Jenufa | Patricia Racette |
Laca | Peter Straka |
Kostelnicka | Kathryn Harries |
Starenka | Eleonora Jankovic |
Števa Buryia | Torsten Kerl |
Il Mugnaio | Dale Travis |
Il Sindaco | Ludek Vele |
La Moglie Del Sindaco | Silvia Mazzoni |
Karolka | Gemma Bertagnolli |
Maestro Del Coro | Giovanni Andeoli |
Direttore D'orchestra | Bruno Bartoletti |
Regia | Liliana Cavani Ripresa Da Regina Bianchi |
Scene | Dante Ferretti |
Costumi | Gabriella Pescucci |
Coreografie | Micha Van Hoecke |
Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice |
Inizio dalla fine: all'uscita dal Teatro, pieno in ogni ordine di posti, si sentiva dire "Non volevo venire... chissà cosa mi aspettavo... meno male che siamo venuti": commenti che rendono pienamente l'idea di cosa abbia rappresentato, ieri pomeriggio, la storia di Jenufa per il pubblico attento, silenzioso, partecipe e infine entusiasta, del Carlo Felice.
La prima rappresentazione di Jenufa si ha nel 1904, voglio ricordare che in quell'anno escono Madama Butterfly e la prima versione della Salome di Strauss; nel '900 era uscita Tosca e nel '902 Adriana Lecouvreur. Il mondo musicale stava cambiando e reputo che sia molto importante capire i cambiamenti che porterà Janàcek per poter comprendere bene Jenufa. Janàcek studiò il folklore musicale moravo, capì che l'origine dei canti popolari era nelle parole, nella musicalità delle parole, nella cadenza musicale della lingua parlata morava: "non c'è possibilità di dividere in battute un canto popolare, il ritmo può essere ordinato solo dalla parola." Per questo andava nei mercati, per strada, ascoltava la gente parlare e trascriveva in note la cadenza della lingua. Jenufa nasce da questi presupposti.
Sono rimasta colpita dalla simmetricità di quest'opera, tre atti, un'opera tripartita in parti speculari, la visualizzo come un trittico pittorico. Due atti affollati di personaggi, il primo e il terzo,con parti corali, danze folkloristiche e la descrizione pubblica di quello che avviene o che è avvenuto. Un atto bellissimo, il secondo, che è intimo: Jenufa e la Matrigna. Brevemente anche Laca e Steva, presenze quasi ingombranti in un momento tutto femminile. Il bambino nella culla, inconsapevole creatura che muove tutto il dramma.
La regia di Liliana Cavani e le scene di Dante Ferretti hanno contribuito a rendere molto bene la drammaticità scabra di questo storia. La Cavani ha improntato la regia con un taglio cinematografico, vedevi un film neorealista non un'opera lirica. Nessun fronzolo, nessun eccesso, nessun autocompiacimento. Le scene rappresentavano il mulino, visto da tre diverse angolazioni. Il primo atto è svolto nella parte frontale del mulino, nel secondo si vede la casa di Kostelnicka, si intuisce che sia dentro il mulino, e nel terzo vediamo che la festa nuziale è sul retro del mulino, in una sorta di cortile interno. Lo sfondo è sempre bianco, si capisce che c'è il fiume, lo immaginiamo. Le scene sono nette, stagliate, quasi profili sullo sfondo bianco.
Il mulino è un capannone primi '900 che ora chiameremmo "esempio di archeologia industriale", ci sono delle grandi vetrate, ci sono i macchinari che trasportano i sacchi di farina, c'è una passerella in ferro che attraversa tutta la parte alta della scena. C'è una giostra sullo sfondo che si metterà in movimento solo alla fine dell'opera a sottolineare che una speranza c'è.
Dai costumi della Pescucci capiamo di trovarci verso la fine degli anni trenta, e non nel primo '900, a sottolineare la drammaticità moderna della storia. Sia le scene che i costumi hanno la predominanza dei colori "bruciati", marrone, grigio, tortora, nero, bianco. La cuffietta rossa del bambino è l'unica macchia di colore in tutta l'opera.
Al contrario dell'opera Italiana, in cui la diversa ripartizione dei vari registri canori caratterizza subito il personaggio, lo identifica immediatamente in buono, cattivo, paterno, amichevole, per Jenufa si hanno i ruoli predominanti che hanno lo stesso registro: sia Jenufa che Kostelnicka sono soprano, credo che sia un voler sottolineare la loro condizione di "figliastre" entrambe, così come Steva e Laca sono tenori, fratellastri tra di loro. La differenziazione dei ruoli si ha dal diverso modo di cantare, dal loro porgersi all'ascoltatore. Jenufa è un opera di sentimenti femminili, è teatro fatto musica, è parola musicata, è un frammentario eppure omogeneo dispiegarsi di sonorità che ti tengono desta l'attenzione, è il dipanarsi di una storia modernissima e straziante, è una commedia verista, è cinema nel teatro e la protagonista principale è senza dubbio Kostelnicka.
Ieri ho visto per la prima volta una cantante che mi rimarrà nel cuore: Kathryn Harries. Questa signora ha unito a una bellissima voce, sempre ferma pur dovendo spingersi spesso in un registro acuto, una capacità eccezionale di recitazione; è stata veramente Kostelnicka, è stata una donna dura e inaridita dalla vita che non vuole che la figliastra commetta i suoi errori, una donna tormentata che decide di uccidere un bambino per il bene di Jenufa, una donna che recita con il canto, che canta con il corpo. Ha i gesti misurati, il tormento lo leggi nel suo modo di camminare, di muoversi, dalla severità dei suoi atteggiamenti e anche dal suo canto, fermo, risoluto e musicale assieme; a lei sono andate i maggiori applausi.
Jenufa è Patricia Racette, molto brava, bella voce, dolce al confronto di Kostelnicka, amorosa con Steva e sofferente con Laca alla fine dell'opera. Ha straziato il cuore, soprattutto al pubblico femminile, quando si accorge che nella culla il suo bambino non c'è più e si illude che la matrigna lo abbia portato al mulino per farlo vedere a Steva. Ottimi Peter Straka e Torsten Kerl, così come il resto della compagnia. Vorrei anche dire che tutti i personaggi erano fisicamente credibili; attori e non solo cantanti.
Un plauso particolare a Bruno Bartoletti, un direttore che ama questo repertorio e ce lo rende con l'entusiasmo di un ragazzo. Ha anche il sorriso di un ragazzo felice: così mi è apparso quando è salito sul palcoscenico a ringraziare.
Vorrei finire con una frase di Milan Kundera riportata sul programma di sala: "Janàcek ha scoperto il mondo della prosa".
Marilisa Lazzari