Mamma Agata | Laurent Naouri |
Daria, prima donna | Patrizia Ciofi |
Procolo, suo marito | Charles Rice |
Luigia, seconda donna | Clara Meloni |
Guglielmo, primo tenore | Enea Scala |
Biscroma, direttore d'orchestra | Pietro Di Bianco |
Cesare, poeta | Enric Martinez-Castignani |
Pippetto | Katherine Aitken |
L'impresario | Piotr Micinski |
Il direttore del teatro | Dominique Beneforti |
Direttore | Lorenzo Viotti |
Regia e costumi | Laurent Pelly |
Scene | Chantal Thomas |
Luci | Joel Adam |
Orchestra e Coro dell'Opéra di Lione |
Il metateatro è probabilmente antico come il teatro stesso, ed è curioso notare come certe dinamiche restino pressoché invariate nei secoli, così da mantenere una freschezza e un’attualità invidiabili. Come era prevedibile, il regista francese Laurent Pelly, ormai una garanzia per quel che concerne il repertorio più comico e brillante, avvicina il dramma giocoso di Donizetti ai tempi nostri, anziché andare a ricercare le sue origini settecentesche, dal sapido libello Il teatro alla moda di Benedetto Marcello alle commedie goldoniane. Viene scelta la più spendibile seconda versione dell’opera, quella andata in scena nel 1831 al milanese Teatro della Canobbiana, anziché l’originale farsa del 1827 che aveva visto la luce a Napoli: più spendibile in quanto i recitativi secchi finiscono per essere più naturali per i cantanti rispetto ai dialoghi parlati, e in quanto nessun personaggio si esprime in napoletano, dialetto di per sé già molto scabroso per gli italiani non partenopei, figuriamoci per i francofoni. Il titolo originale, ossia Le convenienze ed inconvenienze teatrali viene lasciato da parte per l’apocrifo Viva la mamma!, chiaramente un omaggio a Mamma Agata, il personaggio più caratteristico (e ingombrante) dell’opera, anche se resta il dubbio che questo titolo vada molto all’estero in quanto rafforzi lo stereotipo della mamma come figura fondante della società italiana: italiani mammoni e mammocentrici, insomma. Mentre in Italia, più che altro, tende a ricordare una delle canzoni più celebri di Edoardo Bennato, risultando così fuori luogo.
L’allestimento di Pelly sembra guardare soprattutto al mondo del musical americano, che infatti dell’idea dello “spettacolo nello spettacolo” ha fatto un genere a sé stante, da 42nd Street a Kiss me, Kate (di Cole Porter) fino al trionfale A Chorus Line. E gli americani hanno pure inventato un termine per indicare le madri pronte a tutto per far sfondare i figli nel mondo dello spettacolo, ossia Stage Mother, il cui massimo esempio è la realmente esistita Mama Rose del musical Gypsy di Jule Styne. E in effetti l’incitazione “Canta Luigia!” di Mamma Agata sembra ricalcare il celebre “Sing out, Louise!” di Rose. Ma lo spunto principale di Pelly sembra provenire da un altro musical ancora, uno dei capolavori assoluti del genere ma tendenzialmente poco noto in Italia: Follies di Stephen Sondheim, del 1971. In un teatro di varietà degli anni Quaranta, ormai abbandonato e destinato a diventare un parcheggio, si ritrovano invecchiate le star delle Follies(sorta di spettacolo di varietà ma più grandioso) dei decenni passati, a confrontarsi con i fantasmi della loro giovinezza.
E Le convenienze messe in scena da Pelly si aprono proprio in un teatro in decadenza riconvertito in garage, con tanto di auto parcheggiate e boccascena murato; i personaggi sono ricordi (fantasmi?) di un’altra epoca, probabilmente gli anni Cinquanta a giudicare dai vestiti, che ripetono le prove e i loro numeri musicali. Nella seconda parte dello spettacolo, la sala torna all’antico splendore di luci e di velluti per provare l’opera che deve andare in scena, ed è curioso come la cabaletta dal primo atto della Virginia di Mercadante (aria di baule aggiunta per questa edizione, come d’altronde richiesto dal libretto) funzioni con sorprendente e comica perfezione come numero alla Ziegfeld Follies, gli spettacoli che facevano impazzire Broadway negli anni Dieci e Venti del Novecento.
