani | |
Altro maestro del coro | Massimo Fiocchi Malaspina | |
Orchestra Filarmonica Marchigiana | ||
Coro Lirico Marchigiano "Bellini" |
Nel decidere di mantenere nel cartellone di Macerata Opera 2020 il programmato Trovatore ma in forma di concerto, molto ha inciso il fatto che la parte scenica fosse la terza riproposta del pur apprezzabile allestimento curato da Francisco Negrin, già visto nel 2013 e 2016 e quindi in un certo senso “sacrificabile” per avere comunque la possibilità di ascoltare una seconda opera con tutti crismi della sicurezza dopo la felicissima inaugurazione con il Don Giovanni. E’ anche vero che la forma di concerto come viene oggi intesa è quasi sempre assimilabile a una semiscenica, per gli ingressi ragionati sul palco dei cantanti con la totale assenza di leggìo, una serie di studiati e appropriati movimenti e un disegno luci che non ha mancato di trovare delle belle soluzioni (molto meno, a vero dire, le generiche ed evitabilissime proiezioni di cieli e luna su porzioni di muro dello Sferisterio).
I motivi d’interesse erano comunque solidi, dal debutto in Italia del trentenne direttore pugliese Vincenzo Milletarì, già in carriera nei teatri di area scandinava, ai debutti nei rispettivi ruoli di Leonora e Azucena di Roberta Mantegna e Sonia Ganassi, quest’ultimo cancellato per gravi motivi personali.
Riguardo la prova del direttore è bene fare un’opportuna premessa: quando si concedono interviste sul proprio lavoro e sulla propria visione direttoriale di un’opera, rilasciare dichiarazioni di un certo peso come “non ho la testa per seguire la carriera del Kapellmeister, che oltre a salire sul podio per repliche o spettacoli di repertorio, cura anche la concertazione delle opere in sala prove” o “il mio primo insegnante di direzione è stato Umberto Benedetti Michelangeli, bravo, squisita persona ma non troppo pratico di opera lirica”, potrebbe suscitare nell’ascoltatore l’aspettativa di trovarsi di fronte a qualcosa di dirompente, non necessariamente nel solo bene, salvo poi trovarsi ad ascoltare e a pensare più prosaicamente “chissà che mi credevo…”.
Ed infatti, a fronte di un gesto ampio ma anche eccessivamente energico in parecchi punti, la direzione di Milletarì non si è distinta per particolari approcci interpretativi, risultando anzi a volte frammentata in dilatazioni di tempi e successivi restringimenti che, pur non scadendo nel bandistico grazie anche alla qualità della Filarmonica Marchigiana, non davano la minima unità di narrazione alla vicenda musicale. Belle, di contro, alcune soluzioni tecniche volte a “spegnere” progressivamente l’orchestra a chiusura di alcuni numeri, come il racconto di Ferrando o Ai nostri monti, ma sempre come momenti isolati nel quadro di una sostanziale mancanza di una visione della partitura come racconto fluido e non diviso per blocchi. La mancanza di prove e la situazione generale possono certo avere avuto il loro peso, per cui speriamo che il continuo studio e la pratica possano affinare la sensibilità del giovane direttore.
E’ quantomeno particolare debuttare nella parte di Leonora con la versione francese dell’opera e successivamente con quella “corrente” italiana: Roberta Mantegna ha dunque aggiunto questo ulteriore tassello a una carriera che nel giro di un paio d’anni l’ha vista protagonista di produzioni sui più importanti palcoscenici. La voce è ben proiettata e ha una sua consistenza, soprattutto nel non debordare in suoni poco gradevoli nel sollecitato registro centro-grave anche se quello acuto appare non ugualmente sicuro, con il timbro che tende a farsi più acidulo. Buone anche la tecnica di coloratura e soprattutto la gestione dei fiati, che le consente di reggere senza sforzo apparente la dilatazione dei tempi del direttore. A fronte di queste caratteristiche è spiccata ancora di più una carenza di fraseggio piuttosto evidente in particolare nelle due arie (la seconda, soprattutto, corretta e nulla più), e in generale lungo tutto il primo atto, che a volte ha rischiato di sconfinare nella noia, mentre qualcosa in più è sembrato farsi strada nel duetto con il baritono. Niente di compromettente, per essere un debutto nelle difficili condizioni di una faticosa ripresa dell’attività artistica, ma un elemento di cui dover tenere conto.
Solida la prova di Luciano Ganci, che conferisce a Manrico tutta la giovanile irruenza che gli compete grazie a un timbro tuttora di notevole bellezza, un canto appassionato e tecnicamente sicuro fin dalla sortita al primo atto e una lodevole capacità di chiaroscurare l’emissione nei momenti più distesi come in quelli più irruenti. Peccato per il canonico (ma oggi sempre di meno) abbassamento della pira e una qualche tensione in Ah quest’infame l’amor venduto prontamente riassorbita nel finale.
Giunta a Macerata quasi all’ultimo momento, Veronica Simeoni ha disegnato un personaggio di rara completezza vocale e interpretativa, lontanissima anni luce dal clichè della vecchia megera che ancora troppo spesso affligge il personaggio, convenientemente giovane e di stampo squisitamente lirico ma con una voce adatta per peso specifico. Svettanti e luminosi gli acuti (compreso il do nel duetto con Manrico) saldati al resto della voce con ammirevole compattezza, mai pompati i gravi, vivo e palpitante il fraseggio nel disegnare una madre non completamente pazza ma sofferente, quella che dovrebbe essere pur sempre una donna di circa trentacinque anni, non una sessantenne in disarmo.
Massimo Cavalletti ha voce ampia e ben timbrata, ma le qualità relativamente alla sua prestazione si fermano qui: rozzo il fraseggio, duri e fibrosi tutti gli acuti, dinamiche praticamente ridotte al lumicino, insomma una serata praticamente da dimenticare.
Alternare Masetto a Ferrando anche in serate consecutive non è impresa da poco, ma Davide Giangregorio si disimpegna bene senza barare sulla sua natura vocale, chiara e non debordante ma che applica con intelligenza al personaggio.
Molto ben scelte le parti di fianco, dalla intensa Ines di Fiammetta Tofoni al musicalissimo Ruiz di Didier Pier al sonoro vecchio zingaro di Massimiliano Mandolozzi. Coro che al netto di un paio di scivolate del settore femminile si è mostrato all’altezza della situazione, anche considerando l’ampio distanziamento.
Il pubblico non ha decretato il tutto esaurito come nella serata inaugurale del festival, ma ha comunque salutato con entusiasmo questa ulteriore ripresa della musica dal vivo.
La recensione si riferisce allo spettacolo del 26 luglio 2020.
Domenico Ciccone