Maurice Ravel | Pavane pour une infante défunte |
Aleksandr Skrjabin | Concerto per pianoforte e orchestra in fa diesis minore, op. 20 |
Felix Mendelssohn | Sinfonia n. 4 in la maggiore "Italiana" |
Orchestra del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo |
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Direttore | Valerij Gergiev |
Pianoforte | Abisal Gergiev |
Valerij Gergiev, che furbacchione! Al termine di una serata dalla durata teorica di poco più di sessanta minuti – una soluzione scelta da molte realtà sinfoniche per evitare gli assembramenti durante l’intervallo – propone due bis sostanziosi: il Prélude à l’après-midi d’un faune e l’ouverture dal Die Fledermaus straussiano, per un totale di altri venti e più minuti di musica e regalando al pubblico di Lugano un concerto dalla durata canonica di un’ora e mezza. Senza intervalli: gli ascoltatori ringraziano e applaudono copiosamente.
È stato un vero trionfo la serata inaugurale della stagione 2020-21 di Lugano Musica. Merito dei “cerimonieri” Gergiev e la sua Orchestra del Teatro Mariinksij di San Pietroburgo, una delle più rinomate compagini orchestrali del mondo: non poteva chiedere di meglio il pubblico ticinese per poter tornare ad assistere a un concerto nel suo auditorium dopo i mesi di lockdown.
Serata iniziata, come tante in questo periodo di ripresa delle attività, con il saluto del sovrintendente ad un pubblico che da troppo tempo non poteva prendere posto in sala: «La cosa più bella è che, malgrado le mascherine, ci conosciamo e ci salutiamo» esordisce Etienne Reymond. Il suo discorso è breve e si limita a ricordare le norme di sicurezza («ma vi assicuro che dopo trenta secondi di questa musica ci si dimentica di star indossando la mascherina») e lascia spazio al direttore russo e ai suoi musicisti.
Si apre sulla dolce melodia della Pavane pour une infante défunte di Maurice Ravel un concerto che ha visto l’Orchestra e Gergiev al loro massimo splendore; un piccolo lavoro, in origine per pianoforte e in seguito orchestrato dal compositore stesso, proprio colui che mai l’apprezzò e mai riuscì a spiegarsene il successo (a suo dire “frutto di un malinteso”…). Chissà cosa ne avrebbe pensato se avesse avuto la possibilità di ascoltare l’interpretazione del Mariinskij: nonostante la riduzione del numero degli archi per il distanziamento, è una piccola gemma, elegante e soffusa, in cui ogni minima sfumatura – dinamica, timbrica e agogica – viene esaltata a creare un’atmosfera quasi onirica.
Gergiev è tutt’uno con l’orchestra che dirige: con un minimo cenno del suo proverbiale stuzzicadenti riesce a dosare minuziosamente ogni singola nota emessa. E se nella Pavane il tutto concorre ad esaltare la raffinatissima capacità di Ravel di giocare coi timbri orchestrali, nella Sinfonia n. 4 di Mendelssohn questa sorta di unione spirituale tra il direttore e la sua orchestra ne evidenzia lo spirito più gaio e scatenato: da più di trent’anni oramai Gergiev dirige il Mariinskij e gli effetti della sua attività sulla grande istituzione russa non sembrano essersi scalfiti minimamente, anzi, sembrano destinati a durare ancora a lungo, tanto è il carisma che il direttore esercita su di esso. Ormai gli bastano pochi basilari gesti con le braccia per cavare dall’orchestra il suono che desidera.
Tra i due lavori si è ascoltato il Concerto per pianoforte in fa diesis minore, op. 20 di Aleksandr Skrjabin, con il figlio del direttore come solista. Abisal Gergiev, vent’anni e una sicurezza da pianista navigato: dita agili con un ottimo controllo delle mani sulla tastiera, sa bilanciarsi egregiamente tra le difficili parti più tecniche e un’espressività raffinata. Si consideri che anche Skrjabin fu un esponente di quella categoria di compositori-pianisti virtuosi della Russia primonovecentesca, il cui esponente più noto fu Rachmaninov. Questo unico concerto da lui composto nel 1896 a venticinque anni non rappresenta lo Skrjabin che verrà, quello mistico e visionario; rappresenta un grande virtuoso del pianoforte che sciorina frasi come fossero noccioline in una temperie motivica dallo spettacolare atletismo pianistico. Bravissimo e coraggioso il giovane Gergiev a cimentarsi in un concerto così impegnativo, per quanto poco noto.
Taluni dicono che i figli d’arte si trovino la strada già spianata dal genitore noto; talaltri che invece debbano faticare il triplo per dimostrare di non essere da meno del suddetto genitore. Per quello che vale, accolgo Abisal Gergiev con le medesime e famose parole che il poeta Ralph Waldo Emerson scrisse ad un giovane Walt Whitman: «I greet you at the beginning of a great career».
La recensione si riferisce al concerto del 21 settembre 2020.
Emiliano Michelon