Laurent Pelly sta alla commedia come un pesce nell’acqua e tutto funziona alla perfezione, riuscendo persino a evitare eccessi o grossolanità. È abilissimo nel creare personaggi con pochi gesti e di farli muovere a tempo, così da trasformare la musica in movimento e a creare un meccanismo perfettamente funzionante, riuscendo inoltre ad aggiungere sostanza a una vicenda che, nel complesso, ne risulta alquanto priva.
Laurent Naouri debutta come Mamma Agata, qui assunta a ruolo del titolo. Parte decisamente scabrosa, in cui si rischia di strafare e in cui i non italiani partono sempre svantaggiati in quanto l’idiomaticità si rivela fondamentale. E in effetti si sente che il fraseggio del baritono francese è più costruito che spontaneo, ma l’abilità e la classe sono tali da far funzionare comunque il ruolo. Fa prevalere la comicità sulla linea di canto e, all’occorrenza, stona e va in falsetto quando Mamma Agata tenta con scarso successo a proporsi come interprete di opera seria: la sua parodia della rossiniana Canzone del Salice strappa più di una risata al pubblico lionese.
Patrizia Ciofi ha l’aria di divertirsi un mondo, e di questo lo spettacolo nel suo complesso non può che giovarsene. Gioca a fare la diva capricciosa, egocentrica e alquanto arrogante, con tutti i vezzi che ne derivano. Il timbro suona ormai piuttosto inaridito e i sovracuti mancano dello smalto necessario, ma la musicalità è sempre da fuoriclasse, così come il fraseggio variegato e il gusto nelle variazioni. Procolo, suo marito (nonché primo fan e cavaliere servente, ma desideroso anch’egli delle luci della ribalta) è il baritono Charles Rice: anche lui soffre un poco del non essere italiano, così che l’aria “Che credete che mia moglie” è risolta con onore ma suona un po’ compitata a tavolino; padroneggia, invece, assai bene i tempi comici quando tenta di riciclarsi come improbabile Romolo all’interno dell’opera seria da mettere in scena.
Molto bene Enea Scala, che da tenore italiano si deve fingere tenore tedesco, risolvendo il ruolo con comica baldanza; e in apertura della seconda parte si toglie la soddisfazione di cantare (bene) la non semplice scena “Non è di morte il fulmine” dalla pressoché sconosciuta opera Alfredo il grande dello stesso Donizetti.
Clara Meloni interpreta la seconda donna Luigia, figlia della terribile Mamma Agata. Il personaggio è ben caratterizzato, e nel pubblico sorge il dubbio che questa Luigia stia seguendo una carriera sopranile solo per assecondare la volitiva madre (toh, proprio come in Gypsy!); tuttavia si confronta nella seconda parte dell’opera con la splendida “Tu che voli già spirto beato” dalla Fausta di Donizetti, che sembra starle piuttosto larga per il momento (oltre a prestarsi assai male al contesto buffonesco in cui è inserita). Ma potrebbe essere voluto, come esempio di una seconda donna che vorrebbe fare il salto di qualità ma non ha ancora la stoffa.
Molto efficace la coppia disperata formata dal direttore d’orchestra e compositore di Pietro di Bianco e il poeta di Enric Martinez-Castignani, che si trovano loro malgrado a cercare di salvare la situazione. Il ruolo di Pippetto è piuttosto piccolo, in quanto abbandona (saggiamente) la compagnia il prima possibile, tuttavia Katherine Aitken riesce a farsi apprezzare. L’impresario di Piotr Micinski funziona più per la scena che per il canto mentre è corretto il direttore di Dominique Beneforti.
Chi scrive ricorda Lorenzo Viotti dirigere La Belle Hélène di Offenbach con raffinatezza ed eleganza a Parigi. Ma la farsa finisce per rivelarsi più difficile: la sola raffinatezza rischia di renderla anemica e la grossolanità è sempre dietro l’angolo. Nelle Convenienze sembra faticare a trovare un equilibrio perfettamente calibrato. Si mette a servizio dell’effetto teatrale, con variazioni agogiche che pongono in risalto un movimento scenico o una frase musicale e cerca di far suonare al meglio un’orchestra che sembra davvero poco abituata a questo repertorio. Tuttavia, ogni tanto opta per sonorità alquanto bandistiche, correndo anche il rischio di coprire i cantanti; ma nel complesso è un peccato veniale.
Il pubblico si dimostra molto divertito, specialmente – non era difficile da prevedere – dalla verve di Mamma Agata.
La recensione si riferisce alla recita del 30 giugno.
Daniele Galleni