Manon Lescaut | Monica Zanettin |
Lescaut | Marcello Rosiello |
Il Cavaliere Renato des Grieux | Dario Di Vietri (sostituito dal 2° atto da Paolo Lardizzone) |
Geronte di Ravoir | Alberto Mastromarino |
Edmondo / Maestro di Ballo / Lampionaio | Cristiano Olivieri |
L'oste / Un sergente degli arcieri | Marco Innamorati |
Un musico | Sandra Pastrana |
Un comandante di marina | Alessandro Ceccarini |
Direttore | Roberto Gianola |
Regia | Aldo Tarabella |
Scene | Giuliano Spinelli |
Costumi | Rosanna Monti |
Coreografia | Luigia Frattaroli |
Luci | Marco Minghetti |
Maestro del Coro | Marco Bargagna |
Orchestra della Fondazione Festival Pucciniano | |
Coro Arché | |
Nuovo allestimento del Teatro del Giglio di Lucca Coproduzione Teatro del Giglio di Lucca, Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena, Teatro A. Galli di Rimini, Teatro Alighieri di Ravenna, Teatro Verdi di Pisa, Teatro Comunale di Ferrara |
Ci sono serate in cui il teatro sembra possedere una forza sovrannaturale, che lo rende capace di sopravvivere a qualsiasi evento o avversità. Come se non bastasse la spada di Damocle dei positivi al Covid che rendono qualsiasi produzione a rischio, a Lucca prima del debutto della nuova Manon Lescaut sono fioccate le indisposizioni - per così dire - “generiche” per malanni di stagione nell'orchestra, che pare abbiano costretto a rocambolesche sostituzioni. A poche ore dall'inizio della prima si è quindi ammalato Saverio Pugliese, interprete previsto per Edmondo, costringendo il tenore Cristiano Olivieri, già titolare dei ruoli del Maestro di ballo e del lampionaio, ad accollarsi pure il ruolo del giovane studente che apre l'opera, eseguito al leggio mentre il figurante Murat Can Guvem, che conosceva la regia, lo impersonava muto sul palcoscenico.
Ce ne era già abbastanza, ma ancora nulla rispetto a quanto accaduto durante il primo atto, con l'altro tenore Dario Di Vietri, impegnato nel ruolo di De Grieux che sin dalla prime frasi - stonate, come buona parte di quelle che sono seguite - si è immediatamente rivelato in forma assai precaria e, giunto a “Donna non vidi mai”, dopo un paio di stecche provocate da evidenti gocce (o qualcosa di più) di muco si è dovuto addirittura arrestare, fermando del tutto la recita, consolato da un comprensivo applauso del pubblico. Panico, esecuzione che ricomincia saltando la parte rimanente del brano, atto terminato dal cantante con la forza di volontà e disappunto dei presenti per la sorte della recita. Prima dell'inizio del secondo atto viene annunciata l'improvvisa indisposizione di Di Vietri, ringraziando il tenore previsto per la recita domenicale, Paolo Lardizzone, di avere accettato di prendere il posto del collega.
Nessuno si aspettava un miracolo, anche perché il sostituto, oltre a non avere potuto scaldare la voce (e il ruolo è semplicemente uno dei più impegnativi dell'intero repertorio operistico), non aveva neppure mai provato con la protagonista Monica Zanettin. Invece, come per incanto, l'esecuzione ha subito ingranato la marcia giusta, trasformandosi da una potenziale catastrofe in una godibile serata di teatro musicale.
Buona, innanzi tutto, la regia di Aldo Tarabella, tradizionale nel dare rilievo agli eleganti costumi di Rosanna Monti e con un impianto scenico essenziale (di Giuliano Spinelli) basato su un un unico grande elemento - pressoché fisso per i primi tre atti - che rappresenta la facciata di un'abitazione inclinata, secondo una moda ormai risalente alla Tosca scaligera di Luca Ronconi del 1997, dopo la quale sono proliferate le scene costruite sghembe.
