Otello | Kristian Benedikt |
Desdemona | Francesca Sassu |
Jago | Angelo Veccia |
Emilia | Simona Di Capua |
Cassio | Tatsuya Kashi |
Roderigo | Marco Miglietta |
Lodovico | Andrea Comelli |
Montano | Federico Cavarzan |
Un araldo | Roberto Agnello |
Direttore | Andrea Certa |
Regia | Andrea Cigni |
Scene e costumi | Tommaso Lagatolla |
Luci | Fiammetta Baldiserri |
Assistente alla regia | Luca Baracchini |
Assistente scenografo e costumista | Francesco Ceo |
Maestro del Coro | Fabio Modica |
Maestro del Coro di Voci Bianche | Roberta Caly |
Orchestra, Coro e Corpo di ballo del Luglio Musicale Trapanese |
È bastato un malizioso manifesto pubblicitario raffigurante un uomo nudo sotto la doccia ed un’anticipazione via social di una scena in cui si sarebbero visti un paio di piselli al vento per far scatenare, con una decina di giorni di anticipo sulla data della prima recita, le orde di pseudo melomani detentori della verità assoluta. Quelli a cui basta un paio di foto per sentenziare se la regia è valida, se lo spettacolo è rispettoso dell’autore e, dalla postura dei cantanti, persino se questi hanno una tecnica valida oppure sono delle ciofeche. Tutto ciò ha creato su questa nuova produzione dell’Otello verdiano presentata dal Luglio Musicale Trapanese un clima di forte curiosità e attesa. Di ciò vanno fatti i complimenti agli organizzatori mentre ai soliti fenomeni che non hanno ancora capito che sugli spettacoli ci si può esprimere solo dopo averli visti, diciamo: tanto rumore per nulla in quanto, lo spettacolo firmato da Andrea Cigni ha funzionato benissimo nel pieno rispetto di tutto e di tutti; quanto meno di quelli con almeno una manciata di neuroni funzionanti.
La vicenda è ambientata presumibilmente nel periodo fra il 1912 ed i primi anni ’40 del secolo scorso, quando le truppe italiane controllavano alcune le isole del Dodecaneso. Il comandante della guarnigione di stanza sull’isola si chiama Moro ed è di pelle bianca. Scelta che Andrea Cigni spiega nelle sue note di regia: “Mi sono allontanato volontariamente da Otello descritto come un nero (o negro) comandante vittima di un perfido alfiere indicato come un diavolo accecato dall’invidia, seguendo il concetto (descritto anche da saggisti come Tomasi di Lampedusa) in cui il Moro è un condottiero latino (veneziano), e che probabilmente Moro è il cognome stesso del condottiero. Insomma: m’interessa raccontare una storia, non il colore della pelle di uno dei personaggi; questione che peraltro non interviene minimamente nello sviluppo della storia stessa.”
In effetti, è tutt’altro che peregrina l’ipotesi che il “Moro di Venezia” fosse Cristoforo Moro, un patrizio Veneziano che nel 1505 partì da Venezia in direzione Cipro con il ruolo di luogotenente e tornò tre anni dopo presso la capitale della Serenissima con il grado di capitano di quattordici galee.
La lettura di Cigni non si limita ad un Otello di carnagione bianca ma seguendo il solco dell’idea shakespeariana rende i principali protagonisti dell’opera decisamente più umani, rispetto alla visione boitiana, intervenendo soprattutto sulla figura di Iago, in questa occasione rappresentato come un uomo perdente, frustrato e pertanto invidioso a livelli patologici. Una lettura registica che ha rispettato totalmente la drammaturgia dell’opera e solamente in un’occasione ci è parsa cozzare, fastidiosamente, per quanto banalmente, col libretto: ci riferiamo ad una delle apparizioni in scena più plateali e altisonanti del protagonista, quando nel primo atto interviene per sedare il sanguinoso litigio tra Cassio e Montano, cantando quell’ “Abbasso le spade!” che deve risuonare a sua volta forte e incisivo come una sciabolata. Quindi una frase che scuote e non passa certamente inosservata. Peccato che i due soldati si stessero azzuffando senza nessuna arma da taglio; visto il periodo in cui è stata trasportata la vicenda sarebbe bastato dare in mano a Cassio e Montano una baionetta. Una piccola cosa che non avrebbe tolto un grammo all’idea registica e non avrebbe creato fastidio a nessuno.
La tanto attesa scena della pruderie, per intenderci, quella della doccia si è svolta nel primo atto con grande naturalezza e senza alcuna volgarità. Iago e Roderigo sono sulla porta del locale docce; all’interno due commilitoni si stanno lavando e Cassio è intento ad asciugarsi. In quel frangente Iago sussurra a Roderigo: “E una cagion dell'ira, eccola, guarda.” Indicando Cassio “Quell'azzimato capitano usurpa il grado mio”.
I due nudi non erano necessari? La stessa scena si sarebbe potuta svolgere con i tre soldati seduti intorno ad un tavolo impegnati in una partita a carte? Certamente sì, ma va detto che tutto è parso sensato e realizzato senza intenti provocatori. Davvero molto accurato il lavoro effettuato da Cigni sulla recitazione ed i movimenti di tutti gli artisti, svecchiati di quelle affettazioni spesso presenti sui palcoscenici d’opera. Tutti si sono mossi con grande naturalezza, rendendo grande realtà e dandoci quasi l’impressione di assistere ad un prodotto cinematografico. Ben realizzato e di notevole suggestione l’impianto scenico di Tommaso Lagattola (autore anche degli appropriati costumi) il quale, utilizzando una piattaforma rotante mossa manualmente, ha consentito di passare velocemente dal locale doccia alla successiva taverna, dall’ufficio di Iago e Cassio alla camera di Desdemona, tutti ricostruiti con cura e credibilità.
