Anna Bolena | Angela Meade |
Enrico VIII | Nicola Ulivieri |
Giovanna Seymour | Sonia Ganassi |
Lord Riccardo Percy | John Osborn |
Smeton | Marina Comparato |
Lord Rochefort | Roberto Maietta |
Sir Hervey | Manuel Pierattelli |
Maestro concertatore e direttore | Sesto Quatrini |
Regia | Alfonso Antoniozzi |
Scene e videodesign | Monica Manganelli |
Costumi | Gianluca Falaschi |
Coreografie | Luisa Baldinetti |
Luci | Luciano Novelli |
Direttore del Coro | Francesco Aliberti |
Danzatrici |
Erika Melli Veronica Morello Andrea Carlotta Pelaia Myriam Tomé |
Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice | |
Allestimeno in coproduzione Fondazione Teatro Carlo Felice e Teatro Regio di Parma |
La sensazione è quella, straniante, di una patina grigia che soffoca impulsi ed emozioni: Enrico è lì, seduto su un trono irraggiungibile in cima a una pedana irta e ostica (per poco pure lui fa un ruzzolone), Anna è prigioniera dei suoi meravigliosi virtuosismi belcantistici, sola, in una gabbia che sembra una voliera, Giovanna Seymour è tormentata dalla colpa del tradimento e Riccardo si dispera, ma tutto rimane fermo in un cerchio chiuso, senza uscita. Tutti, proprio tutti,sono sedotti da fantasmi senza volto, neri, che prendono possesso delle anime e che le fagocitano, rendendole fantocci e donando loro delle maschere bianche, asettiche. Anna Bolena, al Teatro Carlo Felice, è sinceramente troppo lunga, almeno questa è l’impressione, anche perché è registicamente ferma. Delle tre regine donizettiane di Alfonso Antoniozzi (Elisabetta nel Roberto Devereux, Maria Stuarda e, appunto, la Bolena), questa è, a parer nostro, la meno riuscita: la proposta metateatrale, là legata in qualche modo al teatro shakespeariano, metafora della vita, in cui tutto si intreccia e si sovrappone in un gioco infinito di ruoli, in cui ognuno recita una parte, che solo a tratti mostra quel che c’è sotto cerone e parrucche, ecco, tutto questo qui non si coglie, non convince, non coinvolge. Manca poi quell’apparato scenico sontuoso, posticcio e un po’ polveroso, che allora innescava il contrasto apparente - in realtà l’affinità profonda - con la solitudine dell’anima. Sopravvivono solo il trono, la gabbia, qualche maschera e poco altro (si aggiungono per altro dei brutti, ma proprio brutti, tavolini da bar) che sembrano messi sul palco un po’ a caso e l’unico legame - appunto metateatrale - con la platea rimane, leggendo le note di regia, la foggia moderna dei vestiti in scena. Mah. Qualche dubbio è lecito e anche il bel costume cinquecentesco della Regina si spegne nel grigiore, appena illuminato da proiezioni sullo sfondo di dubbio gusto. Insomma, manca una chiave di lettura, è tutto un po’ faticoso e, se è concesso dirlo, un poco sciatto.
Meno male che la realizzazione musicale è di tutto rispetto. Sul podio abbiamo Sesto Quatrini, direttore preciso e attento al canto, che cura una lettura nel complesso corretta, con particolare attenzione ai pezzi d’insieme, magari senza particolari guizzi, ma equilibrata e ben raccolta da un’orchestra brillante e reattiva.
Le primedonne però sono sul palcoscenico. Angela Meade, nei panni della protagonista, riscuote grandissimo successo con la sua interpretazione: ha voce prorompente, ma bene sa gestire le sfumature dinamiche e certo non trascura le sonorità più soffuse, cui arriva con gradualità e morbidezza, gestisce le acrobazie belcantistiche con agilità ed è soprattutto solida nei gravi. Davvero pregnante la sua scena finale. Sonia Ganassi aggiunge alle doti vocali e alla sensibile musicalità quella profondità espressiva di cui abbiamo già scritto tante volte, una fine drammatizzazione che caratterizza ogni suo personaggio, sempre fortemente umano, sofferto: della sua Giovanna, scenicamente molto convincente, emergono le umane contraddizioni, in bilico tra dedizione e brama di potere. Buona prova anche per John Osborn, dotato di uno strumento vocale importante e duttile, ben proiettato verso l’acuto, in cui mostra doti peculiari, agile e solido al registro più grave; non proprio lucido fino alla fine, il suo Riccardo è tuttavia pregevole, come hanno testimoniato, tra l’altro, i prolungati applausi della platea. Convincente anche l’Enrico VIII di Nicola Ulivieri, importante presenza scenica (a parte il costume di pelliccia non proprio regale) e con la consueta bella voce, particolarmente calda e ricca. Molto apprezzabile, infine, Marina Comparato nei panni di Smeton, bel personaggio, voce omogenea e ben gestita, dal timbro ben levigato e una particolare attenzione al fraseggio. Completano il cast Roberto Maietta (Lord Rochefort) e Manuel Pierattelli (Sir Hervey). Bene il Coro diretto da Francesco Aliberti.
Chiudiamo con il già citato finale, magistrale nel canto, ma molto d’effetto, questo sì, anche dal punto di vista scenico: i fantasmi danzano e stendono il nero velo su Anna, che si spegne. Alle sue spalle appare la nuova regina d’Inghilterra, in alto, dominante. Ma è, anche lei, senza volto: e nel buio risalta l’asettica maschera bianca.
La recensione si riferisce alla prima del 18 febbraio 2022.
Barbara Catellani