Il Duca di Mantova | Antonio Gandia |
Rigoletto | Leo Nucci |
Gilda | Maria Mudryak |
Sparafucile | Dario Russo |
Maddalena | Anastasia Boldyreva |
Giovanna | Anna Venturi |
Il Conte di Monterone | Stefano Rinaldi Miliani |
Marullo | Claudio Ottino |
Borsa | Aldo Orsolini |
Il Conte di Ceprano | Giuseppe De Luca |
La Contessa di Ceprano | Alla Gorobchenko |
Usciere di Corte | Alessio Bianchini |
Paggio della Duchessa | Annarita Cecchini |
Direttore | Francesco Ivan Ciampa |
Regia | Rolando Panerai |
Assistente Regia | Vivien Hewitt |
Costumi | Regina Schrecker |
Luci | Luciano Novelli |
Coreografie | Giovanni Di Cicco |
Maestro del Coro | Franco Sebastiani |
Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice di Genova | |
Nuovo Allestimento del Teatro Carlo Felice da un'idea di Rolando Panerait |
La maledizione. Mentre il tema, che è ancora un’eco lontana, alza il sipario, Rigoletto è prostrato a terra, spogliato dei suoi abiti da buffone, la luce lo colpisce nella penombra del proscenio, che rimane invece congelato in un fermo immagine di orgia godereccia. Poi arrivano i cortigiani, gli ignavi, che lo vestono e lo umiliano: basta un loro gesto per captare lo squallore e annusare l’aria di putrescenza che respirano.
Unica licenza, questa, che si concede il regista Rolando Panerai, rompendo la rigorosa immobilità dell’ouverture per scandagliare, nel giro di poche battute, l’animo del protagonista, sciogliendolo dall’involucro esterno e rivelandone, subito, l’estrema complessità psicologica.
Poi si aprono le danze. Il gobbo, “sotto la larva del buffon”, è anch’egli individuo turpe, un reietto della società che sfoga la frustrazione sputando veleno sugli altri deridendoli, con l’aggressività più crudele di cui è capace. Fino a che non viene scagliata la maledizione, che da quel momento lo ossessionerà e che non lo abbandonerà fino al tragico finale; maledizione che è la sola causa, nella mente malata dell’uomo, della violenza e dello stupro di Gilda. Quella larva allora si schiude ed esce fuori la dimensione umana, la paura - anzi il terrore - la fragilità e la superstizione, e al ghigno subentra prima la rabbia, poi il grido disperato, infine il pianto, “il retaggio d’ogni uom” fino ad allora a lui negato. Il padre Rigoletto è una creatura miserevole che muove a compassione e il suo dolore è tra i più strazianti della storia del melodramma. Ed ecco allora l’intramontabile Leo Nucci: non interpreta Rigoletto, lui ormai è Rigoletto. Maestro nel rendere ogni minima sfaccettatura, con il gesto, la voce e l’espressione del viso, sconquassa le viscere, fa venire la pelle d’oca e annoda lo stomaco: la sua interpretazione strappa le lacrime, è inevitabile, e per tutto il secondo atto non si staccano gli occhi dal personaggio, dalla sua malcelata indifferenza al violento giuramento estremo, passando attraverso un duetto capace, da solo, di commuovere i sassi. Bis di rigore della sua “vendetta” e boati d’entusiasmo che si levano in tutta la platea.
Fin qui tutto da copione.
E assolutamente lineare appare lo spettacolo, sobrio, delicato, molto tradizionale; “Se vi aspettate una di quelle letture, diciamo, originali, beh..non venite nemmeno a teatro” - aveva detto in conferenza stampa Panerai, altro grande Rigoletto dei tempi passati e appunto regista di questa produzione. Ci sono sì gli sfarzi della sala ducale, con brindisi e danze, non ci sono invece volgarità esibite, c’è la casetta di Gilda che, girata di 180 gradi, diventa la locanda di Sparafucile, c’è uno spettacolare cambio di scena a vista che strappa l’applauso, c’è tutto lo spazio dato alla tempesta in partitura, senza ausilio di mezzi scenici accessori (tranne qualche effetto luminescente) che tanto non servono proprio a nulla, fanno tutto orchestra e coro. Valga lo stesso discorso per i costumi di Regina Schrecker, perfettamente inseriti nel contesto scenico e cuciti sull’anima dei personaggi: sontuoso e vacuo il mantello del Duca, verginea la lunga camicia di Gilda, vestita di rosso fuoco l’esuberanza di Maddalena.
Ma andiamo in buca. Non al meglio Francesco Ivan Ciampa, che non ha garantito, sempre, la compattezza generale: a parte le sfasature con il palcoscenico, la sensazione è stata quella di un amalgama orchestrale un poco “impazzito”, non bene assemblato, in cui le voci degli strumenti venivano fuori per conto loro e non nella globalità, con in più qualche imperfezione ritmica e “di colore”. Uno scollamento che ha compromesso anche alcuni pezzi d'insieme, primo fra tutti il celebre quartetto. Esula da questo giudizio il secondo atto, in cui sono emerse più sfumature e maggior cura delle dinamiche, con una resa efficace del (già citato) pregnante momento drammatico.
Anche il cast non si è distinto in modo particolare. Buona la prova di Antonio Gandia, che seppur non dotato di grandissima voce ha acuti squillanti, fraseggio piuttosto curato e belle intenzioni interpretative, uniti ad un presenza scenica adeguata al suo personaggio.
La resa vocale della giovane Maria Mudryak, Gilda candida e ingenua al punto giusto, è valorizzata specie nei piano e nelle mezze voci, dove si colgono meglio alcune apprezzabili finezze; tende invece a perdere in precisione e stabilità nel forte, spingendo in maniera eccessiva il suono e compromettendo, a tratti, l’intonazione.
Non particolarmente brillanti Dario Russo (Sparafucile) e Anastasia Boldyreva (Maddalena) e corretti i ruoli comprimari: Anna Venturi (Giovanna), Stefano Rinaldi Miliani (Monterone),Claudio Ottino (Marullo), Aldo Orsolini (Borsa), Giuseppe De Luca (Conte di Ceprano), Alla Gorobchenko (Contessa di Ceprano), Alessio Bianchini (Usciere di Corte), Annarita Cecchini (Pagio della Duchessa). Coro con momenti di vacillamento.
Lo spettacolo ha incontrato comunque il favore del pubblico con il suo ampio respiro, la cura affinata del dettaglio scenico e, manco a dirlo, grazie alla statura indiscussa di protagonista e regista. Alla ribalta, acclamati a lungo e con entusiasmo, i Rigoletti per antonomasia delle prime due generazioni del secolo scorso: mancano gli altri, a breve sul palcoscenico genovese in questa lunga produzione dell'opera, che - e questo è positivo segno di vita - terrà la scena fin oltre Natale.
In barba alla maledizione.
La recensione si riferisce alla recita del 6 dicembre 2017.
Barbara Catellani