Andrea Certa ci ha dato immediatamente la sensazione di aver sposato in pieno le idee registiche di Cigni in un’intelligente quanto fondamentale comunione d’intenti. Lo si è notato soprattutto nel profondo lavoro musicale effettuato dal direttore trapanese con i cantanti. Certa ha diretto la complessa partitura verdiana con mano sicura ottenendo dalla valida Orchestra del Luglio Musicale Trapanese dinamiche di grande effetto, raffinati cromatismi e colori vari ed intensi. Inoltre, l’accompagnamento di Certa nei momenti topici non è mai slentato o fine ha sé stesso ma riesce sempre ad emozionare contribuendo ad innalzare la tensione drammatica: ci riesce facendo suonare meravigliosamente i violoncelli durante l’introduzione al duetto d’amore del primo atto “Già nella notte densa” e ci riesce altrettanto bene durante la difficile scena finale di Desdemona sotto la quale Certa ha srotolato una preziosa filigrana sonora. DI rilievo anche la sicurezza con cui ha condotto il grande concertato del terzo atto e l’attenzione mostrata durante tutta l’opera nel non essere mai prevaricante nei confronti delle voci ma mantenendo sempre il giusto equilibrio sonoro tra buca e palcoscenico.
Kristian Benedikt del ruolo di Otello ha dimostrato di possedere non solamente tutte le note – che già non sarebbe poco – ma anche la giusta proiezione vocale per riuscire a superare i momenti dove il volume orchestrale non concede sconti nonché, dal punto di vista interpretativo, il necessario per rendere gli squilibri insiti nel carattere del personaggio. Certamente la ricerca dei colori e di alcune sfumature, soprattutto durante il duetto del primo atto è risultata un po’ povera ma, alla fine compensata dalla sicurezza con cui il tenore lituano è giunto alla fine della recita. Qualche efficace mezzavoce ce l’ha fatta ascoltare durante il “Dio mi potevi scagliar” mentre intenso negli accenti drammatici è risultato il suo “Niun mi tema”. Certamente uno dei migliori tenori in grado di cantare Otello, oggi disponibili su piazza.
Al suo fianco la splendida Desdemona di Francesca Sassu - debuttante nel ruolo - la quale si è presentata a questo appuntamento in forma vocale smagliante. La sua è una Desdemona caratterialmente forte, ben centrata nel solco interpretativo dettato dal duo Cigni-Certa, per nulla incline a sottomettersi passivamente agli squilibri emotivi del marito; tanto è vero che quando Otello le dà della “vil cortigiana” gli risponde mollandogli un sonoro ceffone. Sfaccettature del carattere che il soprano sardo ha saputo evidenziare con un canto quanto mai vario ma sempre perfettamente omogeneo nell’emissione. La sua è una Desdemona dagli accenti intensi ed al contempo raffinati, di timbro chiaro e bellissimo, doti che unite ad una tecnica di emissione sicurissima le hanno consentito d’essere emotivamente coinvolgente in più di un momento. Una prestazione di alto livello suggellata da una “canzone del salice” impreziosita da splendide mezzevoci.
Iago è forse il personaggio che più di tutti ha “subito” gli interventi interpretativi richiesti da questa regia e particolarmente bravo è risultato Angelo Veccia nell’offrire un’esecuzione vocalmente ripulita da tutti quegli effetti tipicamente mefistofelici presenti nella lettura boitiana del ruolo. Quindi portamenti ridotti al minimo e risatacce eliminate. Veccia si è mostrato vocalmente sicuro, musicalmente preciso e solo in occasione del duetto con Otello “Si pel ciel… “leggermente in deficit di volume.
Simona Di Capua nel ruolo di Emilia ha saputo evidenziarsi più che positivamente per la raffinata ed efficace recitazione, nonché per la precisione dei suoi interventi musicali.
Non è certamente passato inosservato il vocalmente possente Lodovico di Andrea Comelli, tra l’altro dotato anche di un’ottima recitazione e di un non indifferente physique du rôle.
Appena sufficiente il Cassio di Tatsuya Kashi dall’intonazione non irreprensibile e dalla proiezione vocale un po’ debole.
Buoni il Roderigo squillante di Marco Miglietta e l’efficace Montano di Federico Cavarzan.
Positivo anche l’Araldo di Roberto Agnello.
È diventato quasi scontato decantare le doti del magnifico Coro del Luglio Musicale Trapanese preparato stupendamente da Fabio Modica del resto, anche in questa occasione, è stato protagonista di una prova perfetta sia sotto l’aspetto puramente vocale sia dal punto di vista musicale.
Al termine i primi applausi più che meritati sono andati agli operai che per tutta la durata dell’opera hanno spinto la piattaforma rotante consentendo i veloci e puntali cambi di scena. Successivamente calorosissimi applausi sono stati riservati a tutti i protagonisti della rappresentazione.
La recensione si riferisce allo spettacolo del 13 agosto 2019.
Danilo Boaretto