Nel terzo atto, con un'altra spettacolare “ronconata”, la facciata ruota trasformandosi in un enorme costone di roccia. Al di là della piacevolezza dell'impatto visivo, lo spettacolo è particolarmente curato nella regia vera e propria, che ha ritmo e linearità, con una rifinitura del lavoro su tutti gli interpreti e sulle masse davvero minuziosa. Le coreografie di Luigia Frattaroli e il raffinato disegno luci di Marco Minghetti contribuiscono a rendere gradevole alla vista lo spettacolo.
Buon mestiere nella direzione di Roberto Gianola, poco apprezzabile nel primo atto nel quale si coglie poco più dell'attenzione alla sopravvivenza, viste le magagne sopra esposte, con l'Orchestra del Festival Pucciniano che scricchiola e l'insieme che ha qualche sbandamento anche al di là dei problemi dei singoli. Esecuzione molto più distesa in buca a partire dal secondo atto, condotto con buon ritmo teatrale, dove si ascoltano buone sottolineature delle oasi liriche e apprezzabile piglio nei passi più concitati, come nel finale terzo, con la stretta conclusiva nitida ed energica come si deve. Funzionale l'apporto del Coro Arché.
Ottimo esordio nel ruolo del titolo per Monica Zanettin, che mantiene la calma nel corso del problematico primo atto per poi prendere pieno possesso della recita a partire dal secondo con “In quelle trine morbide”, eseguita con una precisione, un gioco di modulazioni e un'intensità interpretativa tali da scatenare un lungo e liberatorio applauso.
La cantante trevigiana possiede uno strumento pienamente lirico, se non di vero lirico spinto, di bel colore e di buon volume, ma soprattutto omogeneo e dotato di centri corposi e rotondi che si espandono con facilità. Una voce particolarmente adatta a Manon Lescaut cui presta una bella figura in scena e un gusto raffinato nel porgere che, anche nelle pagine più scopertamente drammatiche, la frena dagli eccessi espressivi.
Dopo quanto accaduto nel primo atto l'ingresso in scena di Paolo Lardizzone fa pensare a un'invasione aliena, tanta è la sorpresa di ascoltare un tenore che, pur nelle circostanze sopra narrate, non mostra alcun segno di tensione e, senza fare una piega, esegue il lungo e stremante duetto col soprano con una musicalità a prova di bomba e suoni sempre avanti, squillanti su tutta la gamma. Livello mantenuto lungo i due atti successivi per il piacere e per un certo sbigottimento generale nell'ascoltare un nome italiano, sì, ma sinceramente poco conosciuto in patria, eseguire con tanta sicurezza un ruolo-monstre come De Grieux. Lardizzone è efficace anche nel trovare subito sintonia con la Zanettin e recita pure con molta disinvoltura, rifinendo ogni gesto. Una follia che i teatri nazionali non se lo contendano. Il fatto che il timbro non sia sopraffino e che risulti un po' chiaro e secco (ma non sgradevole) e che la voce manchi di particolare ampiezza sono solo dettagli a fronte di tante dosi musicali e della tenuta mostrata in questa recita, condotta senza una sola sbavatura.
Marcello Rosiello gioca molto sugli accenti riuscendo a caratterizzare efficacemente il sempre problematico ruolo di Lescaut, che non emergerebbe a fronte di una semplice esecuzione corretta. Stessa linea seguita da Alberto Mastromarino che tira fuori tutta la sua lunga esperienza di fraseggiatore nel proporre un Geronte baritonale (la scrittura sarebbe per basso), capace di imporsi come personaggio di forte spessore.
Onorevole la prova di Cristiano Olivieri che oltre ad eseguire corretaamente le frasi del Maestro di ballo e del Lampionaio se la cava con dignità nel coprire il non brevissimo ruolo di Edmondo, cantato quasi a vista.
Più che discreto l'intervento del Musico di Sandra Pastrana, anche molto brava in scena, più a suo agio come Oste che come Sergente degli arcieri il tonante Marco Innamorati e sonoro pure il Comandante di marina di Alessandro Ceccarini.
Teatro del Giglio pressoché esaurito come pure apparve in occasione della Traviata (di questi tempi è tutt'altro che scontato) e lunghi e sonori applausi per tutti, con meritati festeggiamenti finali per la Zanettin e per Lardizzone.
La recensione si riferisce alla recita del 28 gennaio 2022.
Fabrizio Moschini