Wolfgang Amadeus Mozart | Quartetto in re maggiore K499 Hoffmeister |
Dmitrij Dmitrevič Šoṧtakovič | Quattordicesimo Quartetto in fa diesis maggiore 0p. 142 |
Quintetto in sol minore op.57 | |
pianoforte | Pavel Kaspar |
violino | Jana Vonaskova - Novakova |
violino | Vlastimil Holek |
viola | Josef Kluson |
violoncello | Michal Kanka |
Curioso. Leggendo il programma di sala della serata, in attesa degli artisti, ci troviamo a giocare con le lettere che compongono il nome del pianista Kaspar e a notare che, se non fosse per la "s" , sarebbe un perfetto anagramma di Pražák, che è poi il nome del Quartetto protagonista del concerto. Arzigogoli mentali. Però, tutto sommato, ci sta: non è forse Šoṧtakovič - e prima di lui generazioni e generazioni di compositori - che usa le lettere dei nomi associandole alle note per scrivere un'idea musicale, un tema, una frase? Basta guardare, a proposito, il Quattordicesimo Quartetto in fa diesis maggiore, inprogramma proprio in questa occasione: il motivo principale dell'ultimo movimento Allegretto è tratto dal nome del dedicatario Sergeij Sirinskij - anzi, del suo soprannome Serëža - il violoncellista del Quartetto Beethoven che insieme ai compagni ha avuto l'onore di tante prime esecuzioni del Nostro.
E allora veniamo a noi. Šoṧtakovič, tutti i quartetti, Atto secondo. La maratona quartettistica che la Gog dedica al grande e tormentato compositore russo (di origini polacche) e iniziata lo scorso anno, prosegue anche in questa stagione, con appuntamenti ad hoc sparsi per tutto il cartellone.
I musicisti del Pražák, formazione ceca, hanno proposto appunto il Quattordicesimo Quartetto e, tanto per ribadire il concetto, hanno eseguito insieme a Pavel Kaspar anche il Quintetto in Sol minore; per non farsi (e farci) mancare nulla, hanno introdotto il tutto con Mozart (Quartetto in re maggiore K 499) e concluso con un bis tutto loro: Dvořák, Scherzo dal Quintetto in la maggiore op. 81. Più ceco di così non si può.
Molto interessante, a nostro avviso, la seconda parte della serata, quella dedicata al Quintetto e - perché no? - a Dvořák. L'elemento aggiunto, il pianista, ha giocato un ruolo determinante. Appena ha toccato la tastiera si è capito che l'anima dell'esecuzione nasceva da lì: carismatico, propositivo, ha forgiato il pezzo, segnando la via agli altri musicisti. Pur, sia ben chiaro, non prevaricandoli, né oscurandone timbro e trame "quartettistiche". Molto evidenti i giochi complessivi di rimandi, di botta e risposta, molto ordinata e cristallina la fuga, animatissimi lo Scherzo e il Finale, cantato e appassionato l'Intermezzo. Lastruttura formale del pezzo, di per sé non particolarmente complessa, è emersa con chiarezza: fraseggio concorde, dialogo vivo, equilibrio tra le parti. Per quanto riguarda la sonorità, molto abbiamo apprezzato, anche qui, soprattutto Kaspar. Bel suono rotondo e corposo, le note vengono fuori con spontaneità, le accarezza, le modella e la sua linea morbida emerge, si distingue sempre, quando è solo ma anche quando si unisce alla voce degli archi; e non per un fatto puramente timbrico. Nell'esecuzione, la differenza tra loro stava in una questione non di "volume", ma di natura del suono: non mancava bilanciamento tra i piani sonori, c'era sintonia di intenti espressivi, ma la "confezione" e il modo di porgere la musica erano assai differenti. Qui non ci piove. Poi, il fatto che ci sia piaciuto più il pianista, è questione di gusto del tutto personale. Gli archi del Prazak sono molto precisi, raffinati (specie la viola) e tra loro molto omogenei, ma optano per un suono più flebile, sempre: questo bene si adatta al Quattordicesimo, specie in alcuni passaggi e soprattutto nell' Adagio, ma ci ha convinto meno in Mozart. E se là, immerso in un'atmosfera rarefatta e straniante bene si inserisce un dialogo sussurrato tra violino e violoncello, o gli spunti del violoncello solo (che qui domina), a sottolineare quel nemmeno troppo vago sentore malinconico, è vero che per il gioioso re maggiore di Mozart avevamo in mente una diversa densità di suono, non certo opulenza, quella no, ma più brillantezza, più smalto; e, dal punto di vista interpretativo, ci è mancata quella vena un po' giocosa e ironica che caratterizza il discorso mozartiano, quella leggerezza un po' frivola che maschera, comunque, umori contrastanti e variegati.Tutt'altra resa invece per il bis: qui la gioia, la bellezza, l'allegria di Dvořák sono venute fuori tutte d'un fiato.
Sarà che ce l'hanno nel sangue. Si sente eccome.
Barbara Catellani